Il nuovo naviglio leggero
Fino al 1809 la marina fu amministrata dal commissario di guerra Pietro Carletti: a differenza dell’esercito, la marina adottava monete e misure sarde, e non piemontesi. Con regio viglietto del 22 aprile 1806 l’amministrazione della marina fu riordinata, con la formazione di un bilancio particolare e di tabelle degli equipaggi sul piede di campagna (estate) e di quartiere (inverno) e la creazione di una cassa di marina dotata di una rendita di 101.539 lire sarde, sufficienti a mantenerla «sul piede attuale», salvo stanziamenti speciali per esigenze straordinarie rappresentate dal comandante della marina. Restavano però esclusi dal bilancio e dalla cassa di marina sia la compagnia di marina, che continuava ad essere compresa nel bilancio militare, sia la cassa separata del corpo di marina per le paghe degli equipaggi.
Alla cassa di marina erano devoluti i proventi dei diritti d’ancoraggio in tutti i porti del regno (secondo una nuova tariffa) e quelli della darsena di Cagliari (per il tonnellaggio e per il nolo delle macchine di carenaggio, dei ponti di calafatura, della polveriera e delle cucine), più una decina di altri dazi e imposte (pesca corallina, bolle della crociata, sussidio ecclesiastico, peschiere di Cagliari, Perdas e Bosa, tonnare e relativi prodotti, benefici di risulta, decime sui beni e redditi dell’Ordine Mauriziano).
L’ufficio dell’amministrazione economica della marina era composto da un ufficiale economico (UE) con funzioni di commissario vicario, da un guardamagazzini (GM) e da un quartiermastro tesoriere e cassiere (QM), con paghe annue rispettive di 756, 450 e 468 lire sarde, più 250 per spese d’ufficio per un totale di 1.925. L’UE era incaricato:
a) della tenuta del ruolo generale della marina;
b) della rivista mensile degli equipaggi comandati a bordo dei legni disarmati o nei magazzini e nell’arsenale;
c) della rivista degli equipaggi dei bastimenti che nel corso di una campagna capitassero in una rada (secondo gli ordini del comandante);
d) dell’esazione dei diritti spettanti alla cassa di marina;
e) della spedizione dei mandati di pagamento.
Il QM (con grado e paga di sottotenente di bordo e tenuto a sigurtà di 5.000 scudi sardi) era incaricato della riscossione dei diritti e della contabilità della cassa di marina e della cassa del corpo di marina, il GM della tenuta e contabilità dei materiali. Entrambi dovevano presentare il rendiconto annuale ad un consiglio di marina, presieduto dal comandante e composto da un capitano di vascello e da un primo luogotenente di sua scelta, dall’UE relatore e da un impiegato di finanza designato dal re. I pagamenti erano fatti su mandato dell’UE, previ registrazione e controllo e su visto e ordine scritto del comandante, ma quelli d’importo superiore a 625 lire sarde non previsti dal bilancio ordinario richiedevano il parere obbligatorio del consiglio.
Durante l’armamento della squadra, il comandante delegava le sue funzioni amministrative al capitano di vascello rimasto a terra, mentre l’altro, imbarcato come 2° ufficiale sulla nave del comandante, fungeva da “maggiore della squadra”, con un supplemento di 300 lire per spese d’ufficio e con l’ispezione e dettaglio dell’amministrazione economica della squadra. Questa era dotata di una propria cassa di bordo con fondi prelevati dalla cassa di marina, alla quale si dovevano versare i residui entro 24 ore dal rientro. La cassa era tenuta dal primo scrivano di bordo, da cui dipendevano due scrivani imbarcati su altre unità, tutti computati negli equipaggi della galera e delle 2 mezzegalere. Gli scrivani erano inoltre incaricati della tenuta di un ruolo particolare dell’equipaggio del rispettivo legno e della spedizione mensile all’UE dello stato di rivista. Al rientro dalla campagna i ruoli particolari erano rimessi al consiglio di marina, che, trovandoli esatti, li vistava e li depositava nell’ufficio di marina.
La negligenza del personale amministrativo (UE, scrivani, QM, GM e SU contabili) nella tenuta delle scritture era sanzionata dal consiglio di marina con la sospensione dalla paga per sei mesi e, in caso di recidiva, con la perdita dell’impiego. In caso di malversazione il comandante ne doveva fare rapporto alla segreteria di stato per gli ordini del re «e anche, secondo i casi, per adunare il consiglio di guerra, affine di essere giudicati a tenore delle leggi» (art. 30 del regio viglietto).
Circa l’amministrazione del materiale, il regio viglietto prescriveva di provvedere alle somministrazioni di viveri e altri generi di preferenza per appalto d’impresa. Gli introiti ed esiti dai magazzini erano disposti per ordine scritto del comandante e su mandato dell’UE ed effettuati, come gli inventari e le verifiche, in presenza di un ufficiale di marina designato dal comandante. A bordo la contabilità del materiale era tenuta dai bassi uffiziali responsabili dei vari servizi (piloto, nocchiero, capo cannoniere e mastro d’ascia), incaricati della tenuta dei registri di carico e scarico.
Al ritorno dalle campagne, ed entro un mese dal disarmo della nave, dovevano presentare rendiconto al consiglio, con addebito dei consumi non giustificati. Qualora dai controlli risultassero presenti a bordo o nei magazzini quantità di viveri o armamenti maggiori di quelle contabilizzate, il GM e i contabili di bordo erano però tenuti al doppio del valore dell’eccedenza, «dando ciò luogo a sospettare frodi nel peso e misure» (art. 18 del regio viglietto).
Il consiglio di marina doveva inoltre esaminare le condizioni delle navi al rientro da ciascuna campagna, e, sulle perizie dei vari capimastri, accertare i raddobbi, riparazioni e rimpiazzi occorrenti per rimetterli in stato di navigare. I lavori dovevano però essere «bilanciati», deliberati cioè nei limiti degli stanziamenti previsti, secondo una scala di priorità. Tra i documenti del periodo risultano le nomine del segretario di marina (28 giugno 1808), dell’ufficiale economico (11 agosto 1808), di un commissario, un sottocommissario e un guardamagazzino (22 ottobre 1810), uno scrivano di mezzagalera (20 aprile 1811) e uno scrivano di marina (14 agosto 1812).
Perduti Villafranca e i velieri d’alto bordo, la marina conservava unicamente le 7 navi fatiscenti riunite ad Oneglia e condotte a Cagliari da Des Geneys nel marzo 1799 sotto scorta di una fregata inglese, più l’Armaletta Leggera riunita alla Maddalena. Radiate le galeotte e la Beata Margherita, restava una sola mezzagalera in disarmo (Santa Barbara), più il brigantino San Vittorio (comandato da Raimondo Mameli) con 42 uomini d’equipaggio (2 ufficiali, 2 di stato maggiore, 5 sottufficiali, 24 marinai, 1 mozzo, 1 forzato e 7 soldati), lo sciabecco Vittorio Emanuele, la goletta San Filippo e 4 gondole (Sardina e Bilancello con base alla Maddalena e Ardita e San Maurizio con base a Porto Torres). Nel 1799 Porcile acquistò a Mahon un secondo sciabecco battezzato Carlo Felice e classificato come guardacoste. Nel luglio 1800 il duca d’Aosta acquistò a Livorno, per 105.000 lire sarde (= 2.180.360 toscane), la galera ex-ligure Prima, presa il 23 maggio dagl’inglesi nel porto di Genova: ribattezzata Santa Teresa e armata di 2 cannoni di bronzo da trentasei e artiglierie minori, era tenuta di riserva per esigenze straordinarie e fu armata solo nel 1804, 1806 e 1810. L’equipaggio era di 346 uomini (6 ufficiali di vascello con 9 domestici, 6 di stato minore, 8 sottufficiali di manovra, 3 maestranze, 9 cannonieri, 71 marinai, 183 della ciurma e 51 soldati). Nel 1801 il piccolo cantiere di P. Torres produsse una scialuppa addetta alla galera, e nell’autunno 1803 una gondola (del costo di 200 scudi e sotto la direzione del nocchiero La Guerra) in sostituzione della Sardina predata dai tunisini.
Per ragioni di bilancio nell’estate 1803 fu messo in disarmo il regio sciabecco. In compenso si cercarono aiuti a Napoli e l’11 ottobre il ministro sardo, marchese Pasqua, riferiva che re Ferdinando IV aveva concesso 6 cannoni di bronzo da dodici con 200 palle per armare la galera: un dono che Des Geneys stimava del valore di 14.000 ducati (circa 60.000 franchi). Pochi giorni dopo, Pasqua trasmetteva la proposta del ministro della marina, Forteguerri, di donare alla marina sarda anche due delle 10 mezzegalere napoletane in disarmo, in cambio tuttavia di un po’ di ferro o altro materiale per l’arsenale, tanto per farlo sembrare un acquisto a titolo oneroso ed evitare così sospetti o gelosie da parte della Francia. Furono così acquisite le mezzegalere L’Aquila e Il Falco, armate con un pezzo da trentasei e con equipaggi di 137 uomini (2 ufficiali, 5 di stato minore, 7 sottufficiali di manovra, 1 maestranza, 56 marinai, 40 della ciurma, 23 soldati e 3 domestici), che effettuarono la crociera estiva del 1804 insieme alla galera (346) e ad altre 3 unità minori (la goletta, lo sciabecco e la peniche Speditiva). Nei mesi invernali il pattugliamento era svolto dalla Speditiva e dai lancioni Sant’Efisio e Benvenuto basati a Porto Torres.
Nel gennaio 1806 lo sciabecco Carlo Felice fu venduto per 1.800 scudi sardi. Il 18 ottobre 1809 fu disposta la vendita della polacca S. Cristo e del legno e del carico predati dal cavalier Cugia, versandone l’importo all’intendenza generale delle finanze a beneficio della marina.
Nel 1810, per dimostrare alla Francia che il regno era in condizione di attuare rappresaglie contro il blocco continentale, furono armate ben 13 unità, con 983 uomini e 108 pezzi (28 carronate, 48 cannoni, 2 obici e 30 spingarde): erano la galera, le mezzegalere, la galeotta Bella Genovese, i lancioni Sant’Efisio e Benvenuto, i brigantini Carloforte e S. Vittorio, gli sciabecchi Vittorio Emanuele e Generoso, la gondola Carolina e la tartana Tirso, più una speronara con marinai sardi e bandiera inglese. Nell’inverno 1811 furono mantenute in armamento solo 4 unità (gli sciabecchi Generoso e Ichnusa, il lancione Sant’Efisio e la tartana Tirso) con 354 uomini d’equipaggio, cui si aggiunsero da aprile a settembre le mezzegalere (con altri 284 uomini). Queste ultime e il Sant’Efisio presero parte il 28 luglio al combattimento di Capo Malfatano contro tre corsari tunisini, lo scontro di maggiori dimensioni sostenuto dalla marina sarda dopo l’impari combattimento dell’Isola di Hyères (1794).
Secondo l’arciduca Francesco «nel 1811 la galera era già inservibile e in disarmo alla Isola Maddalena, le due mezze galere, la gagliotta, i lancioni e uno sciabecco erano armati d’estate e nell’inverno s’armavano gli altri due sciabecchi invece delle mezze galere e della galiotta, che si disarmavano (…) Nel 1812, per mancanza di denaro della regia cassa restarono tutte le navi in disarmo, fuori d’uno sciabecco, la tartana, la galliotta e il lancione». L’arciduca stimava che, a causa del disarmo, il costo annuo della marina fosse ridotto a circa 40.000 scudi, di cui 20.700 per paghe di 23 ufficiali e 90 marinai di pianta fissa, 7.300 per le riparazioni, 8.000 per l’armamento e 4.000 di spese straordinarie. Il “piano economico” per la marina, presentato da Des Geneys, fu approvato dal re con lettera del 13 febbraio 1813.