Le cinque domande
In seguito alla cacciata dei francesi dalla Sardegna il re Vittorio Amedeo III, a differenza dell’ingrato Balbiano che mostrava un atteggiamento disinteressato ed assenteista, si congratulò con i sardi e assegnò dei riconoscimenti ai loro maggiori esponenti. Il contegno irritante del rappresentante del re in Sardegna fece accrescere il malcontento popolare nei confronti del governo piemontese.
Il 29 aprile 1793 i rappresentanti degli Stamenti si riunirono per presentare delle petizioni al re.
Le richieste, dette “cinque domande” perché formulate in cinque punti, sono una piattaforma politica con forte connotazioni autonomistiche; esse prevedevano:
1) il ripristino della convocazione decennale dei Parlamenti, interrotta dal 1699;
2) la riconferma degli antichi privilegi, soppressi pian piano dai Savoia nonostante il Trattato di Londra;
3) la concessione ai Sardi di tutte le cariche, ad eccezione della vicereale e di alcuni vescovadi;
4) la creazione di un Consiglio di Stato, a fianco del viceré, per la gestione degli affari ordinari;
5) la creazione in Torino di un Ministero per gli Affari di Sardegna.
Gli Stamenti decisero di mandare a Torino una delegazione di sei membri, due per ogni Stamenti, incaricata di presentare e illustrare al sovrano le “cinque domande”. I sei rappresentanti partirono per Torino divisi in due gruppi: il primo si imbarcò il 29 giugno da Porto Torres ed era composta dal rappresentante dello Stamento militare Girolamo Pitzolo e dal rappresentante dello Stamento reale Antonio Sircana; il secondo partì da Cagliari il 18 luglio e ne facevano parte i rappresentanti dello Stamento ecclesiastico Pietro Maria Sisternes e il vescovo di Ales Michele Aymerich, il rappresentante dello Stamento reale Giuseppe Ramasso e il rappresentante dello Stamento militare Domenico Simon.
Il 4 settembre tutta la delegazione si riunì a Torino, ma il re Vittorio Amedeo III, che era impegnato nella guerra contro la Francia presso il quartier generale a Tenda, non li ricevette subito e inoltre dispose di sospendere, con un regio biglietto spedito al vicerè, le sedute degli Stamenti. Il viceré Balbiano non consegnò subito agli Stamenti il biglietto regio riguardante l’ordine di chiusura delle sedute stamentarie in quanto prima voleva prima assicurarsi che il Parlamento sardo votasse il donativo: se l’avesse comunicato prima non era improbabile che gli Stamenti rifiutassero di votare il pagamento del donativo. Dopo il voto sul donativo il vicerè comunicò ai deputati degli Stamenti la chiusura delle sessioni, che venne accolta con molto disappunto, sebbene tutti e tre gli Stamenti alla fine abbiano obbedito all’ordine del sovrano.
A Torino l’ambasciata stamentaria fu ricevuta dal re solamente tre mesi dopo il suo arrivo: gli ambasciatori sardi vennero assecondati con promesse indefinite e in seguito congedati. Il viceré, infatti, aveva precedentemente condizionato il governo sostenendo che le proposte riassunte nelle “cinque domande” contrastavano l’autorità piemontese; segnalava inoltre che le adunanze degli Stamenti erano divenute eversive perché influenzate dalle idee della rivoluzione francese.