Le relazioni Franco-Sarde al momento della cessione della Corsica (1768)
L’azione diplomatica della Francia per la rivendicazione dell’arcipelago della Maddalena va opportunamente configurata nel quadro delle relazioni politiche che intercorsero tra le corti di Torino e di Versailles negli ultimi anni del regno di Carlo Emanuele II e durante quello del suo successore, Vittorio Amedeo III. In tal modo riuscirà più facile mettere nella giusta luce le ragioni dell’atteggiamento apparentemente remissivo della diplomazia francese in una «questione» nella quale esigenze politiche di ordine generale fecero passare in seconda linea l’interesse che la Francia aveva al possesso di una così importante posizione strategica.
Prima cura del governo sardo, dopo l’occupazione dell’arcipelago, fu di impiantarvi le prime installazioni militari. La nascente piazzaforte marittima fu subito trasformata in base di rifornimento di prima categoria con la costruzione di un deposito di armi e munizioni che provvedesse ai bisogni non solo dei presìdi militari delle isole, ma anche dei legni armati che vi tacevano scalo. Col passar degli anni, alle opere provvisorie di difesa aventi carattere di fortificazione campale si sostituirono costruzioni permanenti in muratura, come torri, casematte, postazioni e ripari; l’approdo di Villa marina, nell’isola di Santo Stefano, fu abilitato ad accogliere bastimenti nazionali e stranieri, i quali erano tenuti a corrispondere il diritto di ancoraggio.
La popolazione ebbe tale incremento, che in breve spazio di tempo raggiunse quasi un migliaio di unità. Ad accrescere il nuovo insediamento contribuirono in eguale misura Còrsi di Bonifacio profughi per ragioni politiche o in cerca di fortuna, e Sardi della Gallura, mossi dal desiderio di migliorare le loro condizioni di vita. Le autorità ecclesiastiche provvidero ben presto all’assistenza religiosa, inviando nelle isole un cappellano e costruendo una chiesa alla Maddalena. L’amministrazione fu regolata con la nomina di un «bailo » avente, entro certi limiti, giurisdizione civile e criminale. L’Intendenza Generale andò incontro alle particolari necessità della crescente popolazione con la concessione di agevolazioni per gli approvvigionamenti, ferme restando talune cautele indispensabili per evitare la pratica del contrabbando.
Il numero delle abitazioni civili crebbe in proporzione all’afflusso degli abitanti; nei terreni prima incolti o destinati al pascolo, a poco a poco la pastorizia fu soppiantata dall’agricoltura; le terre disponibili, opportunamente lottizzate, furono chiuse e messe a coltura, e per proteggere i vigneti e i frutteti, si bandirono dall’isola principale le capre.
La colonizzazione, a differenza di altri esperimenti tentati con scarso successo in diverse contrade dell’isola, diede alla Maddalena risultati così favorevoli, che a meno di cinquant’anni di distanza si sentì la necessità di creare nuovi insediamenti nella Gallura settentrionale, a Santa Teresa e al Parao (l’attuale Palau), che servissero come « valvole di sicurezza » al crescente afflusso di abitanti.
La politica del governo sardo tendeva, dunque, a valorizzare al massimo la posizione strategica dell’arcipelago, per tèma che la Francia, con la recente occupazione della vicina isola, facesse sentire per mare il peso della sua accresciuta potenza. Per un momento si temette che i nuovi padroni della Corsica reclamassero la restituzione delle isolette dello stretto, come facenti parte dell’eredità trasmessa loro da Genova; ma il governo francese era troppo impegnato nella lotta contro i ribelli da badare a quelle isolette, di cui non conosceva neppure l’esatta posizione geografica. Corse voce, è vero, che distaccamenti del corpo di spedizione in Corsica si apprestavano a riconquistare la Maddalena con la forza ( ), e a più riprese la notizia fece il giro delle corti italiane ( ), ma il duca di Choiseul non intendeva, in un momento politico particolarmente delicato, contrariare ulteriormente il Re di Sardegna, per il quale, secondo un’espressione del Carutti, la Corsica in mano francese era « come un pruno negli occhi » ( ).
Come nel 1767-68 il ministro di Luigi XV si era disinteressato delle doglianze di Genova per la presunta soppraffazione sarda, così negli anni immediatamente successivi egli sembrò non dare alcuna importanza alle rivendicazioni reclamate dagli abitanti di Bonifacio; sicché, quando una fregata francese, entrando nel porto di Villamarina, salutò la bandiera di Sardegna con i rituali colpi di cannone, nessuno potè dubitare che con quell’atto non fosse riconosciuta la sovranità di S. M. Sarda ( ), a somiglianza di quanto era avvenuto non molto tempo prima, quando un felucone della modesta marina còrsa al servizio del ribelle Pasquale Paoli aveva reso nella stessa maniera omaggio alla bandiera sabauda che sventolava nel trinceramento di Santo Stefano.
Anche allora l’apparente disinteressamento dello Choiseul e del suo successore, il duca d’Aguillon, era determinato da un astuto calcolo politico. Nonostante la stretta alleanza che fin dal 1756 univa la Francia con la casa d’Asburgo, alleanza resa ancor più vincolante dal famoso « patto di famiglia » del 1761, i ministri di Luigi XV avevano cercato di imbrigliare con una accorta politica matrimoniale la prevedibile mossa del Re di Sardegna di uscire dalla cerchia che lo soffocava e di rivolgersi alla Prussia e all’Inghilterra. Le mire dello Choiseul raggiunsero pienamente l’intento, e negli ultimi anni di regno Carlo Emanuele III e Luigi XV videro la celebrazione di ben tre matrimoni tra le due case regnanti: il 17 gennaio 1767 il principe di Lamballe sposava la principessa Carignano; il 16 aprile 1771 il conte di Provenza, fratello del Delfino, si univa con la principessa Maria di Savoia, e il 23 ottobre 1773 la principessa Maria Teresa di Savoia andava sposa al conte d’Artois, altro fratello del futuro Luigi XVI.
Le stesse direttive furono perseguite dopo la morte di Carlo Emanuele III (1773) e di Luigi XV (1774). Il nuovo ministro degli esteri piemontese, conte d’Aigblanche, succeduto al Lascaris, nella sua inettitudine si lasciò ingenuamente manovrare dall’ambasciatore sardo a Versailles, conte di Viry, che di concerto con la diplomazia francese operava in maniera del tutto indipendente dalle direttive di Torino. Egli assecondò in pieno le vedute del conte di Vergennes, nominato da Luigi XVI ministro degli esteri in sostituzione dell’Aguillon, senza accorgersi che le intese matrimoniali caldeggiate dal Re di Francia tendevano solo a irretire sempre più la libertà d’azione di un vicino così pericoloso come il Re di Sardegna.
Benché fosse caduto in disgrazia, il duca di Choiseul potè assistere dall’esilio di Chanteloup al trionfo della sua politica: il patto segreto di piena garanzia da parte della Francia sugli Stati Sardi, firmato a Versailles il 16 aprile 1775, fu il preludio dell’ultimo e più importante matrimonio della serie: quello del Principe di Piemonte con la sorella di Luigi XVI, Maria Clotilde.
Si spiega così l’arrendevolezza dimostrata nei primi anni dal Re di Francia nella «questione della Maddalena»: è evidente che egli non voleva turbare con rivendicazioni ritenute allora di nessuna importanza le buone relazioni esistenti tra le due corti.
L’addebito di inettitudine e di scarsa previdenza mosso dal Marmonier ai ministri francesi non ha ragione di sussistere quando si pensi che tanto lo Choiseul e l’Aguillon quanto il Conte di Vergennes riuscirono a tenere a bada per un certo tempo la corte di Torino, evitando così pericolose alleanze lesive degli interessi francesi.
La diplomazia sabauda era pienamente consapevole della difficile situazione in cui era venuto a trovarsi il Regno Sardo dopo la stipulazione dell’alleanza franco-asburgica.
Già fin dal 1766 Carlo Emanuele III aveva indicato nelle istruzioni al nuovo ambasciatore a Versailles, conte Lamarmora, i termini entro cui doveva svolgersi la sua azione diplomatica:
«Le point essentiel est de voir aujourd’hui si la Cour de France continuerà dans l’union intime d’intérèts et de vues où elle est entrée avec celle de Vienne par le traité de Versailles, ou bien si elle se disposerà à reprendre le système où elle était autrefois de se tenir étroitement unie avec l’Espagne et de se procurer conjointement avec cette.
Puissance de puissans amis et alliés en Allemagne, entre autres le Roi de Prusse, pour se trouver en état de pouvoir, suivant les occasions, contrecarrer les vues et les desseins de la Maison d’Autriche. C’est à quoi vous devrez ètre attenti!, en prenant garde à tous les propos que vous entendrez se tenir, aux différentes démarches que vous aurez lieu de juger l’un plutót que l’autre, et en tachant de vous procurer là desstts les meilleurs notions qu’il vous sera possible».
Ben più significative erano le direttive impartite da Vittorio Amedeo III al conte di Viry, succeduto nel 1773 al Lamarmora come rappresentante sardo presso la corte francese ( ):
« Il n’est pas besoin de vous dire que la commission dont nous venons de vous cliarger est des plus délicates et des plus importantes par tonte sorte de raisons. La France est une Cour avec laquelle nous avons plus d’un motif de désirer d’entretenir une bonne correspondance, ou du moins de l’en savoir bien persuadée. Elle a été toujours jalouse de l’agrandissement de nos États et elle porte sa plus grande attention à tout ce qui peut faire craindre que nous y songeons encore».
Era evidente che il Re di Sardegna non sopportava di buon grado la costante protezione concessa dalla Francia alla Repubblica di Genova e tendente a impedire un ingrandimento del Piemonte verso la Riviera di Ponente per ottenere un più ampio sbocco verso il mare. A questo proposito metteva in guardia il nuovo ambasciatore contro le astute manovre della diplomazia francese, che fingeva di interporre i suoi buoni uffici per dirimere le controversie territoriali fra Torino e Genova, ma che in realtà nulla faceva per appianarle, giacché aveva ogni interesse a mantenere fra i due vicini uno stato di continua tensione per sfruttarne a suo vantaggio la rivalità ( ).
Il disgraziato « affare » della Corsica era stato per i Savoia il più amaro boccone che avessero potuto inghiottire in quegli ultimi anni. Il risentimento perdurava ancora e, nonostante i nuovi vincoli di sangue che andavano intrecciandosi tra le due corti, trovava accenti di grande amarezza:
«La France a toujours été sensible au déboire que nous lui avons fait essuyer en faisant échouer son système par rapport à nous. Elle a paru y renoncer dans ces dernières années, mais l’affaire de la Corse a demontré qu’elle ne l’a pas fait de bonne foi, et qu’elle va changeant de route pour y parvenir ou du moin s’en approcher insensiblement. Les mauvais raffinimens en politique dont elle s’est servie pour dérouter l’attention des principales Cours de l’Europe sur la Corse vous en auront pleinement persuadé dans son tems. Les démarches qu’elle fit pour taire croire qu’elle allait retirer ses troupes des places de Corse pendant qu’elle avait consommé son ouvrage avec les Gènois au sujet de cette Isle en sont une preuve.
« Lorsqu’on ouvrit les yeux sur son véritable but qui était non de réduire l’Isle sons l’obéissance de la République, mais bien pour en faire la conquéte pour son profit, l’on s’appercut qu’il était désormais impossible de parer le coup, et l’Europe sentit très bien que quelque soit la condition de réversibilité stipulée en faveur de la République, elle ne l’a essentiellement été que pour mieux en imposer aux Princes intéressés au «statu quo» d’Aix-La-Chiapelle, et que pour la seule apparence. Dès le commencement nous l’avons envisagée cornine précaire et nous avons toujours pensé que son éxécution dépendrait du bon plaisir de la France. Les tentatives faites à Paris par le feu S.r Sorba, et ensuite par son successeur, ei ce qui s’est ensuivi, vous prouveront que nous n’avons point porté à faux là dessus. La Cour de France a bien connu que nous ne devions point voir de bon oeil qu’il survint aucun changement dans la domination de la Corse, tant à cause du voisinage de notre Royaume de Sardaigne que parce qu’une pareille entreprise était directement opposée à non intérèts et contraire au « statu quo » établi pour les affaires d’Italie clans le traité susdit».
La cessione della Corsica, contrariamente a ogni aspettativa, era stata accettata come «fatto compiuto» dall’Ingliilterra; l’Olanda, colpita nei suoi interessi marittimi nel Mediterraneo, non era andata oltre una protesta formale; la medesima acquiescenza avevano dimostrato Madrid e Vienna, in quel tempo legate da stretti vincoli con la Francia: di conseguenza ogni iniziativa del Piemonte per ripristinare la situazione precedente era destinata a incontrare l’indifferenza delle altre potenze e, pertanto, l’atteggiamento del Re di Sardegna verso la corte di Versailles doveva necessariamente essere guardingo, se non proprio remissivo, tanto più che le nuove intese matrimoniali davano adito a sperare in un possibile distacco della Francia dall’alleanza con Vienna. Se non fosse sopraggiunto un radicale mutamento di direttive politiche, la diplomazia sabauda sarebbe rimasta come paralizzata fintanto che restava in vigore quest’alleanza ( ).
In realtà, un tentativo di battere nuove strade vi fu quando un uomo dotato di vasta cultura e abbastanza oculato negli affari politici, il conte Perrone di San Martino, succedendo come ministro degli esteri all’Aigblanche, cercò di rompere le barriere che chiudevano il Piemonte come in una morsa, sostituendo a una neutralità permanente e invariabile l’alleanza con quelle potenze che, come la Prussia, l’Inghilterra e la anche debole Repubblica di Venezia, erano maggiormente, danneggiate dall’accordo francoaustriaco.
Fu allora che il governo francese, facendo sue le rivendicazioni avanzate dalla comunità di Bonifacio, rimise sul tappeto la ormai dimenticata «questione» della Maddalena. Il suo atteggiamento, nei passi diplomatici che seguirono, non fu però animato da una assoluta intransigenza: si doveva, infatti, evitare ancora una volta di scontentare il Re di Sardegna, perchè della sua collaborazione la Francia aveva bisogno per risolvere la crisi avvenuta nel cantone di Ginevra per effetto della rivoluzione borghese; a eie» si aggiungeva la possibilità di considerare decaduta la validità del patto con gli Asburgo, giacché, scomparsa nel 1780 Maria Teresa d’Austria, il figlio Giuseppe II sembrava aver distolto lo sguardo dall’alleanza con la Francia per rivolgerlo alla Russia, nell’intento di ottenere il massimo vantaggio dallo smembramento della Turchia.
In una situazione così poco chiara, il conte di Vergennes, nel 1783, fece dei sondaggi presso la corte di Torino per sapere se il Re di Sardegna fosse all’occorrenza disposto a schierarsi dalla parte dei nemici dell’alleanza austro-russa. Il conte Perrone non era in di prendere una sicura determinazione, perchè sussisteva sempre il pericolo di una ritorsione dell’Austria nella pianura padana; perciò preferì non pronunciarsi, lasciando capire che avrebbe regolato la sua condotta di volta in volta, secondo l’evolversi degli avvenimenti. Questi furono tali, che la diplomazia piemontese si sentì portata ancora una volta a rivolgersi alla lontana Inghilterra; ma da quella parte, per allora, c’era poco da sperare, a causa delle fazioni interne che, dividendo il Parlamento, rendevano incerte le azioni del Governo; e poiché in quel tempo neppure la Prussia era molto propensa a entrare in una coalizione contro l’Austria e la Russia, un tentativo di alleanza fatto in quel senso da Vittorio Amedeo III rimase infruttuoso.
Per tutte queste ragioni la corte di Torino dovette adattarsi malvolentieri a mantenere buone relazioni tanto con Versailles quanto con Vienna.
In un quadro così complesso di interferenze reciproche, tendenti a stabilire in Europa un nuovo assetto politico, alla «questione» della Maddalena non fu attribuita, in origine, l’importanza che ebbe poco tempo dopo, (piando le rispettive posizioni divennero più chiare; non vi è dubbio, però, che essa avrebbe avuto maggior peso politico e più spiccato rilievo fin dal momento del passaggio della Corsica alla Francia se per le due corti interessate, e in special modo per il governo francese, non vi fossero stati seri motivi per affrontarla sul piano diplomatico con la massima cautela.
Introduzione di Sovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole
I rapporti con la Repubblica di Genova (1767-1768)
Le relazioni Franco-Sarde al momento della cessione della Corsica (1768)
Le rivendicazioni della comunità di Bonifacio (1768-1777)
L’azione diplomatica del governo francese (1778-1784)
La replica della corte di Torino (1785-1787)
Le ultime rivendicazioni dei corsi (1788-1792)
La spedizione contro le Isole Intermedie (1793)
Sovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole 1959