La Casa di Tarantini a Moneta
Dai documenti in possesso, ovvero la domanda che la vedova Tarantini inoltrò nel 1905, subito dopo la morte del marito, al Comune di La Maddalena per ottenere la concessione di una rivendita di generi di monopolio e, contestualmente, il certificato di morte del garibaldino, emerge sia che Angelo Tarantini lavorava nel Regio Cantiere di Moneta sia che, proprio in quell’abitato di La Maddalena, risiedesse la sua famiglia. Da questo punto di partenza, si è proceduto ad una serie di verifiche a carattere documentale e su testimonianze orali, atte a cercare di individuare la casa ove visse Tarantini dopo il ritorno da Thiesi.
Un primo dato da rilevare è l’impossidenza di qualunque tipo di alloggio a La Maddalena, ascrivibile ad Angelo o alla moglie Antonina; accertamenti effettuati presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Tempio Pausania hanno dato esito negativo.
Pertanto, durante la permanenza nell’isola collocata fra il 1894, anno in cui Angelo Tarantini ritornò al paese di origine, e il 1911, anno in cui la vedova insieme alle figlie ancora nubili, si trasferì a Milano, stabilendovisi definitivamente, la famiglia di Angelo Tarantini alloggiò probabilmente o presso una famiglia (forse in affitto?), come d’altronde avevano già fatto negli anni vissuti a Thiesi (ove anche lì non risultavano proprietari di case), oppure in una abitazione non censita catastalmente.
Al riguardo vi è da rilevare come a Moneta, già dal 1843, quando fu redatto il Quadro generale dei terreni aperti, misurati e delimitati nell’isola Maddalena e nelle altre isole aggiacenti, al fine di addivenire al censimento completo delle terre demaniali da assegnare per sorteggio ai relativi capi-famiglia, risultassero ben quattordici vigne e dodici terreni chiusi intestati a proprietari; all’interno di quei terreni sorsero in seguito diverse case di tipo rurale.
Comunque, secondo le testimonianze orali raccolte presso alcuni abitanti di Moneta, in particolare quelle del signor Aurelio Vallarino, simpatico ottuagenario originario della zona, l’abitazione ove forse si svolse la vita dei coniugi Tarantini al momento del rientro nell’isola, potrebbe essere situata presso le locali vie Silvio Pellico e Niccolò Tommaseo, che allora distinguevano l’abitato. Un’ulteriore conferma della presenza della famiglia Tarantini nella frazione di Moneta viene dall’abitazione di una delle figlie sposatesi a La Maddalena, che in base a testimonianze orali, pare fosse situata nel Palazzo Falconieri compreso in dette vie.
L’area convenuta faceva parte di un terreno di proprietà della famiglia di Andrea Di Giovanni, originario dell’isola di Ponza, il quale nel 1840 acquistò un vasto appezzamento in località Moneta dal signor Filippo Martinetti, possidente della zona; in detta area le famiglie abitanti le case, anticamente, isolate fra loro per la presenza di orti e vegetazione, iniziarono ad alternare all’originaria attività agricola una sempre maggior operosità artigianale legata a varie attività, creando le premesse di uno sviluppo dell’abitato che verso la fine dell’Ottocento prese le dimensioni di una piccola frazione; una di queste famiglie, composta da Silveria Di Giovanni, figlia del suddetto capostipite Andrea, nata a La Maddalena e sposatasi con tale Andrea Sini, contribuì a tale processo destinando una parte della propria casa a trattoria, la prima di Moneta, alla quale nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocento si unirono rivendite di vino e di generi alimentari, supportate nella loro attività dall’esistenza di piccoli artigiani ivi dimoranti, ma ancor di più dalla crescente presenza di militari della Regia Marina, connessa alla nascita dell’attiguo Cantiere Militare ove, come abbiamo visto, trovò impiego proprio Angelo Tarantini.
La famiglia Sini – De Giovanni fu protagonista nell’anno 1874 di un simpatico episodio, mai menzionato, che legò un loro figlio alla figura del Generale Garibaldi. Infatti il 17 marzo 1874, dal loro matrimonio, venne alla luce un maschietto per il quale i genitori scelsero quale padrino di battesimo un amico di famiglia, o forse un vicino di casa, tale Giuseppe Bargone, che risultava lavorare a Caprera presso la casa di Garibaldi; la madrina, fu Anna Maria Susini, figlia di Pietro Susini, il curatore dei terreni e degli affari di Garibaldi a Caprera.
Garibaldi, venuto a sapere dell’incombenza che spettava al Bargone, chiese a questi di far chiamare il piccolo col nome di Coriolano, condottiero dell’antica Roma, unitamente a quello iniziale di Giuseppe, forse per attestare la dura vita di lavoro che l’attività della famiglia gli avrebbe comportato. Il fatto, narrato dalla signora Elia Coppadoro, attuale nipote dell’allora piccolo Giuseppe Coriolano Sini, è stato descritto in maniera diversa dal signor Aurelio Vallarino, nipote a sua volta della sorella del piccolo Coriolano, la signora Maria Maddalena Domenica Sini; tale versione vuole che il Generale Garibaldi nell’atto di transitare in carrozza di fronte all’abitazione della famiglia Sini – De Giovanni, essendo venuto a conoscenza dei preparativi che la famiglia stava facendo per il battesimo del piccolo, propose agli stessi il nome del citato Coriolano. Fu proprio nella trattoria gestita dalla famiglia Sini che si svolse l’episodio raccontato.
Sul finire dell’Ottocento l’abitato di Moneta andava intanto assumendo una realtà ben definita: accanto alla Moneta militare, andava sviluppandosi una Moneta borghese costituita da un insieme di gruppi e di etnie di varia provenienza, dai nuoresi ai sassaresi ai galluresi, nonché dalle maestranze del costituendo arsenale militare provenienti dal resto d’Italia, in particolare da La Spezia; esse non si integrarono nella collettività maddalenina già esistente, bensì ne crearono una nuova con proprie relazioni personali e sociali.
In tale contesto visse Angelo Tarantini; fra le persone con cui sicuramente si incontrò, magari raccontando i suoi trascorsi da garibaldino, vi furono gli operai, suoi colleghi, che in quegli anni stavano formando il personale del nuovo Regio Cantiere. Fra questi vi era Gavino Oggiano, proveniente da Ploaghe, ove era nato il 5 maggio del 1886; come tante famiglie della provincia di Sassari, quando il governo nazionale decise di istituire la piazzaforte militare marittima di La Maddalena, anche gli Oggiano decisero di tentare questa strada. Trasferitisi a La Maddalena sul finire dell’Ottocento, mentre il padre apriva una piccola falegnameria nelle case dei Sini – De Giovanni, Gavino riusciva ad entrare nel Regio Cantiere; dal foglio matricolare dell’Arsenale emerge che Gavino entrò a lavorarvi a quattordici anni come garzone silurista; divenne poi operaio congegnatore, infine congegnatore di precisione motorista, assumendo le funzioni di capogruppo nel reparto motori.
Gavino Oggiano, sposatosi con una modista di cappelli tale Margherita Gianinetti, ebbe una vita sociale e culturale importante; si dilettava a comporre poesie, fu membro di un gruppo teatrale locale, La Filodrammatica, e nella vita pubblica lo ritroviamo negli organi statutari della Cooperativa di Consumo Caprera, istituita nel 1896 « al fine benefico di sovvenire la classe operaia »; si trattava di una società costituita fra gli operai del cantiere militare che tramite la gestione di un emporio di generi vari si poneva lo scopo di alleviare i problemi economici ed alimentari di quegli anni, che certo non erano poca cosa; nello statuto veniva prevista la distribuzione a fine bilancio degli utili sociali e diverse forme di pagamenti ed investimenti da effettuarsi solo all’interno della Cooperativa; fra i suoi fini vi erano anche quelli ricreativi e di svago. Iscritto alla Massoneria locale, di idee socialiste e comunque progressiste, nei confronti dei propri colleghi e dei più giovani cui era preposto, teneva sempre un atteggiamento comprensivo e mai autoritario; sicuramente furono questi valori, uniti al rispetto della patria e dell’allora giovane nazione italiana, ad avvicinarlo ad Angelo Tarantini, senza dimenticare che entrambi lavoravano nel Regio Cantiere.
La citata orazione funebre, che Oggiano pronunciò nel cimitero durante il funerale di Tarantini, ne è un’indiretta riprova allorquando cita « robusto di corpo, di mente, chissà per quanto ancora avremo potuto noi giovani attingere da te conforto e speranza »; e ancora « noi qui a capo scoperto, riverenti e devoti dinanzi alla tua bara, sentiamo nell’animo di non poter mai dimenticare la tua fronte serena, il tuo sguardo dolce ed affettuoso, la tua parola calda e vibrata che ne educava, ne incoraggiava le lotte della vita ». È insomma una testimonianza di una comune visione degli ideali di riscossa e riscatto sociale delle classi lavoratrici dalle difficili condizioni di vita di quei tempi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Gavino Oggiano venne ferito il 10 aprile 194321 nel bombardamento effettuato dall’aeronautica americana sull’Arsenale Militare di La Maddalena; in seguito a tale evento partì per Roma insieme alla moglie, per raggiungere i figli che nel frattempo ivi si erano sistemati, terminandovi poco dopo la sua esistenza.
Collegata alla figura di Gavino Oggiano, merita un cenno la presenza della famiglia Coppadoro, una fra quelle che, all’inizio del Novecento, parteciparono allo sviluppo dell’abitato di Moneta.
Originari del Veneto, esattamente del padovano, i Coppadoro giunsero a La Maddalena negli ultimi anni dell’Ottocento; fu un certo Angelo Coppadoro, arruolatosi nella Regia Marina nel 1896, a stabilirvisi in seguito ad un trasferimento avvenuto nel 1898, come risulta dalle destinazioni di Servizio del suo foglio matricolare; nel 1904 sposò Maria Giovanna Oggiano, sorella del citato Gavino, e dal loro matrimonio nacquero quattro figli: Antonio, Corinna, Mario e Claudio. Quest’ultimo, nato nel 1919, si sposò nel 1942 con Egle De Giovanni, la gentile signora che ha fornito le notizie e i documenti sulle vicende dei Coppadoro.
Angelo Coppadoro, che nella sua carriera militare giunse al grado di Maresciallo della Regia Marina, proveniva da una famiglia con trascorsi patriottici. Infatti suo padre Antonio era fratello di Giuseppe Coppadoro, primogenito di otto figli, la cui vita fu legata per un certo periodo alle vicende garibaldine.
Le notizie su quest’altro volontario delle guerre d’Indipendenza, sono fornite dal figlio Angelo Coppadoro, un ingegnere coetaneo del predetto omonimo cugino, il quale si occupò del padre all’interno di una pubblicazione edita verso il 1960, nella quale si raccontavano le vicende di due garibaldini friulani, originari di Fossalta di Portogruaro, Paolo e Sante Scarpa.
L’ingegnere Angelo Coppadoro menziona il padre; egli, nel 1859, a soli diciassette anni, nella grande spinta patriottica che avrebbe portato alle vicende della Seconda Guerra d’Indipendenza, fremeva fra quella gioventù padovana pronta ad emigrare per arruolarsi nell’esercito liberatore. Nel libro l’autore racconta che il padre «riuscì a passare il Po, sebbene la barca che lo trasbordava venisse fatta segno delle fucilate austriache, riparò a Ferrara, dove erano già le truppe italiane, e fra queste si arruolò in fanteria. Qualche tempo dopo passò nei bersaglieri coi quali partecipò a tutta la campagna contro il brigantaggio nell’Italia meridionale. Smobilitato, ritornò a Ferrara, dove aveva un parente e dove si impiegò come scrivano presso quella pretura; contemporaneamente studiò per conseguire la licenza tecnica ».
Nel 1866 si arruolò nelle schiere garibaldine, prendendo parte il 25 giugno al furioso combattimento del Ponte Caffaro. In tale fatto d’armi Giuseppe Coppadoro si comportò così valorosamente da meritarsi la Medaglia d’argento al valor militare. Terminata la campagna del ’66, tornò a Padova ove trovò impiego. Dopo alcune occupazioni si stabilì infine a S. Vito al Tagliamento svolgendo l’incarico di direttore della locale esattoria. Nel 1883 la famiglia si trasferì a Udine, essendo stata affidata a Giuseppe Coppadoro la direzione della esattoria di quella città ove morì, in seguito ad una violenta polmonite, a soli cinquantadue anni, il 7 gennaio 1895.
Concludendo questa lunga disamina, che si è allargata dall’originario obiettivo di ritrovare la casa dove visse Angelo Tarantini con la sua famiglia fino a esaminare in breve la storia dell’abitato di Moneta, dei suoi personaggi più o meno noti e dei loro collegamenti con Giuseppe Garibaldi, è bene tornare al punto di partenza, prendendo in considerazione un’ultima possibilità connessa all’ubicazione della casa.
L’attività di magazziniere nel Regio Arsenale di Moneta svolta da Tarantini potrebbe aver comportato un possibile alloggio di servizio, attiguo allo stabilimento militare. È una eventualità non trascurabile e che potrebbe spiegare la mancata possidenza di immobili da parte sua, sulla quale però la ristrettezza di documentazione esistente in merito non ha permesso alcun raffronto.
Antonello Tedde e Gianluca Moro