La Maddalena e le sue isole in età punica e romana
L’isola di La Maddalena è tradizionalmente identificata con l’llva insula di Tolomeo (3,3,8), mentre la vicina isola di Caprera, nel senso di ‘isola delle Capre’ andrebbe identificata con la Phintonis insula (Phintonos nesos) di Plinio, Tolomeo e Marziano Capella
(Phintonis insula: PLIN., nato 3, 83; MART. CAP. 6, 645 (Pintonis); PTOL. 3,3,8). La denominazione di ‘isola delle Capre’ potrebbe essere più recente e può essere confrontata con numerosi altri casi noti nel Mediterraneo.
Nelle due isole principali e nelle altre dell’Arcipelago sono pochi i ritrovamenti archeologici: è noto che Giovanni Spano segnalò già nell’Ottocento alcune sepolture romane, con monete (tra le quali repubblicane ed imperiali di Antonino Pio, M. Aurelio, Filippo l’Arabo e Costantino) e materiale ceramico di età imprecisata. Nessun reperto di età punica e romana è segnalato in SITAG.
Il Museo Navale “Nino Lamboglia” di La Maddalena conserva una parte del carico della nave romana di Spargi, il primo relitto sottomarino esplorato con scavo stratigrafico: la nave sarebbe affondata verso il 120-100 a.C. mentre era in navigazione da Ostia verso le Baleari ed in particolare verso la colonia di Pollentia, fondata nel 123 a.C.
L’archeologa maddalenina Paola Ruggeri ha recentemente spiegato il toponimo Phintonis insula, collegandolo ad una presenza siracusana nelle Bocche di Bonifacio, a controllo della rotta tra Sicilia e Sardegna nel V secolo a.C. e con riferimento ad un epitafio in distici elegiaci scritto nel III secolo a.C. dal poeta-viaggiatore Leonida di Taranto che sarebbe in connessione con la tragica morte, avvenuta probabilmente per naufragio, di un Fintone, figlio di Bàticle, nativo di Ermione in Argolide (LEON., Anth. pal. VII, 503, vd. RUGGERI 1999, pp. 107 ss.): il passante, non sappiamo se il poeta stesso, si rivolge, secondo uno schema usuale all’epigrafia funeraria, ad un antico tumulo, forse un cenotafio, che sorgeva sulla spiaggia di un’ isola, domandando di chi fossero le spoglie che esso conteneva; gli viene risposto che la tomba conteneva il corpo di Fintone, ucciso dal mare in tempesta sotto la furia dell’impetuoso vento del Settentrione, scatenato da Arturo, la fulgida ma sinistra stella della costellazione di Bootes. Pur ristretto nel breve spazio di quattro versi, il tema è quello del naufragio, della navigazione con i pericoli che essa comporta, della rotte seguite osservando la posizione delle stelle che a volte guidano il cammino ma possono di frequente preannunciare l’arrivo di tempeste; il tema è soprattutto quello dell’impavido marinaio che sfida l’amato e odiato mare, un motivo ricorrente in un filone letterario, quello dei racconti di mare, estremamente fecondo anche ai giorni nostri.
Dél resto Leonida spesso attinge ai coloriti e talvolta fantasiosi racconti degli uomini di mare, dei marinai e dei pescatori; racconti ascoltati forse durante la sua vita errabonda, tra Cos, Atene e la Magna Grecia, una vita ricordata un po’ malinconicamente nei versi dell’epitafio per la sua tomba di poeta-girovago.
Questo epitafio sembra possa essere effettivamente collegato alla misteriosa denominazione
dell’insula Fintonis, in Sardegna, uno strano nesonimo che indicava nell’antichità l’isola di Caprera e che compare nella Naturalis Historia di Plinio il vecchio, nella Geografia Tolomeo ed in Marziano Cappella; erroneamente interpretato dal De Felice come un nome di origine mediterranea (DE FELICE 1964, pp. 100 s.), il nesonimo Fintonis insula può essere ora connesso con le vicende successive alla battaglia del Mare Sardonio e con il tentativo di Siracusa di riaffermare, specie in funzione anti-etrusca, una presenza militare greca nel braccio di mare tra la Sardegna e la Corsica, il così detto Fretum Gallicum,le attuali Bocche di Bonifacio, chiuse a Nord dal Porto Siracusano (forse Bonifacio o più probabilmente Santa Manza) ed a Sud da Longone (Santa Teresa), due denominazioni riferite già dal Pais ad ambito siracusano, che potrebbero conservare tracce di una presenza militare della flotta di Dionigi il vecchio e di Agatocle nelle Bocche di Bonifacio, per contrastare gli Etruschi della Corsica ed i Cartaginesi insediati in Sardegna.
Del resto ci rimangono tracce esilissime dei più antichi racconti marinari di avventurose navigazioni, tempeste, naufragi, incontri con spaventosi e fantastici mostri marini nei mari tra la Sardegna e la Corsica, in quel canale che le fonti chiamano Tafros: racconti riferibili ad età arcaica e poi sviluppati si forse nell’ ambito delle relazioni tra le due isole tirreniche ed il mondo siceliota nel corso del IV secolo a.C. Una leggenda riferita da Servio raccontava del mitico Forco, figlio di Nettuno e padre delle Gorgoni, che era stato re della Sardegna e della Corsica e che veniva venerato come una divinità marina. Antiche leggende marinare parlavano poi di mostri marini, i favolosi arieti di mare, identificati oggi con l’ orca gladiator, che secondo Eliano trascorrevano l’inverno nei paraggi del braccio di mare della Corsica e della Sardegna, accompagnati da delfini di straordinarie dimensioni, che si nutrivano delle ghiande marine prodotte dalle querce subacquee del mar di Sardegna (AEL. nato ano 15,2). E poi lo storione sardonico, il pesce identificato da uno scoliasta con il trugone o con la pastinaca marina, che avrebbe fornito l’aculeo utilizzato per la lancia di Telegono, il figlio di Circe, fondatore di Tusculo, lancia impiegata per uccidere il padre Odisseo.
Molti dei luoghi collocati sullo Stretto o in prossimità di esso conservano una denominazione greca antichissima: l’isola di Eracle (l’Asinara) e la Callòdes nesos· (forse una delle isole maggiori dell’arcipelago di La Maddalena) avrebbero un’origine ionica; gli Heras lutra (forse una delle isole prospicenti il golfo di Cugnana a Nord di Olbia) e le Leberldes insulae andrebbero collegate a tradizioni marinare massaliote. Gli stessi nomi che indicano la Sardegna, Ichnussa e Sandaliotis, del resto, hanno un’ antica origine greca che è sicuramente precedente a Timeo.
In questo quadro estremamente complesso, si inserisce anche il raro ed enigmatico nesonimo Phintonis insula, che forse può essere collegato con un’antica denominazione della marineria greca: in età ellenistica, una serie di informazioni desunte da precedenti racconti orali di navigatori e commercianti che avevano percorso le rotte del Mediterraneo Occidentale, forse raccolte in una o più opere a carattere pseudo-scientifico e geografico, vennero trasposte poeticamente e confluirono in parte nella grande produzione epigrammatistica del III sec. a.C., dedicata ai temi del mare, della pesca, del naufragio, dei pericoli della navigazione. Fintone fu forse un marinaio o un nocchiero greco perito in una delle isole dell’ arcipelago della Maddalena; almeno dovette esistere un’ antica tradizione, originatasi da un accadimento concreto e reale, legata ad un personaggio storico, morto in un naufragio: una tradizione con forti connotazioni locali, come si può supporre dalla circoscritta area di diffusione del raro antroponimo Fintone, un personaggio che con il passare del tempo aveva assunto quasi connotati mitici, in un’ area legata al contesto culturale dorico peloponnesiaco, al quale apparteneva del resto l’argolico Fintone e lo stesso Leonida, originario, come si è detto dell’unica colonia spartana d’Occidente.
Il marinaio Fintone fu forse il protagonista di una saga marinaresca, che si colloca all’interno di un interesse di Siracusa verso le coste sarde, sia pur estremamente frenato dalla presenza punica nell’isola: tale ipotesi sembrerebbe in qualche modo confermata dal preciso contesto geografico (la tempesta provocata da Arturo, con vento da Settentrione) e cronologico (1’antichità del tumulo collocato sulla spiaggia, rispetto all’età dell’epigrammatista Leonida di Taranto).
Plinio il vecchio aggiunge una preziosa informazione sulla denominazione dello Stretto di Bonifacio, che prendeva il nome di Taphros fretum, nel senso di “fossa”, in relazione alle isole dell’ arcipelago, le Cunicularie (Cuniculariae insulae: PLIN., nato 3,83; MART. CAP .. 6,645; Tab. Peut. 4,1, Cunicularia), l’isola di Fintone (PLIN., nato 3, 83; MART. CAP. 6, 645 (Pintonis); PTOL. 3,3,8) e le isole Fossae (lnsulae Fossae PLIN., nato 3, 83; MART. CAP. 6, 645 (da intendersi isole della Fossa, traduzione latina di Taphros): attenendosi ad una traduzione letterale del testo di Plinio, Paola Ruggeri ha immaginato che la denominazione dei tre distinti gruppi di isole (o di singole isole) possa spiegare il senso della denominazione Taphros, attribuita al canale tra la Sardegna e la Corsica, quasi che i tre nesonimi siano accomunati nel significato o perlomeno nel senso, al fine di chiarirne l’origine e soprattutto le caratteristiche delle rotte che attraversavano lo Stretto. Se veramente l’isola di Fintone è da intendersi come ‘l’isola del naufragio di Fintone’ e le Fossae sono da intendersi come il gruppo di isole allargo delle quali i fondali presentano pericolose irregolarità, non è possibile intendere Cuniculariae nel significato tradizionale di “isole dei conigli”, che sembrerebbe raccomandato dall’identificazione con le insulae Leberides, le isole dei conigli della Sardegna occidentale (PLIN., nato 3, 84): Plinio in realtà deve aver utilizzato il termine cuniculus nel senso di canale, in relazione agli stretti bracci di mare tra le isole e alle difficoltà che ne derivavano alla navigazione, a causa della presenza di scogli affioranti. Del resto non sembra attestata a livello di resti faunistici una particolare diffusione di conigli nelle isole dell’arcipelago; e la denominazione insulae Leberides è stata spiegata più che con riferimento ai conigli (leberìs) anche come un errore nella tradizione manoscritta per la più diffusa forma insulae Baliarides, come isole analoghe ma più piccole rispetto alle Baleari. D’altra parte anche le denominazioni medioevali attribuite alle antiche Cuniculariae, dai marinai pisani e genovesi, Isole dei Carruggi e Isole dei Budelli, si sarebbero sviluppate sulla scorta di un’esperienza e una conoscenza diretta, legata alle modalità e alle esigenze della navigazione e costituirebbero una sorta di inconsapevole calco dialettale di cuniculus, inteso come canale.
Si può osservare dunque che anche il nesonimo Phintonis (insula), legato al tema della navigazione e del naufragio, sembra connettersi ad una serie di determinazioni onomastiche sorte in relazione ad una frequentazione di transito mercantile, nell’area del Taphros, il Fretum Gallicum dei Romani, intensamente attraversato dalle navi che percorrevano le rotte verso la Penisola Iberica e quella Italica; e questo sin dal VI secolo a.C., al momento dell’espansione foce se nel Mediterraneo occidentale, con la fondazione della colonia di Marsiglia: in quest’ ottica, la conoscenza delle linee di costa, delle secche, dell’andamento dei venti, degli approdi naturali, delle distanze tra un’isola e l’altra, si rendeva necessaria per il buon esito della navigazione. Dunque Taphros di Plinio è la traslitterazione del termine greco Taphros nel senso di ‘fossato’, ‘fossa’, ‘trincea’, che indicava il canale di Bonifacio nel suo complesso, per i naviganti massalioti o siracusani; e le isole Fossae hanno in parte mantenuto successivamente questa antica denominazione. Ma anche l’isola di Fintone doveva con il nome ricordare leggendari naufragi, divenuti proverbiali per gli intrepidi marinai greci.