La secessione sassarese
Dopo la morte del Pitzolo e del Marchese della Planargia iniziò un periodo che segnò l’ascesa personale di G. M. Angioy, caratterizzata dalla prevalenza delle forze democratiche a Cagliari e dalla diffusione degli ideali antifeudali nelle campagne di tutta l’isola. In questa situazione a Sassari crebbe l’esigenza – fomentata dai feudatari, dal clero e dai maggiorenti locali – di autonomia rispetto al capoluogo.
Il 31 luglio 1795 giunse al viceré Vivalda una missiva da parte del governatore di Sassari Gavino Santuccio, nella quale lo informava dell’organizzazione di una presunta ribellione guidata da Angioy e dai suoi seguaci per favorire una nuova spedizione francese.
Santuccio fece leggere la lettera alla Reale Governazione e decise di informare il Ministro di Guerra a Torino e il viceré della Corsica lord Elliot (commise un atto gravissimo poiché solamente il viceré aveva la competenza di curare i rapporti con le nazioni straniere).
La lettera, recapitata dal giudice Sircana, era di dubbia autenticità (probabilmente questo fu solo un pretesto per attaccare il governo cagliaritano). Il viceré Vivalda, contrario al tentativo di secessione di Sassari, il 2 agosto dichiarò l’infondatezza della lettera al collega corso chiedendo, insieme agli Stamenti, misure punitive. Ci fu un mandato di arresto per il giudice Flores, il quale scappò a Torino, perché ritenuto responsabile di tale avvenimento.
A Sassari i baroni e il clero iniziarono a temere nuovi arresti e, ad aggravare la loro situazione, vi fu l’aumentare delle rivolte nelle campagne contro le autorità feudali. Ciò portò i feudatari sassaresi a riunirsi l’8 agosto, minacciando la disobbedienza al governo di Cagliari e al viceré Vivalda che, il 10 dello stesso mese, emanò una circolare autorizzando i sindaci di tutte le ville a denunciare gli abusi feudali cui erano sottoposti. Questa circolare fu un tentativo da parte del viceré per limitare il potere feudale senza però abolirlo del tutto. I piemontesi, non riuscendo più a controllare la situazione a Cagliari, autorizzarono la disobbedienza di Sassari e del Capo settentrionale agli ordini viceregi che avessero ritenuto contrari ai loro interessi. La divisione e lo scontro tra Sassari e Cagliari fu un elemento controproducente alla politica patriottica e unificatrice dell’isola, che continuava a proporre le “cinque domande” alla corte torinese.
Di riproporre al sovrano la piattaforma politica delle “cinque domande” venne incaricato l’Arcivescovo di Cagliari Melano, che si recò prima a Roma dal Pontefice Pio VI e successivamente a Torino. Insieme alle cinque domande si aggiunsero anche nuove richieste quali l’istituzione di un esercito sardo, la sospensione delle nomine di cariche vacanti, l’abolizione della figura del viceré come tramite tra Stamenti e re e un’amnistia generale per i fatti del 28 aprile 1794 e del luglio 1795.
La piattaforma proposta, improntata alle posizioni dell’ala moderata del movimento patriottico sardo, il cui maggiore esponente era l’avvocato Efisio Luigi Pintor Sirigu, venne poi accettata dal sovrano con un regio biglietto dell’8 giugno 1796, lo stesso giorno in cui, come vedremo, falliva il generoso tentativo di Angioy di dare alla rivoluzione sarda un esito più avanzato e più radicale.