Le prime tracce di presenza corsa nelle isole in epoca moderna
Le annotazioni di episodi di vita, in gran parte a valenza penale, e le informazioni sull’utilizzo delle isole da parte dei pastori dei signori bonifacini, oltre che nei documenti di cui s’è detto, si ritrovano in decine di memorie, di note di corrispondenza e di informative conservate negli archivi di Genova, Torino, Cagliari e Parigi. Il complesso delle informazioni che si ricavano dalla massa documentaria non permette, per la frammentazione delle notizie, la ricostruzione di un quadro organico di chi e come viveva questi scogli. Ma è comunque ciò di cui si dispone per un minimo di ricostruzione delle persone, dei fatti e delle situazioni, per una sorta di avanti-storia dell’occupazione sardo-piemontese del 1767 delle isole dell’arcipelago. Un esempio per tutti della frammentazione delle informazioni ci viene dalla notizia della squadra di 12 corsi che iniziò ad utilizzare l’isola della Maddalena, seminando cereali per conto dei bonifacini. Una tale notizia, che rappresenta l’attestazione della prima occasione di utilizzo delle isole da parte dei corsi, è presente anche in una deposizione scritta di 4 bonifacini, raccolta in data 27 ottobre 1709 dal commissario di Bonifacio. Quei testimoni dichiararono che risultava loro che verso la metà del 1600, in occasione di una grave carestia che afflisse la Corsica, 12 pastori e contadini corsi si recarono nell’isola della Maddalena a seminarvi grano. Nel rischio che il raccolto potesse essere portato altrove, il commissario di Bonifacio inviò in quell’isola un plotone di gendarmi per garantire che il grano venisse portato esclusivamente a Bonifacio. Secondo gli stessi testimoni, a quel primo nucleo ne seguirono altri negli anni successivi, fino a che nel 1689, in termini meno estemporanei, un certo Angelo Doria, di Genova ma trapiantato a Bonifacio, inviò alla Maddalena dei pastori per pascolarvi del proprio bestiame. Da un memoriale in lingua francese di molti anni dopo, stavolta di fonte sardo-piemontese, sulla stessa notizia si apprende anche che: “un noble génois de la famille Doria fut envoyé à Bonifacio pour y exercer l’employ de commissarie. Il y fixa ensuite son domicile en se donnant au commerce. Ce nouveau citoyen, et à son exemple quelquautre négociant bonifacien ayant appris que quelques pasteurs corses s’hardaient de passer à ces iles, formèrent le projet d’en partager avec eux le petit profit et les fornirent à cet effet de fond en blé et en bétail ». Anche il divieto di esportare altrove i cereali raccolti nelle isole si ritrova in altri documenti riferiti a diversi momenti. Si conosce, infatti, un’ordinanza allo stesso proposito del solito commissario genovese di Bonifacio del 16 luglio 1701, e anche in quest’occasione l’obbligo di conferire a Bonifacio tutto il raccolto delle isole era giustificato da una carestia.
Per necessità, dunque, le isole entrarono a far parte del nuovo sistema territoriale di Bonifacio, strumentalmente rimodulato verso il mare, nel rinnovato intento di cercare ulteriori fonti di provviste alimentari. Si trattava di un sistema esclusivamente economico che aveva come unico beneficiario il presidio bonifacino, che per la prima volta si estendeva al di fuori della dotazione territoriale che Genova gli aveva fornito nell’interno della Corsica sottana. Il ruolo svolto da Bonifacio nel nuovo spazio, che comprendeva anche le isole e la Gallura costiera, è stato meramente utilitaristico e non di integrazione culturale, pur essendo al centro di un sistema culturalmente omogeneo, tanto da far proclamare agli etno-linguisti l’esistenza di una “troisième ile” tra la Corsica e la Sardegna. Di questa entità culturale, immateriale, Bonifacio non era la città leader, chiusa com’era nel suo splendido isolamento di enclave genovese, che non partecipava neppure alla koinè di quello spazio che pure sfruttava. La città mercantile profittava economicamente di questo insieme culturale senza contaminarsene. Era però la città guida e regolatrice dell’area geografica delle Bocche e delle due coste, isole comprese. In questo spazio Bonifacio disciplinava la mobilità degli uomini, dei mezzi di trasporto marittimo, delle derrate, degli impegni finanziari, delle bestie e dei prodotti agricoli e di allevamento, marcando la propria egemonia economica.
Il presidio era, comunque, in quel periodo turbolento, un punto di attrazione di decine di famiglie che, rifugiatesi a Figari, Sotta, Chera, Monaccia e Pianatoli, cercavano una soluzione di vita meno precaria anche se non di agio. Molti trovarono accoglienza nelle famiglie bonifacine ed entrarono nelle loro clientele, sia restando nei villaggi (alberghi) che avvicinandosi alla cittadella, ma non prendendovi domicilio. I più fortunati potevano trovare alloggio nel misero borgo che andava erigendosi lungo il porto o, addirittura, nelle grotte della città bassa. All’interno della rocca svolgevano i loro servizi e erano ammessi a partecipare ai riti religiosi e a ricevere i sacramenti. Da questa umanità povera i principali bonifacini reclutarono la squadra di 12 braccianti agricoli che inviarono a seminare nell’isola della Maddalena, cui seguirono altre squadre negli anni successivi, e quindi i primi pastori cui affidarono delle loro bestie da governare in quei pascoli intatti.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma