Come la pensavano i pastori maddalenini e cosa dicevano al principe di Genova
Le notizie che venivano dalle isole allarmarono a buona ragione i maggiorenti bonifacini, che attivarono il commissario Bernardo Oldoino (o Aldovino). Questi non trovò niente di meglio da fare che ripetere la sterile liturgia delle testimonianze degli anziani bonifacini sul possesso delle isole ab immemorabilis, della dipendenza spirituale dei pastori maddalenini dalla parrocchia bonifacina di S. Maria Maggiore e della giurisdizione penale e civile sulle isole della curia di Bonifacio. Non risultò più efficace l’invio alla Maddalena del cancelliere della stessa curia bonifacina, Scotto, per raccogliere direttamente anche da quei pastori le loro testimonianze giurate. Secondo le relazioni presentate al commissario, Scotto si sarebbe recato più volte nelle isole tra il giugno e il settembre 1767, e avrebbe raccolto le testimonianze dei pastori dello stesso tenore di quelle fornite a Bonifacio. Ma il cancelliere dovette svolgere anche un’azione di sostegno dei sentimenti di fedeltà dei maddalenini alla Serenissima, registrando dichiarazioni di Domenico Culiolo, di Giuseppe e Francesco Ornano e di Marco Alfonsi, secondo i quali gli isolani volevano rimanere sotto il dominio genovese. A riprova di ciò denunciarono il tentativo di pressione che avevano subito qualche mese prima da parte di un bonifacino residente in Sardegna, certo Santi, che recatosi nelle isole con altri sardi li avrebbe censiti e allettati ad accettare il dominio sardo, avrebbe inolre promesso loro la costruzione di una chiesa e li avrebbe invitati anche a utilizzare pascoli della Gallura. I documenti sardi non accennano a questo Santi e alla sua attività, ma i tempi suggeriscono che potrebbe essersi trattato di un corso utilizzato da Brondel nelle sue ricognizioni e nel rilevamento delle presenze nell’aprile dello stesso 1767, come due anni prima aveva fatto il conte Rivarola con il suo domestico corso.
Dovette essere un’estate diversa dalle solite per i nostri pastori, non solo perché quella situazione scombussolava la tradizionale partenza estiva nei loro soliti alberghi, ma anche perché dovettero fare il più classico doppio gioco tra il cancelliere Scotto e il vassallo Brondel. Il cancelliere ritornò nell’isola ai primi di ottobre, quando l’intelligence bonifacina aveva previsto la spedizione delle truppe del re di Sardegna, che invece avvenne pochi giorni dopo la sua partenza. Scotto dovette “ragionare” molto con i suoi corregionali, che non opposero alcun argomento contrario rispetto alle sue affermazione sulla sovranità del regno di Corsica sulle isole. Il cancelliere, d’altronde, non aveva niente di più da opporre agli invasori che una nota di protesta e un vessillo della Serenissima, non potendo certo contrapporre validamente alla “violenza” dei savoiardi il petto suo e dei pastori. Quando abbandonò le isole, stanco di attendere il nemico invasore che non arrivava, lasciò ai pastori il testo della denuncia del sopruso e il drappo di S. Giorgio. Della nota scritta si ha notizia certa che sia stata consegnata al comandante della spedizione La Rocchetta. Il drappo, invece, sembra non abbia mai sventolato in faccia al nemico sardo-piemontese.
Il doppio gioco dei maddalenini fu evidenziato nell’unico documento diretto, sinora rintracciato, di cosa volevano far credere ai Serenissimi della loro posizione sulla questione. Questo testo lo si propone integralmente perché inedito ma anche perché è una eccezionale verifica dell’atteggiamento degli isolani in quel frangente decisivo. Costretti a barcamenarsi tra presente e futuro con intelligenza tattica piuttosto che con malizia istintiva. Si tratta di una trascrizione dal francese, giacché il documento è un estratto dal “Giornale straordinario dal 1766 al 1768” della Cancelleria reale di Bonifacio, che originariamente doveva essere stato redatto nell’italiano dell’epoca e poi trascritto in francese per l’utilizzo presso il governo di Parigi:
“L’anno 1767, giovedì 26 marzo, nella sala del Palazzo pubblico è comparso Matteo Culiolo figlio di Pietro, di Bonifacio, abitante nelle isole adiacenti a questo territorio nello stato della nostra Serenissima Repubblica, il quale a seguito del giuramento prestato sulle Scritture nelle mie mani di cancelliere ha di tutto punto deposto quanto segue.
La scorsa domenica 22 del corrente mese di marzo, ho visto nel porto di S. Stefano una galeotta e un pinco con la bandiera di Savoia, e qualcuno di coloro che sono con me alle dette isole occupati alla coltivazione dei terreni ed alla custodia del bestiame sono andati presso quel porto a guardare i grani e nello stesso tempo a controllare le bestie. Al loro arrivo fu ordinato dal capitano del suddetto pinco, che dice di essere il cavaliere Brondelli, di far sapere a tutti quelli che stavano nelle dette isole che andassero da lui per conoscere quanto aveva loro da dire. Su questa intimazione siamo partiti, io e tutti gli altri in numero di quaranta, e ci siamo recati al porto di S. Srefano. Colà il comandante il comandante del pinco, che afferma essere il cavalier Brondelli al servizio di sua maestà il re di Sardegna, ci dichiara a tutti quanti che noi siamo che i terreni nei quali seminiamo erano di proprietà del re suo sovrano; che noi siamo suoi sudditi, che dobbiamo riconoscerci per tali e sottoscriverlo; così parlando il detto comandante tirò fuori uno scritto, facendo pressione perché noi sottoscrivessimo in basso e di dichiararci sudditi del suo re. A questo discorso io e tutti gli altri abbiamo risposto che il terreno apparteneva al nostro serenissimo principe da molti secoli, e che non riconoscevamo nient’altro che la serenissima repubblica di Genova, per la quale saremmo morti mille volte piuttosto che riconoscerci sudditi di un altro. Allora il detto comandante, dopo averci ripetuto che lui era il cavalier Brondelli al servizio di sua maestà il re di Sardegna, ci ha rivolto le seguenti parole <<Il re invierà delle truppe e dei bastimenti e voi vedrete se siete suoi sudditi o della repubblica di Genova”. A ciò abbiamo risposto che non credevamo per niente che quelle fossero le intenzioni del re di Sardegna, ma qualora fossimo obbligati ad abbandonare ciò che possediamo, che ci è costato tanto sudore e fatica, a ciò avrebbe provveduto il nostro principe di Genova. Allora noi ce ne andammo via e alla nostra partenza il detto comandante ripeté <<Ricordatevi che siete sudditi del mio re>>. Lo stesso documento nel prosieguo ha dato atto che alla deposizione di Matteo Culiolo seguirono subito dopo, nella stessa giornata, le dichiarazioni rilasciate al medesimo cancelliere da altri 4 pastori isolani, Pietro Millelire, Francesco Ornano, Domenico Mariano e Gio’ Andrea Ornani. “Queste deposizioni – si legge – vanno sullo stesso oggetto, contengono gli stessi fatti e usano le stesse parole della precedente”.
Il “Giornale straordinario” proseguiva, inoltre, riportando la deposizione rilasciata da Marco Maria Zicavese, figlio di Marco, rilasciata il due maggio 1767. Era stato convocato con un’apposita ordinanza del commissario per relazionare cosa stesse accadendo alle isole. “Questa settimana santa ero nell’isola chiamata Caprera – dichiarò Marco Maria – Essendosi ancorato il pinco di sua maestà il re di Sardegna, lo scrivano di quel bastimento è sceso a terra e ci ha detto che è stato inviato dal cavalier Brondelli, comandante di detto pinco. Questo scrivano è venuto nel luogo dove stavo, ha scritto i nomi di tutte le famiglie, compresi uomini e femmine che sono nelle dette isole, e ha dichiarato che dopo poco sarebbe stata costruita una parrocchia e che noi saremo sudditi del re di Sardegna. A ciò io e tutti gli altri abbiamo risposto che siamo sudditi della nostra serenissima repubblica di Genova, e che non vogliamo per nulla riconoscere altro sovrano, e quindi se ne andò. Richiesto ha risposto: ho 23 anni circa”.
Queste ultime deposizioni risultano speculari delle due relazioni di Brondel riportate più sopra in ampi stralci. La prima, di Matteo Culiolo e più, si riferisce alla circostanza relazionata da Brondel, avvenuta il 19 marzo e non la domenica 22 marzo, su iniziativa di 40 pastori. Nelle carte bonifacine i quaranta risultano, invece, convocati autoritariamente da Brondelli, che li avrebbe minacciati di un’occupazione armata, giacché avevano rifiutato di sottoscrivere un documento di assoggettamento al re di Sardegna. La seconda, di Marco Maria Zicavese, risulta speculare al dispaccio del 24 aprile di Brondel al viceré. Questa appare più verosimile, anche se non riporta l’ennesimo tentativo del vassallo di far firmare loro la dichiarazione di sudditanza. La dichiarazione del caprerino si riferiva, evidentemente, alla sola situazione che s’era svolta a Caprera, ed è verosimile che Brondel si fosse recato alla Maddalena per fare l’ultimo tentativo di compromettere più esplicitamente gli isolani. D’altronde lo scrivano, identificabile nel Santi di cui hanno parlato altri pastori, che ha rilevato le presenze e lo stato delle famiglie per conto di Brondel, avrebbe proposto anche ai caprerini i termini di una presa di possesso pacifica e della erezione di una chiesa. Entrambe le dichiarazioni dei pastori nelle mani del cancelliere bonifacino manifestano in termini espliciti il loro forte rifiuto di divenire sudditi sardi e la loro enfatica determinazione a rimanere fedeli a Genova. Da come andarono i fatti si rileva la esattezza della relazione di Brondel, piuttosto che le dichiarazioni rilasciate alla cancelleria bonifacina. A questo punto si può anticipare che l’atteggiamento tenuto dai pastori isolani in occasione della presa di possesso delle isole da parte delle armi del re di Sardegna, ha confermato la valenza strumentale e doppiogiochista di quelle dichiarazioni.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma