La toponomastica dell’Arcipelago de La Maddalena
Quando cominciai a studiare i primi documenti, i pochi incerti riferimenti toponomastici antichi, non immaginavo che la ricerca sull’Arcipelago potesse presentare tante difficoltà e che proprio da questa avrei tratto grande stimolo a proseguire il lavoro, nella convinzione che si potesse porre fine alle incertezze illuminando il buio che grava sulla toponomastica antica. Mi muoveva anche l’allettante prospettiva di fare qualche grossa scoperta. Mi affascinava il pensiero di poter scoprire qualche elemento prelatino o qualche toponimo di eta’ romana carico di storia.
In questi ultimi 60 anni l’interesse per la ricerca e la curiosità di approfondire ed allargare le scarne conoscenze scientifiche e storiche disponibili in pubblicazioni hanno stimolato sia l’osservazione sul terreno sia lo studio completo dei fenomeni naturali sia l’elaborazione e l’interpretazione di tante notizie sottratte al sonno degli archivi. Oggi possiamo giudicare buona la conoscenza dell’ambiente naturale e ricca e interessante la raccolta dei fatti degli ultimi tre secoli. Il buono stato delle conoscenze di un cosi’ lungo periodo e’ dovuto anche all’ampia documentazione disponibile che andava soltanto ricercata, elaborata e interpretata. L’Arcipelago, uscito da un secolare abbandono, suscitava l’interesse dei governi e diventava una meta ambita da tanta gente attratta non solo dal fascino della natura ma soprattutto dalla felice prospettiva di buoni guadagni. Basta pensare ai pastori corsi che gia’ nei secoli precedenti, superando la paura dei Saraceni, frequentavano l’Arcipelago praticando attività agricolo-pastorali accanto ad un lucroso contrabbando. Penso pure ai pescatori di corallo provenzali, liguri, toscani e campani che arrivavano numerosi per sfruttare i ricchi banchi dell’Arcipelago. Penso ai tanti pescatori campani di aragoste e di pesce attirati irresistibilmente dalla ricchezza di un mare vergine. Penso anche alle centinaia di operai piemontesi, liguri, emiliani e toscani arrivati per il lavoro nelle famose cave di granito.
La modesta documentazione che ci resta per il Medioevo riguarda la vita dei monaci che si erano stabiliti a Santa Maria e a La Maddalena, rassicurati dalla protezione delle navi di Pisa e di Genova, contro le incursioni degli Arabi, riguarda qualche nome delle Isole conservato nelle carte nautiche ed una descrizione ampia e precisa nei portolani.
Per l’Età Romana ci restano solo incerti riferimenti toponomastici di qualche autore e i risultati di qualche scoperta archeologica.
Per l’Età Preistorica abbiamo le tracce lasciate dai Corso-Galluresi che avevano in mano il commercio delle due materie più preziose e ricercate dell’Età Neolitica, l’ossidiana e la selce, abbondanti in Sardegna nell’Oristanese e nell’Anglona.
Per completare questa breve introduzione soffermiamoci un momento sul paesaggio naturale perché la sua conoscenza ci aiuta a capire la nascita dei più interessanti nomi, i loro mutamenti, la persistenza, il significato, la localizzazione. Infatti finché la toponomastica dell’Arcipelago rimase quella coniata dai naviganti, essa era formata da pochissimi toponimi attribuiti agli elementi naturali dell’Arcipelago più appariscenti e più importanti per essi e nati dalle voci del loro lessico, usate abitualmente per indicare questi elementi. Il braccio di mare delimitato dalle opposte sponde corso-galluresi mostra sul lato orientale un caratteristico festone di isole e isolotti simili ai ruderi di un gigantesco ponte naturale che congiungendo la Sardegna e la Corsica facilitava non poco in tempi lontani l’attraversamento di un mare cosi’ infido. Tre erano per i naviganti gli elementi naturali più importanti di questo paesaggio. Uno era l’intrico di canali e canaletti formato dall’Arcipelago. Un altro era l’isola de La Maddalena, la più importante per molti aspetti ma soprattutto perché offriva sulla sua costa meridionale i migliori rifugi, i porti più riparati e facilmente accessibili con ogni tempo avverso sia da levante che da ponente. Il terzo elemento, di gran lunga il più importante, era la via d’acqua che noi chiamiamo Canale o Estuario de La Maddalena, delimitata da un lato dalle isole La Maddalena, S. Stefano, Caprera e Bisce, dall’altro dalla articolata costa gallurese fra Punta Sardegna e Capo Ferro. Questo canale per secoli e millenni ha avuto una importanza straordinaria facilitando l’avvicinamento allo Stretto di Bonifacio sul lato orientale e il suo attraversamento sia in direzione Sud-Nord che in quella Est-Ovest. Esso fino all’Età Moderna era talmente noto e frequentato che nella cartografia medioevale il suo nome non era quasi mai taciuto, a differenza delle Bocche che erano delineate generalmente senza alcuna denominazione mentre i nomi delle isole erano addirittura sempre omessi.
Ora entriamo in dimestichezza con i toponimi. Le poche denominazioni antiche attribuite o attribuibili alle isole dell’Arcipelago ci sono fornite dalla “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio (I sec. d.C.), dalla “Geographia” di Cl. Tolomeo (II sec. d.C.), dalla “Tabula Peutingeriana” (III sec. d.C.), dal “Catalogo di Libero” (IV sec. d.C.) e dal “Liber Pontificalis” (non posteriore al sec. VII).
Plinio nella breve descrizione che fa della Sardegna comincia proprio dai suoi confini settentrionali e dalle isole più piccole dell’Arcipelago che egli chiama “Cuniculariae”, aggiunge poi i nomi delle due isole maggiori e cioè “Fossae”, detta anche “Taphros” in greco, e “Phintonis”, che viene ricordata pure da Tolomeo.
La Tabula Peutingeriana è una specie di carta stradale dell’Età Imperiale dove è raffigurata la rete delle strade con le località principali e le distanze. L’autore ha disegnato la Sardegna con la forma della pianta del piede e ha posto a Nord di essa un gruppo di quattro isolette denominate Herculis (oggi l’Asinara), Bertula, Boaris e Bovenna (queste tre appartenenti ovviamente all’Arcipelago).
Nella raccolta più antica delle vite dei Pontefici a noi pervenuta e chiamata Catalogo di Liberio dal nome del Pontefice che ne raccolse i frammenti troviamo il nome di un’isola Vocina in Sardegna come luogo di deportazione del pontefice Ponziano (235 d.C.) e del sacerdote Ippolito. Il Catalogo riporta cosi’ la notizia: “… exules sunt deportati in Sardinia in insula Vocina…”. Anche l’autore che prima del secolo VIII ha composto la nuova raccolta chiamata Liber Pontificalis conferma il luogo della deportazione e la denominazione dell’isola nella forma più regolare “Bucina”, come si legge nella maggior parte dei codici, e nella forma derivata “Bucinaram” (in un codice del XV secolo).
Nel Medioevo la diffusione dell’attività monastica, la costruzione di chiesette dedicate a S. Maria e a S. Stefano, la pratica dell’allevamento di capre, porci, vacche e asini da parte dei pastori corsi hanno favorito la nascita di nuovi toponimi, cinque dei quali sopravvivono ancora oggi. Sono soprattutto i portolani di allora che ci offrono indicazioni precise sulla nuova toponomastica. Il portolano intitolato “Lo Compasso da navegare” nelle sue varie redazioni attribuisce al Canale de La Maddalena la denominazione “Bucinara”. L’isola di Razzoli viene chiamata sia Budello sia S. Maria. Infatti per molto tempo Razzoli-S.Maria a causa della loro vicinanza non venivano indicate dai naviganti con nomi distinti ma con un unico nome: Budello o S. Maria e dal XVI secolo anche Asinea (come si legge nella Corografia del Fara) o Isole degli Asini. Ben presto il toponimo S. Maria soppianto’ gli altri, Asinea scomparve (ne e’ rimasta una traccia nel passo degli Asinelli) e Budello fini’ col localizzarsi nell’attuale isola di Budelli. Solo nella seconda meta’ del XVIII secolo, quando sarà avvertita la necessita’ di dare alle due isole nomi distinti, comparirà il toponimo Razzoli nella forma “Rezzola” (1766) e “Rassolo” (1777). Le altre isole nominate nel Compasso sono Spargi, Porcaira (oggi La Maddalena), S. Stefano (dalla chiesetta qui costruita e dedicata a questo santo), Cravaira (oggi Caprera), toponimo la cui base “Crava” tradisce l’origine genovese, l’isoletta Vacca, oggi Porco (isolotto a Ovest di Punta Rossa, molto noto per l’ottimo ancoraggio che offre), l’isola Archa (cioè l’Isola Rossa di Caprera, oggi penisola)( ) e infine Bissa (isola delle Bisce). Il nome Porcaira del Compasso è confermato anche in una lettera del papa Innocenzo IV al priore del monastero di S. Angelo nella forma Porcaria. Questo toponimo scomparirà nel XVI secolo per lasciar posto all’odierno Maddalena (Fara, Corografia). Da alcune lettere dello stesso papa scritte nella prima meta’ del XIII secolo al priore del monastero di S. Maria sappiamo che questo era situato nelle isole dei Budelli. Sempre dal XIII secolo l’Arcipelago veniva chiamato isole Buxinarie o Buccinare, denominazione che i Genovesi nel XVIII secolo sostituiranno con quella di isole dei “Carruggi”.
L’attribuzione dei toponimi molto antichi alle singole isole come anche la loro interpretazione presentano notevoli difficoltà specialmente quando essi sono localizzati in modo generico (per esempio nel Nord della Sardegna o semplicemente in Sardegna) o quando la loro identificazione e’ possibile solo in base a una corrispondenza fonetica. L’isola Bucina per esempio possiamo identificarla solo per una corrispondenza fonetica con la Buccinara, unica voce nella toponomastica antica e moderna delle coste sarde che ricordi Bucina e mancando per poterla individuare ogni altro sicuro riscontro (che io sappia) archeologico, storico, geografico che possa confermare le incerte localizzazioni del Fara e dell’Angius e dei loro seguaci (G. Arca, P. Tola, P. Martini, S. Pintus, A.F. La Marmora, G. Spano, E. Pais, ecc.) rispettivamente nell’isola di Tavolara e in quella di Molara. In questi casi difficili ci può aiutare ad orientarci il criterio della continuità cioè della persistenza, della sopravvivenza di un toponimo per tempi lunghissimi e sotto forma diversa per l’evoluzione naturale della lingua o per il passaggio da una lingua ad un’altra. Questo criterio ci permette di localizzare e interpretare un toponimo antico qualora scopriamo una sua forma recente, un suo semplice calco facilmente identificabile. Teniamo presente che e’ facile incontrare toponimi longevi, come per esempio quelli derivati da caratteristiche geomorfiche. Capo d’Orso conserva questo nome da millenni. Un altro esempio di sopravvivenza e’ la denominazione medioevale “isole dei Budelli” che e’ da considerare un calco delle “Cuniculariae” di Plinio col significato di isole degli angusti canali, quali sono per esempio il Passo degli Asinelli e il Passo Cecca di Morto (dalle voci lessicali budello e cuniculus nel senso derivato di stretto canale. Nei portolani medioevali il termine budello era molto usato per indicare gli stretti canali e le isole che li delimitano).
Queste considerazioni mi convinsero che fosse opportuno fare qualche ricerca sulla presenza di elementi prelatini nella toponomastica dell’Arcipelago. Sono arrivato cosi’ alla scoperta del toponimo Bovenna attribuito dall’autore della Tabula Peutingeriana a una delle tre isole piu’ importanti dell’Arcipelago. L’esame di questo nome rivela subito un’impronta formale prelatina sia nella radice bova – che nel suffisso derivativo – enna. Ma la convinzione che si tratti di un toponimo di origine mediterranea deriva soprattutto dal suo significato di “isola del canale o della fossa”, identico cioè a quello del toponimo latino Fossae. La suddetta interpretazione di Bovenna e’ possibile perché disponiamo di un numero notevole di voci lessicali e di termini antichi che derivano dalla base preindoeuropea bova e ne rivelano il significato cioe’ quello di “canale, fossa”. Anche per questo toponimo possiamo allora concludere dicendo che la voce lessicale “bova” o la forma derivata “Bovenna” sono state usate come toponimo del Canale de La Maddalena e che da esso l’isola principale ha preso il nome.
Ora passiamo ad esaminare le denominazioni più interessanti facendo prima notare che nella toponomastica antica delle isole e dei canali, basata su semplici voci lessicali, generalmente erano i canali che davano il nome alle isole.
I Romani usavano spesso il termine “fossa” per indicare il letto di un fiume o un canale artificiale per l’irrigazione o per la navigazione o un semplice canale naturale di modesta ampiezza; talvolta poi questo nome finiva con l’estendersi anche alla località vicina nella forma plurale “fossae”. Plinio nel descrivere l’Arcipelago nomina un’isola Fossae che dai naviganti era considerata principale punto di riferimento nelle Bocche tanto che da essa prendeva il nome lo Stretto (Stretto di Fossae o di Taphros in lingua greca). Questa premessa rende pacifica l’identificazione dell’isola Fossae con La Maddalena. I Romani hanno usato la voce lessicale “fossa” come toponimo del Canale de La Maddalena, e da esso l’isola principale della “Fossa” ha preso il nome.
Se i nomi del canale e dell’isola de La Maddalena erano quelli più importanti per i naviganti romani, dobbiamo ritenere che anche per i naviganti preindoeuropei corso-galluresi questi nomi fossero i più usati e anche essi derivati da Voci lessicali. E’ allora molto verosimile che Fossa e Fossae siano delle sopravvivenze, dei semplici calchi di toponimi prelatini; e’ anche verosimile che questi ultimi potessero arrivare fino a noi. Non dimentichiamo che la vicina Corsica ci offre numerosi esempi di toponimi di origine prelatina. Uno si conservava, ancora durante l’Impero (II sec. d.C.), nella sua estremità meridionale, cioè Palla o Pala (che significa rocca), l’antico nome di Bonifacio.
I due toponimi antichi che abbiamo attribuito a La Maddalena sopravvivono con lo stesso significato nella forma Bucina che è ricordata nel Liber Pontificalis e che la gente di mare preferiva al classico Fossae forse perché derivata da una voce (“bocína” nel senso di canale) che nel volgare parlato dei naviganti romani era più viva e familiare di “fossa” tanto che era diventata un elemento molto comune nella toponomastica mediterranea usata fra essi. Anche in Italia sono numerosi i toponimi derivati dalla voce “bocína” nel senso di canale, ampliata o meno con suffisso derivativo. I principali dizionari di toponomastica regionale ne riportano sempre qualcuno. Al lettore che aprendo un vocabolario di latino si meraviglia di trovare la voce bocina ma non l’altra forma parallela bocína nel senso derivato di canale debbo ricordare che questa non viene riportata perché non e’ documentata, tuttavia essa e’ stata usata con certezza perché ha avuto una continuazione nelle antiche lingue neolatine e nei dialetti, come in Francia e in Italia. Per quanto riguarda le due forme Vocína e Bucína, riportate nei cataloghi episcopali, faccio notare che la prima con le sue varianti grafiche e fonetiche corrisponde ineccepibilmente alla seconda.
Allora anche per Bucina possiamo dire che il toponimo è nato per indicare il Canale e che in seguito esso è stato attribuito anche all’isola principale. Quando la voce bucina nel senso di canale fu ampliata con suffisso derivativo dando vita alla nuova forma “bucinara”, anche il Canale e l’Isola presero questo nome. Il nuovo toponimo “isola di Bucinara”, attribuito a La Maddalena e documentato sia in un codice del Liber Pontificalis del XV secolo sia nei portolani, si conservo’ a lungo accanto a quello di Porcaria.
Dal XIII secolo fu usato anche un altro toponimo, sempre derivato dalla voce “bucinara”, e cioè quello di “isole Businare o Buxinarie o Buccinare” riferito all’Arcipelago per il caratteristico intrico di canali che forma. Nel XVIII secolo i Genovesi per usare un nome più vivo ed espressivo che mettesse in evidenza tale caratteristica coniarono la denominazione “isole dei Carruggi” abbandonando il vecchio toponimo di cui forse avevano perso il significato.
Possiamo concludere questa esposizione soffermandoci sui toponimi “Bertula” e “Boaris” riportati nella Tabula. Nel primo è facile riconoscere un termine del patrimonio lessicale sardo-corso ancora oggi in uso e facente capo al latino “averta” (bisaccia). Per poter identificare l’isola ritengo che sia necessario considerare la sua forma. Questa convinzione ci porta allora ad una scelta obbligata: S. Stefano, sia per la sua importanza che per la sua configurazione. L’isola infatti con il suo profondo seno di Villamarina rassomiglia ad una “bertula” dalle gonfie tasche, specialmente osservata dall’alto. Quanto alla denominazione “Boaris” andrà riferita per esclusione a una delle altre due isole più importanti del Canale, Caprera o l’isola delle Bisce. Poco chiaro e’ il suo significato, potrebbe essere una forma derivata dal latino “boa” (serpente, biscia d’acqua). Riguardo infine al toponimo più importante, La Maddalena, comparso per la prima volta nel XVI secolo nella Corografia del Fara, ancora oggi non sappiamo come sia nato e perciò dobbiamo affidare la speranza di saperne di più alle ricerche di qualche studioso appassionato e più fortunato.
Pietro Muntoni