La tenuta di Garibaldi a Caprera
” …Io con premura innaffiavo le mie care piante, ed esse a poco a poco si rialzavano dal loro abbattimento e sembravano rivolgermi un sorriso di gratitudine. L’anima di quelle povere piante era in corrispondenza con la mia…”
Nel 1809, quando aveva sede a La Maddalena la Marina Sarda, giunse nell’isola un emissario del governo inglese con un importante messaggio per il Barone De Geneys. I tempi maturavano e le fortune napoleoniche stavano per tramontare. Era tempo di cominciare a pensare alla restaurazione del regno e Alessandro Turri, questo il nome del messaggero, dopo aver conferito con De Geneys, inviò al suo governo un dispaccio in cui si parla della “Causa d’Italia” e “dell’unione e dell’indipendenza italiana”. Il destino volle che quarant’anni dopo quel messaggio che costituisce uno dei primi atti unitari, approdasse nell’isola, reduce della disavventura della repubblica Romana, l’uomo che doveva realizzare l’unità d’Italia. Giuseppe Garibaldi giunse per la prima volta a Caprera il 25 settembre 1849. Arrestato dopo la fuga da Roma si era deciso di mandarlo esule a Tunisi, ma il Bey non volle accoglierlo e la nave che lo trasportava, comandata dal maddalenino Francesco Millelire, ebbe ordine di sbarcarlo a La Maddalena in attesa di determinazioni.
Gli era compagno il fido “Leggero”, il maddalenino Giovanni Battista Culiolo, che lo aveva seguito in tutte le sue peregrinazioni e che aveva avuto la sorte di assisterlo nel momento di maggior sconforto: la morte di Anita nella pineta di Ravenna. Ad accogliere gli esuli c’era a Cala Gavetta tutta la popolazione; Leggero rimetteva piede sul suolo natio dopo tanti anni e tutti volevano conoscere l’uomo di cui era giunta nell’isola l’eco di tante gesta. Numerosi altri maddalenini gli erano stati vicini: Giacomo Fiorentino era stato il primo caduto della prima battaglia di Garibaldi in difesa della Repubblica di Rio Grande do Sul e Antonio Susini, eroe della battaglia del Salto, era stato da lui lasciato al comando della Legione Italiana di Montevideo. Durante quel primo soggiorno Garibaldi volle conoscere i parenti dei suoi fidi ed in particolare i Susini ai quali rimarrà poi legato da indissolubili vincoli di amicizia. Si recò a trovarli nella casa di Barabò, nella frazione Moneta, dove i Susini si apprestavano alla vendemmia.
Partecipò con loro al lavoro dei campi, alle soste gioiose, ai pranzi alle partite di caccia e di pesca. Proprio in quei giorni fu protagonista di un ardimentoso intervento ancora oggi ricordato da una lapide posta sulla facciata della casetta di Barabò. Durante una battuta di pesca salvò da sicura morte tre uomini e un bambino rovesciatisi con la barca. Uno di questi tale Tarantini, era forse il padre dell’unico maddalenino che partecipò all’impresa dei mille. A La Maddalena, dopo tante peripezie, Garibaldi conobbe finalmente una pausa di tranquillità in mezzo a gente nella quale poteva identificarsi: gente ardimentosa, fiera, ma semplice e schietta. Il suo primo soggiorno durò appena un mese, ma forse fù determinante per tutta la sua vita futura.
Prima di lasciare l’isola e partire verso l’esilio di Tangeri, indirizzò al sindaco Nicolò Susini una lettera, oggi riprodotta nell’atrio del palazzo comunale, nella quale esprime gratitudine all’intera popolazione per l’accoglienza ricevuta. Al ritorno dalla sua seconda avventura americana, deciso a mettere su casa e a dedicarsi alla famiglia, Garibaldi inizia il cabotaggio nel Mediterraneo. I frequenti viaggi lo riportano in Sardegna e a La Maddalena. Innamoratosi della terra sarda decise di acquistarvi un terreno e stabilirvisi definitivamente. Le sue attenzioni caddero dapprima sulla penisola do Capo Testa che contrattò con i fratelli Pes, detti “frati Pilosi”, successivamente gli fu proposto l’acquisto dell’isola di Coluccia, nei pressi di Porto Pozzo, ma furono i Susini a dissuaderlo consigliandogli di stabilirsi nell’isola di Santo Stefano. Garibaldi, infine, prescelse Caprera e con l’aiuto dei suoi amici riuscì a comprare alcuni appezzamenti di terreno dapprima da tale Ferracciolo e poi dagli inglesi Collins.
Nel 1856, dopo aver riattato a Caprera la vecchia casa di un pastore ormai ridotta a pochi ruderi, aiutato nei lavori dal figlio Menotti, si reca a Londra col duplice scopo di acquistare un imbarcazione e convincere la fidanzata inglese Emma Roberts a venire a vivere con lui nell’isola. Ma Emma per l’opposizione dei figli, non potè seguirlo e Garibaldi fece ritorno col suo sospirato “cutter” che in ricordo del fallito fidanzamento volle battezzarlo con il nome di “Emma”. Ritornato a Caprera iniziò i suoi commerci tra Nizza, Genova e la Sardegna trasportando anche materiali per la costruzione della sua casa.
Trasportò per prima cosa una casa di legno smontata che installò accanto alla prima casetta e così, nell’estate del 1856 poté essere raggiunto dai figli accompagnati da Battistina Ravello che egli aveva assunto per accudirli. Ma il destino doveva ancor più legarlo alla sua isola. Il 7 gennaio 1857, al ritorno da un viaggio da Genova, l'”Emma”, carica di calce, pozzolana, ferro e legnami, naufragò nei pressi di Caprera; fu una svolta decisiva nella sua vita, da quel momento egli decise di abbandonare il mare e di dedicarsi definitivamente all’agricoltura. Ben presto creò a Caprera, una piccola comunità di pastori, mezzadri, fattori e amici; la casa venne ingrandita e vennero via via aggiunte tutte le strutture necessarie: il forno, il mulino a vento, il magazzino per gli attrezzi, la stalla e la dispensa.
Circondato dall’affetto dei maddalenini e dei pastori galluresi presso i quali si recava sovente, Garibaldi, da avventuriero qual’era stato, divenne finalmente uomo, padre di famiglia, patriarca di una comunità che il pensatore rivoluzionario russo Bakunin che si recò a visitarlo nel 1864, definì “una vera repubblica democratica e sociale”. E a Caprera maturò il suo sogno di unità d’Italia con Roma Capitale. Gli avvenimenti successivi appartengono alla grande storia, ma pochi sanno che dopo lo storico incontro di Teano, dopo aver consegnato a Vittorio Emanuele un regno di nove milioni di abitanti, Garibaldi fece ritorno a Caprera con un sacco di sementi, tre cavalli e una balla di stoccafisso. Lo seguivano alcuni amici fedeli e per pagarsi le spese di viaggio gli fu necessario prendere a prestito 3.000 lire. A Caprera, però, Garibaldi non fu solo agricoltore, come la storia ci ha ormai abituato a pensare. Colui che aveva posto le basi dell’Unità d’Italia, divenne” il vate di Caprera” e Caprera fu meta di migliaia di persone, di misteriosi emissari, di influenti personaggi. Andavano a trovarlo rappresentanti di tutti i movimenti indipendentisti o rivoluzionari europei, dai russi ai greci, agli ungheresi, ai polacchi agli spagnoli e per tutti egli aveva parole di esortazione, consigli, preziose direttive.
Nel settembre del 1861, si reca a trovarlo il Ministro degli Stati Uniti per conoscere la sua decisione all’offerta fattagli dal presidente Lincoln di porsi al comando delle truppe confederate. Il resto, come abbiamo detto, appartiene alla grande storia. Nel suo anelito verso Roma Garibaldi fu inseguito e ferito da armi italiane, più volte arrestato conobbe l’ingiuria del carcere. Quella che è invece è poco nota è la sua vita a Caprera, specie negli ultimi anni, quando le conseguenze della ferita di Aspromonte, l’artrite e la malaria contratta in Sud America ne minavano il corpo, ma non l’indomito spirito. Schivo di onori e di ricompense, visse gli ultimi anni della sua vita in assoluta povertà. Gli fu compagna devota e fedele Francesca Armosino, una popolana piemontese che gli aveva dato tre figli e che egli riuscì a sposare due anni prima della morte dopo avere ottenuto l’annullamento del matrimonio con la contessina Raimondi.
Il “Leone di Caprera” si spense alle 6 del pomeriggio del 2 giugno 1882 e nella Casa Bianca di Caprera l’orologio fu fermato ed i fogli di un grande calendario non furono più staccati: segnano ancora oggi l’ora e il giorno della morte dell’eroe. Il suo corpo, come egli aveva desiderato, non fu cremato: non potevano essere bruciate e disperse le spoglie dell’eroe. E di quelle spoglie i maddalenini si proclamarono subito gelosi custodi mutando lo stemma comunale in quello attuale che raffigura il “Leone di Caprera”, che simboleggia Garibaldi, irto su uno scoglio che rappresenta l’isola a lui tanto cara. Da quello scoglio le spoglie dell’eroe, come dice il motto latino che contorna lo stemma araldico del comune di La Maddalena, vigilano e proteggono le coste d’Italia: “HEROIS CINERES ORAS TUTORQUE LATINAS”.
La zangola, esposta nella cucina di Caprera, sopra al caminetto, veniva utilizzata per la preparazione del burro; mediante la manovella collegata a un frullino, veniva impresso un moto rotatorio che consentiva di separare il burro dal siero del latte contenuto nel recipiente di vetro. La temperatura di zangolatura poteva variare da 7°C a 13°C, ma non doveva mai essere troppo alta, altrimenti il burro non solidificava.
Casa Garibaldi – Caprera