Il trasferimento a Roma
Intanto, nel 1942, con la morte prematura del padre, la famiglia Solinas si è trasferita a Roma per spostarsi, qualche tempo più tardi, verso Nazzano, cittadina più a nord e Franco studia presso il liceo classico della scuola militare di Roma. La Roma che incontra Solinas negli ultimi anni del 40 è una città sferzata dalla guerra e in preda al sottosviluppo. L’illusione fascista sembra affievolirsi, in città si cerca di sopravvivere attraverso ogni sorta di espediente e impera il mercato nero, così come tra i giovani intellettuali non troppo vicini al regime e silenziosamente assetati di vita, si crea un diffuso sentimento di incertezza per il futuro. Finita la guerra, Roma è brulicante di soldati americani, come testimonierà lo stesso Solinas nella poesia È arrivato l’americano, che registra impressioni vivide, in stretta consonanza con l’attualità. Sono questi anche anni di vibrante euforia politica nei quali l’Italia è alla ricerca di una propria identità e l’entusiasmo per una ricostruzione ancora all’inizio, si mischia alla disperazione di chi ha perso tutto o quasi. Il giovane Solinas vive questa stagione della storia del nostro paese come fece un po. tutta la generazione dei ragazzi nel dopoguerra, ovvero cavalcando incoscientemente l’ansia di vita dopo anni di oscurantismo e guerra. Definitivamente affrancatosi dal mondo militare, a cui lo legava certamente il ricordo del padre scomparso non molti anni prima, Franco Solinas esprime questa necessità di rinnovamento soprattutto attraverso un forte attivismo politico: egli aderisce fin da subito al Partito Comunista Italiano (militanza che non abbandonerà mai e che vivrà sempre in prima persona sia attraverso l’impegno all’interno della società civile che nella sua professione di sceneggiatore) e si unisce dunque al movimento resistenziale nel Lazio, partecipando come staffetta partigiana ad alcune azioni della resistenza romana. Contemporaneamente inizia gli studi in giurisprudenza, conseguendo, più per compiacere le aspettative materne che per una vera e propria aspirazione e pur senza mai praticare, la laurea in legge e, con il fine di mantenersi agli studi lavora come manovale, operaio edile, rappresentante di commercio, impiegato e commesso viaggiatore, in un iter “americano” cui teneva molto e che gli servirà in futuro per non astrarsi mai da quel mondo che racconterà nelle sue sceneggiature e disegnerà attraverso personaggi che si nutrono appunto di quel realismo che solo l’esperienza diretta potevano far scaturire.
La forte esperienza romana, vissuta comunque da migrante, e legata inscindibilmente al costante ricordo della gioventù a La Maddalena (come testimoniato abbondantemente nelle poesie giovanili), contribuisce certamente a formare il carattere dello scrittore per prima cosa in direzione di quella aspra tendenza alla solitudine, che resterà sempre il tratto distintivo del suo carattere condizionandone anche alcune scelte di vita (dalla decisione di vivere nell’isolamento del villaggio di pescatori a Fregene, alla scelta di passare lunghi periodi di solitudine nell’isola di Santa Maria), e ancora verso una particolare sensibilità all’analisi della condizione dello sradicato (fosse esso straniero in terre ostili, o addirittura sradicato nelle sua stessa patria). La struttura del personaggio solinasiano risente di questo tratto “aristocratico” del suo carattere, di questa necessità di solitudine, ma soprattutto si fonda sulla sensazione di sradicamento in senso fisico e morale. Se Squarciò ci appare come un eroe romantico certamente non al passo con le problematiche del suo tempo, che tenta di risolvere i propri problemi con mezzi e metodi in partenza perdenti in un mondo che pian piano, lentamente lo estrania, non diversa sorte incombe su Charles, protagonista de Il Cormorano, il quale a sua volta ormai fuori dal tempo, ma in questo caso anche emigrante per necessità di lavoro, si trova ad essere sostituito dalla società, rimpiazzato e a sua volta ricollocato. A queste due figure, che sono legate rispettivamente all’inizio e agli ultimi anni di carriera dello sceneggiatore, fanno eco la quasi totalità dei protagonisti dei copioni solinasiani. Molti di essi vivono lontano dalla propria casa, dalla propria terra, lasciata per i più disparati motivi e agognata. Sono sempre gli anni dell’immediato dopoguerra ad incidere indelebilmente sulla sua formazione politica e professionale. Se, come si è detto, furono per l’autore sardo anni di dura militanza comunista, nei quali allo studio giuridico si affianca la ricca esperienza umana di quei tempi, è altrettanto palese riscontrare quanto questa pratica di vita abbia influito sull’analisi dei risvolti politici legati alle attività umane e abbia precisato l’indirizzo in relazione alla natura dell’impegno di Franco Solinas. La natura di scrittore, la vocazione cinematografica, ma allo stesso tempo la passione politica convivono nello scrittore maddalenino, con decisa preferenza per quest’ultima come preciserà, molti anni dopo questo periodo formativo, lo stesso Solinas: “Per me la politica è una cosa fondamentale. Non mi interesso di storie psicologiche, praticamente non credo alla letteratura in senso tradizionale, continua ripetizione degli stessi schemi, con più o meno gusto o intelligenza, con dei problemi che sono sempre particolari e in definitiva non interessanti. Questo genere di storie non serve che ad emozionare il pubblico e non dargli la chiave per comprendere la realtà. La politica, considerata non nel senso tradizionalmente peggiorativo ma nel senso esatto di scienza che permette di interpretare i problemi dell’umanità, resta la cosa più importante e necessaria della nostra epoca. La politica tocca il fondo dei problemi attraverso fatti reali e non si esprime attraverso i sentimenti.”
La politica dunque. La scrittura di Franco Solinas, non sarà mai lontana dalla vita reale, mai ignorerà la storia, mai tratterà esclusivamente la vicenda di un uomo o di una donna, ma sempre, attraverso i personaggi, egli parlerà del mondo, dei suoi processi, delle sue strutture, racconterà spesso ciò che è stato per parlare di ciò che è, farà parlare spesso una persona con la voce di un intero popolo. Egli resterà in questo sempre fedele all’idea di non voler semplicemente raccontare una storia secondo schemi più o meno consolidati, rinunciando alle semplificazioni, nel tentativo, spesso andato in porto, di fornire, attraverso l’opera cinematografica, una chiave per l’interpretazione della realtà, quale essa sia, rendendo attiva la partecipazione dello spettatore che non si prospetta unicamente quale fruitore di uno spettacolo, ma altresì in qualità di uomo inserito in un mondo che ha il diritto di conoscere a fondo, monitorare, migliorare.
L’approccio al cinema per Franco Solinas, avviene a partire dal neorealismo. L’opera cinematografica per Solinas nasce con un fine più alto della semplice produzione di uno spettacolo, e anche se non possiamo certamente riferirci per intero all’attività dello sceneggiatore, che per definizione fa i conti spesso con una realtà produttiva che ne annulla taluni intenti politico-culturali, per buona parte della sua carriera, Solinas muoverà su questi binari con coerenza, senza tuttavia rinunciare a nuove suggestioni.
Gianni Tetti