Le “Grandi Fortificazioni”
Dopo 30 anni da questo atto formale che chiudeva un lungo periodo di agonia delle fortificazioni settecentesche, si ritorno a pensare a La Maddalena come centro strategico determinante non più in relazione al solo vicino confine francese, ma al più ben vasto scacchiere del Mediterraneo Occidentale. In pochi anni, dal 1887, l’arcipelago divenne una terribile piazzaforte rispondente alle più) moderne concezioni europee in tema di difesa.
L’individuazione di questa zona, come base marittima fortificata, l’articolarsi degli interventi, l’ubicazione delle strutture, la scelta degli armamenti dipesero strettamente da diversi fattori storici:
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La raggiunta unita d’Italia che poneva in modo nuovo il problema della difesa del territorio;
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La situazione internazionale verificatasi negli ultimi venti anni del secolo con la contrapposizione dei due blocchi di alleanze in Europa;
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Il progresso registrato nelle concezioni difensive, sia nelle strutture murarie che nella trasformazione delle armi.
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L’estensione del territorio del giovane stato italiano abbisognava di profondi cambiamenti di strategia militare: il regno d’Italia non poteva limitarsi ad inglobare eserciti ed armamenti provenienti dagli ex stati, ma doveva organizzare ex novo un sistema difensivo moderno e rispondente alle nuove esigenze, quindi esteso uniformemente a tutta la nazione. Se rimaneva determinante il confine settentrionale, che divideva direttamente l’Italia dagli altri stati europei, dato lo sviluppo del territorio peninsulare e insulare, diventava indispensabile pensare alla difesa delle coste e, in particolare al bacino tirrenico sul quale pesava la presenza della nuova capitale.
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Verso il 1880 l’ostilità manifesta fra Francia e Italia spinse quest’ultima, preoccupata per le conseguenze di un crescente isolamento, a ricercare l’alleanza delle potenze centrali, Austria e Germania, con le quali strinse, il 20 maggio 1882, un patto di mutua difesa, la Triplice Alleanza. Ciò provoco, fra l’altro, l’acquisizione della sicurezza di una gran parte dei confini alpini e la conseguente decisione di creare un polo difensivo per il Tirreno al quale furono dedicate particolare attenzione e notevoli risorse economiche. In una guerra contra la Francia infatti, diventava indispensabile un centro strategico, per il dominio navale sul Tirreno, ubicato il più vicino possibile al litorale maggiormente minacciato: Liguria e Toscana. Poiché la base di Messina non era sufficiente, dato che la sua azione, malgrado la cooperazione offerta da Napoli, non poteva estendersi tanto a nord, la scelta doveva necessariamente cadere su La Maddalena: infatti se si considera da questa un cerchio di 200 miglia di raggio, si comprende tutta la costa tirrenica da Marsiglia a Gaeta con minima distanza media di circa 120 miglia per la porzione del litorale più esposta, dal Tevere all’Amo. Il parere che l’ammiraglio Nelson aveva espresso, nel lontano 1803, sull’importanza determinante della posizione centrale di La Maddalena nell’ambito del Mediterraneo occidentale, in chiave antifrancese, ritornava cosi di attualità.
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Dal 1830 al 1890 il progresso continuo nel campo delle artiglierie e dei mezzi d’attacco si ripercosse sui sistemi difensivi che dovettero abbandonare i vecchi schemi di cinte bastionate e adattarsi alle mutate tecniche. Principio informatore delle nuove strategie, studiato e realizzato dal generale francese Montalambert, era il campo trincerato in cui la difesa della piazza centrale era affidata ad una serie di forti staccati, distanti fra loro 2-3 km, costruiti in posizione dominante, a controllo di passaggi obbligati e armati con artiglierie arte a battere il terreno antistante e a latere. I concetti di Montalambert rimasero validi anche quando alle prime costruzioni in muratura e pietra si sostituirono quelle in ferro e calcestruzzo, conseguenza dell’adozione degli obici per il tiro curvo e delle artiglierie rigate, che registrarono notevoli progressi balistici con un aumento della gittata, una maggiore precisione nel tiro e quindi una più efficace azione distruttrice. A questi concetti generali si affiancarono, nello studio della difesa dell’arcipelago, quelli già esaminati negli Stati Uniti immediatamente dopo la guerra di secessione, relativi alla creazione di batterie costiere, ubicate ed armate in modo specifico: per queste furono in un primo momento adottati i cannoni a scomparsa, rientrabili dopo aver fatto fuoco, ben occultati dal parapetto e alloggiati in buche di calcestruzzo davanti alle quali erano accatastati dai 9 ai 12 metri di terra; in seguito questi costosi cannoni furono sostituiti da quelli in “barbetta” che, anche se non perfettamente nascosti, visto che lasciavano scorgere una parte della canna, permettevano però una più celere cadenza di tiro dal momento che non esistevano i tempi morti dovuti all’abbassamento e al sollevamento del pezzo, manovra che rendeva evidentemente più lento il cannone a scomparsa. Costante delle batterie costiere fu la sistemazione, dovunque fosse possibile, di mine e dighe di sbarramento dei canali navigabili.
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Il primo atto legislativo in ordine alla costruzione delle opere dell’arcipelago della Maddalena fu il Regio Decreto del 3.11.1886 che dichiarava di pubblica utilità le opere da eseguirsi per la difesa e la sistemazione dei servizi militari marittimi nell’arcipelago di La Maddalena. Con successivo Regio Decreto del 6.3.1887 si istituiva il Comando di Difesa Marittima dell’estuario della Maddalena e finalmente, con la legge del 10.7.1887, furono autorizzate nuove spese militari per la parte straordinaria del bilancio del Ministero della Marina per le fortificazioni dell’arcipelago di La Maddalena e per il loro armamento.
Infine, il 18.8.1887, si istituiva una direzione straordinaria del Genio Militare per l’esecuzione dei lavori. La piazza cosi istituita doveva soddisfare le seguenti condizioni:
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permettere alla flotta di uscire, a seconda delle opportunità, attraverso una delle due imboccature e dominare il passaggio delle Bocche di Bonifacio;
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mettere al sicuro le navi;
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impedire che il nemico, in assenza della flotta, giungesse a prendere possesso del bacino interno e a stabilirvisi;
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rendere minima l’efficacia di un bombardamento sistematico che si sarebbe potuto tentare dall’esterno dell’arcipelago contro le navi e il materiale raccolto all’interno della rada.
Per descrivere gli imponenti lavori avviati in quegli anni riportiamo tre documenti originali, datati 1886 e 1888, che danno una precisa idea della complessità del sistema difensivo attuato e della progressiva occupazione del territorio circostante all’estuario.
Pierluigi Cianchetti