Le dimissioni di Renzo Larco
L’insolita grande coalizione, all’apparenza solida e caratterizzata dalla funzione anticlericale premiata dall’elettorato il 26 maggio 1952, non resistette a lungo.
Gli obiettivi della svolta politica inaugurata con la vittoria elettorale, non furono raggiunti. Gli esponenti democristiani, abili nell’arte della mediazione, seppero giocare sulle debolezze di alcuni esponenti della ‘Lista Cittadina’, ambiziosi e legati al mondo dell’imprenditoria e dei commerci. L’illusione del cambiamento si scontrava con una realtà ben più prosaica. L’Italia usciva dalla guerra, con il robusto sostegno finanziario americano. La scelta di campo era stata compiuta, ormai. In una realtà minuta ma di rilievo internazionale, com’era quella de La Maddalena, non poteva essere tollerato che le risorse trasferite dallo stato per consentire la ricostruzione, e che le grandi opere pubbliche su cui questi capitali erano canalizzati, fossero amministrate da entità aliene al sistema che era stato creato.
Ci furono tre passaggi chiave a determinare la fine anticipata della grande coalizione e il ritorno alla normalità: le dimissioni del sindaco civico Renzo Larco, dopo solo quindici giorni di mandato, la sua sostituzione con l’esponente socialista Salvatore Vincentelli contro il parere della componente massonica della ‘Lista Cittadina’ e l’abbandono del treno in corsa da parte di alcuni dei consiglieri ‘apolitici’ e legati dalla ‘fratellanza’ del Grande Oriente d’Italia, abbandono che sancì la fine della breve esperienza amministrativa in cui era stata sperimentata la formula dell’alternanza, con il partito più forte a livello nazionale che, in un altrove non troppo lontano, era stato mandato all’opposizione.
Il sindaco intellettuale, liberale e massone, aveva goduto di un passato illustre, da inviato di guerra e da testimone di avvenimenti che avevano cambiato il mondo. Renzo Larco, però, fu letterato a tutto tondo, abile nell’arte dello scrivere e del raccontare i fatti, senza dimestichezza nel gestire il potere politico e l’amministrazione della sua città [1]. Accortosi ben presto dell’errore commesso nell’accettare la nomina a sindaco, l’anziano giornalista, il 18 giugno, rassegnò le dimissioni, attraverso una lettera inviata all’assessore anziano Luigi Papandrea e al Prefetto di Sassari.
L’unico atto di rilievo compiuto da Larco sindaco fu l’accoglienza al Presidente della Repubblica’ Luigi Einaudi, giunto a La Maddalena da Napoli a bordo dell’incrociatore ‘Andrea Doria’ per commemorare il settantesimo anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi [2]. Era accompagnato dalla moglie donna Ida, dal ministero della difesa Randolfo Pacciardi, dal presidente della giunta regionale Luigi Crespellani e dal prefetto di Sassari. Alle commemorazioni presero parte anche Attilio Piccioni, vicepresidente del Consiglio, il senatore Aldo Spallicci, presidente del Comitato Nazionale Garibaldino e l’onorevole Giuseppe Chiostergi in rappresentanza delle due Camere.
Fu ricevuto nella dimora di Caprera dalla figlia dell’Eroe Clelia e ripartì per Napoli verso le ore 13.
Einaudi e Larco, entrambi liberali, avevano lavorato assieme al ‘Corriere della Sera’, diretto dal Luigi Albertini, dove l’uno scriveva di economia e l’altro era inviato al servizio esteri.
Su ‘La Nuova Sardegna’ dello stesso giorno apparve un articolo di fondo a firma dello stesso Renzo Larco riguardante proprio la presenza del Capo dello Stato a La Maddalena. L’articolo era titolato ‘Garibaldi o della semplicità’ e tesseva le lodi di Luigi Einaudi chiamandolo “uomo semplice e di altissima dottrina (…). Il popolo maddalenino saluta del pari gli uomini di governo convenuti a Caprera e vuole ad essi ricordare che la Maddalena, già validissima sentinella a ponente della Penisola, attende di non essere più considerata la grande dimenticata di questo dopoguerra” [2bis].
“Cosa si prova a fare il Sindaco? – si chiese Larco – Soprattutto si prova un grande senso di tristezza” [3]. Un sentimento negativo provocato dalla constatazione, concreta, della povertà in cui versavano i maddalenini che avevano affrontato la guerra e che ritornavano i città dopo gli sfollamenti imposti. I casi d’indigenza, di singole persone o di intere famiglie, che il sindaco elegante e raffinato aveva dovuto affrontare durante il breve periodo di mandato, erano tante e tali che lo inducevano a uscire ogni giorno dal proprio gabinetto “con l’animo piagato” [4].
“Che fare, come rimediare alla condizione disperata di tante madri che non hanno di che sfamare o, piuttosto, addirittura di smorzare la fame dei loro figli? Vi sono donne che hanno i mariti in carcere (e sia pure per loro provata colpa), le quali non ricevono un sussidio, non trovano occupazione e si dibattono tra le spire della disperazione di chiudere ogni giornata di attesa con materiale assopimento della quotidiana fame. Vi sono uomini che per mesi, per lunghissimi mesi, non trovano lavoro…. Moltissimi di noi che, bene o male un pranzo e una cena la rimediano, non ci poniamo il problema di come vivrà tanta gente dai visi terrei che incontriamo occasionalmente per la strada. Ma il Sindaco, (…) di questa patita umanità, ogni giorno viene a contatto (…)” [5].
Il riscontro di una situazione oggettiva drammatica e il riconoscimento dell’incapacità di essere all’altezza del compito affidatogli, in prima battuta dai ‘fratelli’ massoni – il suo principale sostenitore era uno dei grandi maestri della Loggia Garibaldi, Nino Baiardo [6] – e, successivamente, dai partiti che rappresentavano i ceti meno abbienti, si accompagnavano alla critica nei confronti di quei concittadini che, a dire di Larco, ritenevano le cariche di consigliere, di assessore comunali o di sindaco, strumenti utili per soddisfare i loro casi privati.
L’elezione di Renzo Larco era avvenuta il 3 giugno. La sua decisione di dimettersi fu dichiarata, da lui stesso irrevocabile, il giorno 18 dello stesso mese. Il futuro della giunta laica e di sinistra si prospettava in tutta la sua imprevedibilità. Quale personaggio di eguale levatura si sarebbe potuto trovare, all’interno della ‘Lista Cittadina’, per essere proposto agli alleati? Il problema che si presentava non appariva di facile e sbrigativa soluzione. Durante la campagna elettorale e, ancor prima, in sede di formalizzazione dell’accordo politico che portò all’apparentamento delle tre liste (PCI- PSI- Lista Cittadina), i laici e i socialcomunisti concordarono su un punto: il sindaco sarebbe dovuto spettare alla ‘Lista Cittadina’.
Lo stesso Luigi Papandrea, vicesindaco, convocò il consiglio comunale in seduta straordinaria per il pomeriggio del 1° luglio. All’ordine del giorno erano poste le dimissioni di Renzo Larco e la nomina del nuovo sindaco. Vi era il reale pericolo di un conflitto fra le varie parti che componevano la grande coalizione anticlericale. Andava da sé che i partiti di sinistra avrebbero profittato della situazione difficile degli alleati per far passare un candidato a sindaco in quota comunista o, al massimo della concessione, socialista. Come dimostrarono i fatti, non ci furono tante possibilità di trattare con duttilità e con accondiscendenza: la forza dei numeri stava dalla parte dei ‘rossi’.
Sicché, i ‘fratelli’ dovettero ingoiare il rospo dell’elezione a sindaco del geometra Salvatore Vincentelli, socialista di lungo corso, responsabile dell’ufficio tecnico della Sezione del Genio Marina Militare [7].
La seduta dell’assemblea civica fu però ricca di colpi di scena. Accaddero alcuni fatti che si rivelarono cruciali per il percorso futuro della maggioranza.
Consumati i rituali conseguenti alle dimissioni di un sindaco e rivolti i ringraziamenti e gli auspici di prammatica, i consiglieri presenti avrebbero dovuto procedere, finalmente, alla nomina del nuovo capo dell’amministrazione.
Risaltò un dettaglio non trascurabile: mancarono di partecipare all’importante riunione di consiglio i consiglieri civici Pietro Ornano, Marco Antonio Bargone, Giovanni Farese e Natale Berretta, alcuni di questi legati dall’affiliazione alla massoneria. A quest’assenza ingiustificata si sarebbe dovuta dare, e fu data – visto che gli assenti in un momento successivo chiarirono il loro comportamento – un’unica interpretazione: i ‘fratelli’ non avrebbero tollerato che la poltrona di sindaco fosse potuta diventare oggetto di desiderio di un ‘compagno’ socialista o, peggio ancora, comunista. Si trattava, in ultima analisi, del presupposto ad un accordo con la DC per riportarla al potere.
L’unità, a discapito dei principi professati, non regnava neppure all’interno della massoneria visto che il vicesindaco Luigi Papandrea e il consigliere Giacomo Origoni dichiararono che da quel 1° luglio 1952 non avrebbero più fatto parte del gruppo ‘Lista Cittadina’ e che avrebbero votato per Salvatore Vincentelli. Lo ‘strappo’ si palesava in tutta la sua consistenza.
Egidio Cossu, per la lista ‘Sardegna e stella’ (PCI) e Giovanni Usai, per la lista ‘Libro, falce e martello’ (PSI) fecero la dichiarazione di voto per il loro candidato di bandiera, vale a dire Vincentelli, che fu proclamato sindaco avendo ottenuto 16 voti di preferenza. I consiglieri presenti in aula erano 25. Quelli che non votarono per il leader locale del PSI consegnarono la scheda in bianco furono i restanti 9. Una maggioranza risicatissima, ma valida.
Il neosindaco ringraziò coloro che avevano riposto in lui la fiducia e invocò la collaborazione di tutti i consiglieri comunali per poter assolvere nel migliore dei modi il mandato che gli era stato affidato. Le sue ambizioni non erano tali da portarlo ad aspirare a ricoprire il prestigioso e difficile incarico istituzionale. Per questo chiese a qualcuno dei consiglieri della maggioranza di spiegare all’uditorio le valutazioni che stavano alla base della candidatura che aveva infranto i precari equilibri.
Accolse l’invito il comunista Cossu, il quale compì un excursus a ritroso: le tre forze alleate avevano stabilito che il sindaco sarebbe dovuto essere scelto fra i consiglieri della ‘Lista Cittadina’, con l’accordo dei rappresentanti degli altri gruppi consiliari di maggioranza. Era stata proposta la candidatura di un esponente ‘civico’ (Luigi Papandrea) candidatura che non era risultata gradita ad alcuni colleghi di gruppo – i quattro assenti – infrangendo gli accordi che erano stati sottoscritti. Constatata la debolezza manifesta dei compagni d’avventura laici, i socialcomunisti avevano tempestivamente occupato lo spazio che era lasciato libero: il sindaco divenne affar loro.
Ma il pilastro su cui si reggeva questo edificio traballante non avrebbe tardato a cedere in maniera definitiva. Con un colpo di coda Giacomo Origoni, uno dei due consiglieri civici dissidenti, si adoperò per un rafforzamento della maggioranza, ormai sbilanciata nettamente a sinistra, cercando l’appoggio esterno di quegli uomini di valore che, a prescindere dalle ideologie, avrebbero potuto offrire la loro collaborazione, per il bene de La Maddalena. Si trattava di un messaggio esplicitamente rivolto ai democristiani che stavano all’opposizione.
L’intervento di Origoni, attore in pensione, poneva in evidenza il timore diffuso dei ceti moderati rappresentati nel consesso cittadino: se fossero state le sinistre a comandare, se al loro potere non fosse stato posto un freno e stabilito un contrappeso, si sarebbe corso il rischio di consegnare al ‘popolo bue ’ le chiavi della città, con le conseguenze che i ‘civici’ potevano immaginare.
Impedire che i ‘rossi’ si fossero posti alla conduzione della locomotiva, alla guida del treno che era partito quel magnifico – per le sinistre – 26 maggio, giorno della vittoria elettorale e del riscatto dopo le sonore batoste: questo fu da allora in poi lo scopo dichiarato.
Ma la classe operaia, sindacalizzata e politicizzata, non aveva nessuna intenzione di mollare la presa.
Le vicende dell’Arsenale militare, i licenziamenti del 24 giugno, avevano fatto divenire il ceto borghese, assimilato al governo, dispensatore d’ingiustizia sociale, facile bersaglio di proteste e di giudizi negativi.
Se non fosse stato per un consigliere comunale del PCI, Salvatore Magnasco, il problema dei licenziamenti dei 16 dipendenti civili della Marina Militare, sarebbe scivolato tra le pieghe di una riunione movimentata, dove, appunto, il problema sociale e la vita di tutti i giorni, non avrebbero trovato riscontro nelle aule del palazzo municipale.
Magnasco pretese che i colleghi avessero ascoltato e sottoscritto con il loro assenso formale una mozione che egli aveva predisposto – e che sarà citata anche alla Camera dei Deputati – la quale impegnava il consiglio comunale ad interessarsi della sorte degli operai licenziati e ad adoperarsi affinché lo stabilimento industriale militare non fosse definitivamente liquidato.
L’Arsenale costituiva per i maddalenini la principale fonte di reddito: i licenziamenti e la minaccia di chiusura, da parte del Ministero della Difesa, sarebbero diventati un incubo per la popolazione.
Magnasco chiese quindi che il consiglio avesse incaricato la giunta municipale di assumere tutte le iniziative opportune, al fine di risolvere il grave problema che si era venuto a creare.
Il democristiano Donato Pedroni, che di lì a qualche giorno si sarebbe recato a Roma, al ministero, inviato direttamente dal parroco per vederci chiaro sulle ragioni dei licenziamenti, cercò di opporsi alla proposta del collega comunista, perché l’argomento che questi aveva affrontato non era iscritto all’ordine del giorno.
Il vicesindaco Luigi Papandrea, che presiedeva l’assemblea, rilevò che il tema, pur esulando dalle competenze del consiglio comunale, implicava un atto di solidarietà umana, da parte dell’istituzione, nei confronti delle famiglie di quei cittadini che avevano perduto il posto di lavoro. Per questa ragione dispose che il consiglio avesse autorizzato la giunta a stabilire i contatti con le autorità militari e con il ministero competente, per risolvere la questione nel modo migliore. L’ordine del giorno Magnasco venne, infatti, approvato all’unanimità e fu citato per intero, alla Camera dei Deputati, dal deputato comunista Luigi Polano [8].
Il Pane del Governo di Salvatore Abate e Francesco Nardini – Paolo Sorba Editore – La Maddalena
NOTE:
[1] In un articolo pubblicato sul quotidiano ‘La Nuova Sardegna’ Renzo Larco definiva la sua ambizione a ricoprire la carica di sindaco, quando aveva raggiunto i sessant’anni, come quella di “certi uomini che si rifiutano di accusare l’usura del tempo trascorso e che si abbandonato ciechi all’allettamento del demone che vuol persuaderli dell’intatta vigoria della giovinezza, si è aggiunto persino un altro filtro di seduzione, quello dell’esperienza”. E ancora “… io non mi conosco se non come vecchio giornalista che visse sempre lontano dall’isola… . Non ho attitudine alcuna al lavoro connesso a questa nuova carica… che si colora si di iridescenti splendori, ma tali che non hanno più consistenza di quelli di una piccola bolla di sapone…” (R. LARCO, Sindaco dieci giorni, in ‘La Nuova Sardegna’, n. 158, 8 luglio 1952). Cfr. S.Z. Il giornalista Renzo Larco eletto sindaco di La Maddalena. In ‘La Nuova Sardegna’ n. 132 del 7 giugno 1952.
[2] Cfr. ISTITUTO L.U.C.E. (Archivio). ‘La Settimana Incom’ n. 973 del 13 giugno 1952: La visita di Einaudi a Caprera. “(…) Imbarcato a Napoli sull’’Andrea Doria’ alla volta di La Maddalena, ‘sentinella della Sardegna’, per celebrare il 70° anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi. (…). Gli ideali garibaldini sono stati raggiunti (…). La Marina Militare compie esercitazioni davanti al presidente”. Cfr. anche: Einaudi a Caprera per le onoranze a Garibaldi, in ‘L’Unione Sarda ’ n. 135 dell’8 giugno 1952 (articolo non firmato). A. DE MURTAS, Sulle orme di Garibaldi a Caprera col Capo dello Stato. In ‘L’Unione Sarda’ del 10 giugno 1952. ‘La Nuova Sardegna’ dell’11 giugno 1952, Dopo il rito di Caprera, affettuoso saluto di Einaudi alla popolazione sarda (articolo non firmato). ‘La Nuova Sardegna’ n. 132 del 7 giugno 1952, Einaudi a Caprera (articolo non firmato). ‘La Nuova Sardegna’ del 31 maggio 1952, Einaudi in Sardegna (articolo non firmato). A. FRAU, G. RACHELI, Garibaldi a Caprera. Bibliografia cronologica della vita privata di Garibaldi nell’Isola. Cagliari, 1982. Pagg. 114 e ss.
[2bis] Cfr. ‘La Nuova Sardegna’ n. 133 del 8 giugno 1952.
[3] R. LARCO, Sindaco. Cit.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Nino Baiardo, nato il 30 novembre 1886. Affiliato ‘apprendista’ il 6 settembre 1910, ‘compagno’ il 17 maggio 1917 e infine ‘maestro’ il 5 maggio 1920. Cfr. LMGG.
[7] Cfr. ACLM. Delibera n. 100 del 1° luglio 1952.
[8] Cfr. Atti Parlamentari (d’ora in poi AA.PP.). Seduta del 12 luglio 1952. Discussioni. Cit.
- Prologo di “Il pane del Governo”
- 1946. Le prime elezioni, ovvero ‘la maggioranza di una minoranza’
- 1946. La democrazia si presenta
- 1947. Gli anni della guerra fredda
- 1948. Le elezioni del 18 aprile
- 1949. L’Italia nella NATO e il Piano Marshall
- Alla vigilia delle elezioni del 26 maggio 1952
- Una maggioranza laica e di sinistra
- Le dimissioni di Renzo Larco
- Colpire le sinistre
- 24 Giugno 1952: dopo i tre suoni di sirena
- 12 luglio 1952 – L’intervento dell’on. Luigi Polano alla Camera dei Deputati
- Le reazioni in città e la difesa dell’Arsenale
- 16 luglio 1952. Al ritorno da Roma
- La libertà di dire la verità
- Un problema nazionale
- La vita amministrativa
- La fine della primavera isolana
- Le elezioni dell’8 marzo 1953. ‘Antò scopa di ferru’
- La diaspora del 1953
- L’amministrazione Carbini
- La ‘destra’ al governo (1953/1956)
- 1956 L’anno del consenso
- 1956 L’ultima offensiva
- Venti anni d’attesa
- Epilogo