La desertificazione delle coste galluresi e delle isole
Lo spopolamento delle isole Intermedie nella prima età moderna stava in un contesto di spopolamento complessivo delle marine della Gallura. Mentre le isole risultavano però senza popolazione anche nell’alto medioevo, eccetto il documentato convento benedettino di S. Maria e qualche altra presenza conventuale ancora da meglio documentare, nella stessa epoca la Gallura rivierasca era ricca di almeno una cinquantina di piccoli villaggi. Erano questi il frutto di quel processo di ruralizzazione diffusa che si rileva in quello stesso tempo in tutta l’Europa occidentale e anche nel resto della Sardegna. Un complesso di concause, registrate nel lungo periodo tra il XIV e il XVI secolo, ha determinato un’inversione di tendenza, dalla costa all’interno e nella montagna, dei flussi migratori di popolazione. Le vicende di Olbia-Terranova appaiono emblematiche di questo processo di spoliazione antropica delle coste galluresi. Le pesti di fine 1300 e inizi 1400, avviarono la desertificazione della costa, rendendo Terranova un piccolo borgo di poche centinaia di abitanti, che rimarrà sino alla seconda metà del XVIII secolo l’unico villaggio dell’intero arco costiero gallurese. Si avranno altre e diverse pestilenze, ma con continuità ineluttabile fu sopratutto la malaria, cioè a dire l’intemperie, a tenere nel tempo pressoché azzerata la presenza umana in quelle coste. Anche la valle del Liscia registrò gli effetti del fenomeno che impegnò l’intera fascia costiera sarda, come ripercussione a distanza di alcuni decenni del riscaldamento globale del clima verificatosi fino al XIII secolo. Lo scioglimento dei ghiacci provocò l’innalzamento del livello dei mari, che a sua volta scombinò il preesistente equilibrio nello sfocio a mare dei fiumi. Nell’impaludamento delle acque si formò l’habitat più favorevole per lo sviluppo dell’infezione malarica.
Ciò che non riuscì del tutto alla natura, in Gallura fu completato dagli uomini, con le guerre tra stati e con le incursioni piratesche dei barbareschi. Aragona e Genova si confrontarono nei mari e nei litorali galluresi e ne seguirono per le popolazioni rivierasche depredazioni e danneggiamenti, specialmente da parte genovese. Da parte aragonese si arrivò alla cacciata dalla Gallura di tutti i pastori corsi che vi si erano stabiliti, determinando un fortissimo calo soprattutto della popolazione costiera. Non andò meglio quando i contendenti furono Carlo V per la Spagna e Francesco I per la Francia, in alleanza con Genova. I pirati barbareschi, da parte loro, non furono meno pesanti. Le cronache galluresi contano moltissime loro incursioni, sia prima di Lepanto che dopo. Compreso il terribile saccheggio di Terranova da parte del celebre Dragut, nel 1553.
Per stare ai soli fatti comprovati, non si seguono le ipotesi, pur fascinose e intriganti, esposte da Gin Racheli sulla vita nelle isole in questo stesso periodo ma che noi non sapremmo documentare. Da questa benemerita amica scrittrice si può prendere, però, l’immagine di “sonno inquieto”, in cui le isole sarebbero state immerse nei primi secoli della cosiddetta età moderna. In tutte le vicissitudini della Gallura, infatti, esse non ebbero parte, sebbene quegli eventi abbiano impegnato, sia nelle guerre che nelle pestilenze e nelle aggressioni barbaresche, i litorali prospicienti. Solo le cale dell’arcipelago furono utilizzate dai “turchi” per soste e riparo, e ancora oggi si mantiene traccia del loro passaggio nei toponimi espliciti presenti sia nella tradizione orale che nelle carte nautiche.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma