La pesca delle aragoste
Questo tipo di pesca ha avuto anche nel passato delle limitazioni, con un periodo ben determinato di pesca consentita, che normalmente corrispondeva a quella attuale, da marzo-aprile ad agosto. Nel secolo scorso chi non riusciva a vendere il pescato entro quel termine doveva darne comunicazione alla Capitaneria, specificandone la quantità e la località del deposito. I preziosi crostacei erano indirizzati soprattutto al continente e a Marsiglia, dove venivano portati da una piccola goletta ponzese a due alberi, “burchiellu”, che periodicamente faceva il giro delle zone di pesca.
All’inizio di questo secolo i più vecchi aragostai erano Cavaliere e Vitiello; il primo viveva per tutto il periodo della pesca al Porto della Madonna, sulla spiaggia di Budelli oggi nota col suo nome e teneva i marrufi all’isolotto “d’a Cappa”; il secondo occupava, per lo stesso periodo una capanna a Porto Cervo. Anche in seguito continuò per gli aragostai l’abitudine di restare nella zona di pesca poiché si preferiva tenere sotto controllo le grosse ceste di mirto, “i marruffi” (dove le aragoste venivano conservate), che dovevano restare sempre in acqua, a circa 100-200 metri dalla riva, su fondale sabbioso per evitare la presenza dei pesci e quindi dei loro predatori, a 7-10 metri di profondità. I grossi vivai, contenenti 2-4 quintali di aragoste, dovevano essere controllati periodicamente per estrarne i crostacei morti e accertarsi che non vi fosse il terribile nemico, il polpo, capace di distruggere in pochi giorni la pesca di settimane. L’unico vantaggio in questo caso era che il polpo, così alimentato, cresceva bene e in fretta e diventava, cucinato, tenerissimo!
I pescatori che non consegnavano le loro aragoste alla goletta ponzese, le portavano periodicamente ai magazzini di La Maddalena, trasferendole nell’apposita “cascia di l’arigusti” e, prima di questa importantissima invenzione che consentiva un viaggio veloce e sicuro, in piccole ceste di mirto, foderate di paglia bagnata. Il viaggio diventava lungo perché ogni tanto la cesta doveva essere immersa a mare perché ogni tanto la cesta doveva essere immersa a mare perché le aragoste potessero “bere, sputar l’acqua e bere ancora”.
Malgrado tutte queste precauzioni alcuni animali morivano.
Piccolo aneddoto tramandato dai pescatori maddalenini di Cala Gavetta: “….. il peggiore nemico dell’aragosta non è l’uomo: è il polpo. Anni fa, alla Maddalena, alcuni vecchi e sapienti aragostai mi proposero in merito una specie di diabolico indovinello: “Se in una medesima nassa – mi dissero lievemente sogghignando – ci mettiamo un polpo, una murena e un’aragosta, tutti naturalmente indenni e di reciproche medie proporzioni, secondo lei, cosa succede?”. Io fui per rispondere subito: “Un putiferio”, ma subodorai l’inganno e rimasi con un risolino a mezzo. E infatti mi spiegarono: niente, non succede niente. I tre signori infatti, pur bramosi di balzare addosso alla propria vittima consueta, sono altresì terrorizzati dalla presenza del rispettivo nemico mortale: il polpo potrebbe abbrancare l’aragosta, immobilizzarla con i suoi tentacoli, paralizzarla con il suo liquido velenoso che sa iniettare sotto la corazza dei crostacei, disarticolarla infine col becco; ma mentre starebbe così battagliando verrebbe ingoiato dalla murena; la quale sarebbe felice di usare codesta attenzione al polpo, ma ben sa che l’aragosta, come d’uso, la inchioderebbe subito al collo con gli artigli, proteggendosi nell’armatura del suo morso venefico, e la “succhierebbe” adagio, adagio, come un sorbetto, lasciandole l’involucro della pelle flaccido ma intatto, tal quale un palloncino bislungo e sgonfiato; e l’aragosta arderebbe pel desiderio di fare questo servizio alla murena, ma un’occhiata al polpo la ridurrebbe a più miti consigli. E così, codesta nassa gonfia di ferocia, fame, odio e santa fifa, se ne rimarrebbe quieta e silenziosa quasi vi abitassero borghesucce triglie dai baffi all’Umberto…“
“a quarta i’ San Silverio”
Non tutti sanno che cos’è ’a quarta i’ San Silverio, il racconto ricorda che per i naviganti (soprattutto ponzesi), e sul mare, San Silverio è protettore; il patrocinio del Santo è continuo e ancora commuove i ponzesi che ancora oggi lo invocano nei momenti bui.
Ai tempi delle uscite in mare ‘a remi’ o con le prime barche a motore a pesca, alla fine della stagione e durante la divisione delle parti, i pescatori – gli aragostai e i corollari ponzesi – prelevavano ancora dai guadagni, così come avevano fatto i loro padri, la così detta ‘quarta’ di San Silverio. Il Santo era calcolato come uno di loro, presente e partecipante al lavoro e alla pesca, e quella parte del guadagno era offerta per il culto e per la sua festa annuale.
Una volta, al principio del nostro secolo, i pescatori si recavano a pesca nei luoghi più ricchi di aragoste con ‘i burchielli’ (i’ burchiell’), grossi gozzi con i fianchi forati che fungevano anche da vivai per le aragoste. Era importante che i crostacei giungessero vivi sui mercati – soprattutto in Francia, a Marsiglia – dove erano un lusso per chi poteva comprarle.
La corporazione degli aragostai aveva promesso di offrire a San Silverio, con una cerimonia solenne, l’emblema prezioso della loro attività, ovvero un’aragosta tutta d’oro. L’aragosta fu approntata, caratteristica e bellissima, ma non trovavano mai l’opportunità di offrirla al Santo; mancava sempre qualcuno dei promotori. Una domenica tutti avvertiti, sicuri e d’accordo sulla cerimonia; ma con amara e universale delusione all’ultimo momento la cerimonia era stata rimandata anche quella volta.
Finita l’ultima Messa e tornati tutti scontenti a casa, un brivido scosse tutta l’isola e i Ponzesi: il Terremoto! Si sollevò un grido di terrore, con implorazione al Santo: San Silverio salvaci! Ponza intera in lacrime. In un attimo tutti in Chiesa, dove senza più indugi gli aragostai offrirono commossi e compunti il loro dono simbolico al Santo. In ogni luogo dove arriva il ponzese porta con sé San Silverio e l’amore per la propria isola lontana.
A Marsiglia, alla Galite, in Sicilia, a Cagliari, a Olbia, a La Maddalena, nelle Americhe del Nord e del Sud, in Australia, in Canada, Belgio, Inghilterra e persino in Africa, in Tanganica, oggi Repubblica Democratica del Congo, il ponzese emigrante cerca il pane insieme a San Silverio.
Parzialmente tratto da “Il mondo della pesca” – Co.Ri.S.Ma – Giovanna Sotgiu
- Il mondo della pesca – I parte
- Il mondo della pesca – II parte
- Il mondo della pesca – III parte
- Il mondo della pesca – IV parte
- La pesca con le reti
- La pesca delle aragoste
- La pesca con le nasse
- La pesca con i palamiti
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