L’appalto della chiesa a Domenico Porro
Foassa in quella occasione avanzò anche due preoccupazioni. La prima era relativa al pericolo di giochi al ribasso propri delle gare d’appalto, per cui propose di deliberare subito l’assegnazione dell’appalto “senz’aspettare che qualcheduno per l’ansietà del denaro si rompa il collo ed il travaglio sia stroppiato”. La seconda, che partiva dall’ipotesi che il cannoniere Porro dovesse essere il prescelto, rappresentava la necessità che Marciot gli spiegasse bene il piano e verificasse che l’avesse capito, per evitare errori che sarebbe stato poi difficile correggere. Alla lettera era allegato un promemoria dello stesso Foassa, anch’esso non del tutto leggibile, che ci fornisce alcuni elementi di particolare interesse sulle operazioni di concorrenza e su alcuni dettagli tecnici. Il bailo diede notizia delle osservazioni al disegno di “un mastro francese da Corsica nominato Antonio Terus“, che era stato già citato nella lettera per le sue perplessità circa la congruità dell’importo del calcolo, soprattutto in riferimento al sistema del ribasso. Nel promemoria del bailo si legge che con degli accomodamenti ed alcune precisazioni lo stesso maestro si proponeva^ di lavorare per 350 scudi. In particolare Foassa propose di eliminare un camino da fuoco da una delle due stanze adibite a casa del cappellano, quella più prossima alla chiesa, adibendola a sacrestia e risparmiando sul costo del camino. Ma i veri problemi erano posti dall’altare e dal dubbio che la parte superiore dell’edificio dovesse essere intesa come tribuna o come soffitta. A proposito dell’altare si legge: “l’altare di detta Chiesa sarà molta spesa all’impresaro farlo così scavato nella pietra di taglio benché sia cosa pulita e bella, si trova difficoltà di farlo così perché non vi sono piccapietre e il mastro dice che non gli torna a conto, ma si potrebbe farlo piano, a forma degli altri liscia come vi fosse un quadro“.
Nel frattempo si era esaurita di fatto anche la speranza di coinvolgere il vescovo nella spesa, ma senza rinunciare da parte del governo cagliaritano alla polemica a distanza sull’ultima scusa presa dal prelato tempiese che aveva riproposto la lamentela del suo presunto contributo alla “pensione”‘del cappellano della Maddalena. Il povero Foassa si trovò così impegnato a girare a mons. Arras Minutili una replica piccata del viceré che precisò: “Non può affermare [il vescovo] che la pensione che paga al cappellano deve considerarsi una sua contribuzione alla comunità. S.M. ha il diritto di imporre delle pensioni sulla mitra, che se non avesse disposto a favore del cappellano della Maddalena avrebbe dovuto corrispondere comunque ad altro sacerdote. Non è accaduto quanto Monsignore dice che gli avrebbe scritto Fravega e cioè che il Re avrebbe promesso di contribuire con 4.000 scudi. Fu il vescovo, come si rileva dalla copia della lettera qui unita, che sollecitò Fravega a chiedere che il Re contribuisse con tale somma“. In queste condizioni l’invito finale a continuare a tentare ancora di coinvolgerlo era solo un dato rituale.
Ormai però gli indugi furono superati, S. Domenico Porro prese l’incarico dell’impresa per 300 scudi e da Cagliari si avvertì con lettera dell’8 novembre che era partito per l’isola, “dopo essere stato da questo capitano tenente ingegnere Marciotti bene istruito sul disegno”. Si precisò inoltre che il mastro incaricato aveva convenuto essere di suo obbligo la fornitura e il trasporto del legname che non si poteva trovare nell’isola e che la popolazione non era tenuta a provvedere, e il trasporto della ferramenta. La nota si concludeva con l’invito a tener pronto il contante. A questo proposito non si hanno notizie di difficoltà a recuperare i denari del debito condonato da convertire in contanti per il pagamento dei lavori per la chiesa, mentre si ritrovano molte notizie su varie iniziative di ulteriori collette, al punto che a fine anno fu possibile addirittura erogare all’impresario un anticipo per l’impianto del cantiere. Il Consiglio Comunitativo procedette, proprio nel gennaio del 1782, a una sorta di tassazione una tantum con quote proporzionali al reddito diviso, secondo le indicazioni viceregie, in tre classi contributive. La partita finanziaria dovette essere data per risolta se nel febbraio dello stesso 1782 da Cagliari si autorizzava l’utilizzazione dei fondi di S. Salvatore e S. Maria (risultati da elemosine dedicate evidentemente a detti santi) per l’acquisto di una campana e degli arredi religiosi, e non più per la struttura.
La chiesa allungata in corso d’opera, finita, officiata e dedicata
L’entusiasmo doveva essere alto e le risorse adeguate se, a gennaio dello stesso 1782, si informò il viceré dei preliminari della formazione del cantiere, dell’ammasso dei materiali e della preparazione del forno per la calcina, e ai primi di febbraio dell’avvio delle operazioni di costruzione vera e propria. L’indisponibilità della corrispondenza in partenza dalla Maddalena non ci permette, purtroppo, di conoscere il rito seguito in occasione della posa della prima pietra, a cui accenna il viceré nella sua nota dell’11 febbraio, né di avere conferma dell’avvenuto arrivo dei “luchesi” (molto probabilmente maestranze specializzate, magari una squadra originaria di Lucca se non più genericamente toscani) che erano attesi proprio per l’avvio dei lavori. Lo stesso vuoto documentario ci priva di informazioni più complete di quelle che possiamo ricavare dal riscontro cagliaritano del 19 febbraio su di un argomento di particolare importanza. “Giacché codesta comunità – scrisse il viceré – ha riconosciuto che la Chiesa che si sta ora fabbricando a tenore del disegno formato da questo signor capitano tenente ingegnere Marciot, restava troppo piccola e per conseguenza non sufficiente al concorso ne’ divini uffici di codesti popolatori, non ho cosa in contrario che da codesto Consiglio Comunitativo siasi stipulato il noto contratto per l’ingrandimento della medesima nella forma però non altrimenti che voi mi riscontrate col vostro foglio degli 8 corrente“. L’unica riserva alla novità il viceré la pose sul recupero della seconda stanza dell’alloggio del cappellano, che a questo punto doveva essere tenuta completamente a disposizione del sacerdote.
Da questo momento le informazioni si diradano, sino a giungere, nel luglio successivo, a delle espressioni di soddisfazione del solito viceré per la notizia dell’imminente ultimazione della chiesa e della casa del cappellano. L’imminenza doveva essere veramente tale se il consiglio venne autorizzato, il 22 agosto, ad assumere “a loro spese [degli isolani] il nominato Simone Antonietti per insegnare ed ammaestrare i loro figliuoli, appoggiandogli anche l’incarico di sagrestano nella Chiesa parrocchiale”. Il costo dei servizi del primo rimito e maestro dell’isola a carico della comunità e il fatto che l’interessato andava a perdere i vantaggi della condizione di imbarcato, ci convincono che l’incarico doveva essere immediatamente operativo.
La data precisa della prima messa celebrata nella nuova chiesa non la conosciamo come informazione diretta e specifica, ma la ricaviamo credibilmente in via indiretta da una nota di De Nobili al viceré, datata 19 settembre su una questione sorta sulla sua casa maddalenina sita in Cala Gavetta che il bailo voleva mettere a disposizione di personaggi che arrivavano all’isola. Oltre l’obiezione che De Nobili faceva sull’uso della sua casa, interessa l’affermazione secondo cui: “..questa casa ha servito sino ai 25 del trascorso mese di chiesa per maggior comodo di questo popolo, ed il ricorrente la concedé di ben volentieri quantunque in ogni giorno festivo si dovessero tirar fuori i pochi stracci che vi tiene”. Secondo questo documento, che conferma la nota affermazione del vescovo sulla casa di Monsiù De Nobili utilizzata irritualmente per la messa domenicale alla marina, la data che cerchiamo deve riconoscersi nella domenica 1 settembre 1782, se si ritiene, come sembrerebbe, il 25 agosto l’ultima messa domenicale celebrata in casa De Nobili.
Senza questo documento i registri parrocchiali non ci avrebbero aiutato molto a precisare la data in cui la nuova cappella iniziò a essere officiata. Essi, invece, sono utili a determinare, anche se sempre indirettamente, quando le due chiese hanno assunto le nuove dedicazioni e quando la nuova ha assunto il titolo di chiesa parrocchiale. In particolare, per rilevare eventuali indicazioni utili alla individuazione delle date ricercate, sono stati controllati gli atti del libro dei morti, dove secondo le regole andava registrato come noto anche il luogo della sepoltura. Negli atti redatti nel 1781, 1782 e 1783 è stata sempre usata la formula che recitava: “sepultu-squefuit in hac Parochiali Ecclesia Sanctae Mariae Magdalenae”, per cui non si registrano variazioni che inducano a ritenere che ci sia stato il passaggio di dedicazione e di stato istituzionale di parrocchia tra il vecchio e il nuovo edificio di culto pur una volta finito nel settembre 1782. Il primo atto di morte del 1784 registrò, il 14 gennaio, il decesso del comandante dell’isola, il luogotenente Leonardo Gaetano Buzzegoli della Compagnia Franca, e la sua sepoltura era indicata, al solito, nella parrocchiale di S. Maria Maddalena. Senonché, dagli atti relativi alle successive operazioni svolte dal bailo per quella morte, risulta l’autorizzazione del viceré a gratificare “coloro che faticarono pel trasporto del cadavere da codesta alla vecchia parrocchia per seppellirlo“.
L’utilizzo di queste formule sembrerebbe dire che quella di Collo Piano, anche se indicata come “la vecchia parrocchia”, fosse ancora, agli inizi del 1784, la chiesa parrocchiale con la dedicazione a S. Maria Maddalena secondo l’attestazione dell’atto di morte, e che quella alla marina segnalata senza indicazione di nome come ” codesta”era da intendersi “cappella”. La situazione è confermata dalla successiva sepoltura di un napoletano indicata con la stessa formula. La soluzione della consacrazione della nuova chiesa quale parrocchia, con il trasferimento a essa della dedicazione, è stata indirettamente documentata dai posteriori atti di morte. Il successivo defunto, l’ottuagenario Francesco Ornano, fu sepolto nel maggio dello stesso 1784, in “prisca [vecchia ] parochiali ecclesia dieta insula”, una formula che suona di passaggio. Ma la sepoltura ancora seguente, della piccola Maria Angela Fienga di 10 anni, avvenne il 19 agosto e fu per la prima volta esplicitamente indicata in “ecclesia Sanctissimae Trinitatis”. Seguirono due soldati deceduti sempre nel 1784 e sepolti “in questa chiesa parrocchiale di S. Maria Maddalena” e cioè nella nuova cappella, e quindi i primi due deceduti del 1785, sepolti invece alla Santissima Trinità. A questo punto se ne può dedurre che le due chiese dell’isola hanno assunto le dedicazioni ancora oggi conosciute, e quella alla marina ebbe il titolo canonico di parrocchia ancora oggi esistente, tra la primavera e l’estate del 1784. In seguito le sepolture in quest’ultima chiesa venivano esplicitamente indicate, mentre per tutte le altre si usava la formula generale. Di fatto per alcuni anni si seppellì quasi esclusivamente nella parrocchia alla marina, ma a partire dal 1792 si preferì farlo alla SS Trinità sino alla primavera del 1797, quando iniziò a essere utilizzato il nuovo primo cimitero dell’isola.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma