La sarda liberazione e l’espugnazione di Sassari
La reazione di Cagliari in seguito alla secessione di Sassari fu immediata: gli Stamenti, dati i numerosi moti antifeudali scoppiati nelle campagne sassaresi, mandarono Francesco Cilloco come commissario viceregio. La sua missione fu di contrastare i feudatari assieme ad altri quattro commissari e di continuare la propaganda antifeudale sostenuta dal suo amico G.M. Angioy. A incrementare l’azione dei delegati ci furono inoltre gli “strumenti di unione”: atti notarili in cui i comuni di un feudo dichiaravano di non riconoscere più l’autorità del feudatario e desideravano acquistarsi la libertà dietro pagamento di un riscatto. Questa legalizzazione fu approvata sia dall’ala moderata di Pintor, che si opponeva agli abusi feudali, sia dall’ala radicale di Angioy, che voleva l’abolizione totale del feudalesimo. Intanto le rivolte contadine aumentarono tanto da chiudere Sassari in un vero assedio che portò poi alla sua conquista. Il 28 dicembre 1795 Sassari fu infatti espugnata da un esercito contadino guidato da due sinceri patrioti democratici: il delegato viceregio Francesco Cilloco e l’avvocato giacobino sassarese Gioacchino Mundula. Il Governatore e l’Arcivescovo della città furono arrestati e condotti a Cagliari. Conseguenza di questo avvenimento fu una forte frattura tra le due fazioni del capoluogo, poiché i moderati disapprovarono il sovvertimento totale delle prerogative dei ceti privilegiati, vedendo i fatti sassaresi come una vittoria della propaganda giacobina da parte dei riformisti più radicali seguaci di Angioy.