La guerra delle sedie
Nel tardo autunno del 1790 la comunità parrocchiale isolana fu squassata da uno scandalo raccontato, con molti particolari e con passione di parte interessata, da don Giacomo Mossa al viceré con una lunga nota datata 5 novembre di quell’anno. Il racconto, seppur unilaterale, rappresenta uno spaccato di vita isolana, arricchito dalla curiosità dell’oggetto del contendere, dalle considerazioni di costume e dai giudizi sulle situazioni e sulle persone. Intanto anche da questo testo si evincono indicazioni di dettaglio che altrimenti sarebbero mancate a questa narrazione. Si viene a conoscere, infatti, che la domenica e i giorni festivi si celebravano due messe e che esisteva l’organismo dei massari, evidentemente l’equivalente dei fabbriceri, che provvedevano in collaborazione col parroco al mantenimento dell’edificio, e dell’attuale consiglio pastorale per l’organizzazione della vita parrocchiale.
La questione delle sedie era già presente, secondo don Mossa, da qualche tempo, ma esplose con la decisione di far pagare 5 soldi al mese per l’uso di una sedia nella chiesa per seguire le funzioni religiose “per comodo di sua moglie o figlia, e con l’intervento presso il viceré contro tale decisione del bailo Carzia, alla Maddalena da qualche anno in sostituzione di Foassa. Il comandante Raynardi rese edotto (ma più precisamente fece la spia) il parroco, appena rientrato da qualche giorno di assenza, dell’iniziativa del bailo, e don Mossa intervenne anch’egli presso il viceré per rigettare l’accusa di una decisione denunciata dal bailo come unilaterale, abusiva e illegittima. L’iniziativa del capitano Raynardi presso don Mossa e contro Carzia si inscriveva in una lotta tra gruppi contrapposti, che caratterizzò in quegli anni la vita della comunità maddalenina, e che opponeva il gruppo che faceva capo al bailo e a Paolo Martinetti (un corso venuto a risiedere all’isola, che fu consigliere e sindaco, e che sapeva leggere e scrivere), opposto al gruppo intorno al comandante Raynardi e a buona parte della famiglia Cogliolo e al chirurgo corso Alfonsi.
Don Mossa argomentò che aveva dovuto prendere la decisione di “tassare” le sedie “non di mio capriccio, ne per mio utile, e non tanto per il piccolo lucro della predetta chiesa quantunque povera e priva di qualunque sussidio, fuorché della tenue limosina con cui miserabilmente si regge, bensì ho fatta la detta pubblicazione per le preghiere e replicate istanze che mi fecero il consiglio comunitativo e li massari di detta chiesa: coll’idea di reprimere in tal modo a particulari la volontà di portare in chiesa delle sedie e d’impedire i disordini ed inconvenienze che si commettevano; e la causa principale che indusse detto consiglio e massari e me in obedirglifu di vedere che la chiesa sì angusta si trovava così ripiena di sedie che malgrado il popolo e regia truppa andasse la metta alla prima e l’altra alla seconda messa, non poteva cappire la quarta parte delle genti per l’occupazione di dette sedie“.
L’indignazione per essere stato denunciato fece andare sopra le righe il sacerdote, e usò parole gravi nei confronti del delatore Carzia, che aveva seguito “i suoi bestiali capricci e le innate passioni di malignità e di turbolenza”. Era stato lo stesso bailo, denunciò a sua volta il sacerdote, ad avviare l’uso delle sedie in chiesa per “moglie e figlia per distinguerle dalle donne isulane, ciocché diede appunto motivo alle medesime di seguitar le pedate ed in breve tempo si vidde la piccola chiesa ripiena di sedie così che sembrava un anfiteatro e non più casa di Dio“. L’occupazione totale dello spazio per i fedeli da parte delle sedie non permetteva agli uomini e alla truppa di partecipare alla celebrazione dei riti sacri, ragion per cui i massari si videro costretti a vietare l’uso delle sedie per tutte le fedeli, comprese la moglie e figlia del bailo. Fu mantenuto solo il piccolo banco da sempre a disposizione e distinzione del comandante, che don Mossa rappresentava tanto ridotto per cui la numerosa famiglia del capitano Raynardi doveva partecipare alle Messe dividendosi nelle due funzioni previste.
La difesa del parroco proseguì informando il viceré che il bailo aveva apparentemente apprezzato la decisione dei massari, e aveva anche affermato che nessuno doveva aver privilegi in chiesa. Ma contemporaneamente lo stesso tramava con il suo “partigiano” Martinetti perché il consiglio chiedesse la eliminazione del banco del comandante. Don Mossa affermò addirittura che Martinetti da sindaco, unico del consiglio che sapesse leggere e scrivere, avesse ingannato l’organismo comunitativo richiedendo a nome di tutti la rimozione del banco ma facendo credere ai consiglieri di aver scritto altro. Non essendo riuscito nell’intento di azzerare le sedie, Carzia “si risolse di far rinnovare le sedie della moglie e figlia, anzi da semplice che era quella della moglie la fece raddoppiare con un ginuchiatoio, cosiché prende il luogo di quattro persone“. Per imitazione le isolane ripresero a portare le proprie sedie in chiesa, e mentre il parroco si affannava a tentare di bloccarle, Carzia fece portare anche quella della sua serva. Ritornata la situazione alla intollerabile condizione di prima, i massari e il consiglio suggerirono l’espediente di “tassare” la sedia. La trovata fu efficace, al punto che “per evitare il pagamento dei cinque soldi da cento e più sedie si viddero ridurre solamente al numero di circa venti”. Don Mossa non si accontentò di concludere a questo punto la sua difesa sulla questione delle sedie. La sua irritazione era tanta che passò all’attacco con pesanti giudizi sulla persona del bailo e del suo operato. Tanto avvenne in un clima particolarmente rissoso tra le due fazioni di cui s’è accennato, per cui il parroco si trovò oggettivamente a danneggiare il bailo Carzia, pur senza parteggiare per il partito avverso di Raynardi-Coliolo-Alfonsi. Il sacerdote avviò questa parte della sua relazione protestando il dovere che sentiva di rendere edotto il governo di quanto gli risultava sul personaggio e i suoi maneggi, pervenendo al più pesante pettegolezzo. “Ho sentito dir più volte alle predette isolane – riferì don Mossa – che la moglie del sig. bailo non è una dama né moglie di qualche cavaliere, bensì moglie di un uomo che sposò nel tempo che uscì di fare il servitore al fu sig. cavaliere Lascaris, governatore di Castelsardo, e che per esser bailo al presente non deve in chiesa esser distinta più delle altre donne“. “Maggiormente eccellenza a dirglela da sacerdote – rincarò lo stesso – che questo sig. bailo non è in grazia di veruno, assicurandola che da dieciotto anni che ho l’onore di pascolar questa povera greggia non mi son mai trovato in simili impici, come dal tempo che vi è questo sig. bailo, il quale per la poca e nulla giustizia che somministra a questi popolatori. Per la sua maliziosa ignoranza in vece di godere a far goder la pace, mantiene questa popolazione come Iddio sa’. Purtroppo la detta popolazione sarebbe per se stessa un campo di pace e di concordia, ma se chi deve addotrinarla e dargli i buoni esempi cerca disturbi ed insolenze per forza deve rendersi cattiva“. Stranamente i documenti esaminati non ci dicono come andò a finire la questione delle sedie, ma si può presumere che, se il problema non si ripropose ancora con i toni forti che abbiamo letto, l’esborso mensile ne limitò l’uso in termini ragionevoli.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma