Le ultime rivendicazioni dei corsi (1788-1792)
La presentazione del Memoriale, avvenuta nel dicembre del 1787, rimase senza risposta. Il ministro Montmorin, non avendo obiezioni da opporre alle decisive argomentazioni e deduzioni della corte di Torino, osservò a lungo un significativo silenzio. Del resto, il governo di Luigi XVI, tutto preso dalla cura di colmare i debiti di Calonne e ingolfato nelle interminabili discussioni con l’Assemblea dei Notabili, aveva ben altro di più importante a cui pensare.
Tuttavia, il conte di Montmorin dovette ancora occuparsi di un aspetto marginale della controversia: quello degli incidenti che continuamente accadevano nelle acque dello stretto fra le vedette guardacoste sarde e le gondole contrabbandiere bonifacine. Le frequenti lamentele dei piccoli cabotatori còrsi facevano capo all’attivissimo console Guys, il quale da Cagliari teneva costantemente informato tanto il nuovo ministro della marina, conte della Luzerne, da poco succeduto al Castries, quanto l’ambasciatore Choiseul ( ). L’accresciuta gravità degli incidenti indusse finalmente il ministro degli esteri a dare istruzioni a questo affinchè denunciasse vigorosamente presso la corte di Torino « ces attaques injustes, qui vont jusqu’à l’atrocité » ( ). Visto però che la protesta non aveva sortito effetto migliore di tante altre ( ), la corte di Versailles, per suggerimento del ministro della marina, ricorse a un espediente: proporre l’installazione di un ufficio doganale nel nord della Sardegna, possibilmente nell’arcipelago, affinché i marinai còrsi potessero più facilmente ottenere i permessi di importazione e di esportazione delle merci ( ). L’incaricato di affari Lalande fece i passi necessari, e il governo di Torino lasciò intendere che, ferma restando la sua opposizione alla creazione di un vice consolato alla Maddalena, avrebbe preso in attenta e benevola considerazione la proposta ( ). Furono chiesti pareri e informative al Viceré, il quale rispose che, prima di pronunciarsi in proposito, intendeva recarsi personalmente sul luogo per rendersi conto della situazione. Di fronte alle tergiversazioni di Torino, che si prolungarono per oltre un anno, lo Choiseul e il Lalande sembrarono rassegnarsi al fallimento dell’iniziativa. Chi non si diede per vinto fu, però, il Guys, che non solo tempestava il Viceré di continue proteste e sollecitazioni, ma giunse a suggerire al suo governo di rimettere sul tappeto le rivendicazioni dei Còrsi sulla Maddalena, sperando che in tal modo il governo di Torino, posto nell’alternativa di risolvere o l’una o l’altra delle questioni, cedesse almeno in quella meno rilevante e impegnativa riguardante il vice consolato.
Il console tanto fece, che fu sul punto di avere partita vinta: il 4 giugno 1790 il Viceré, nel richiedere le ultime istruzioni da Torino, comunicò il suo parere favorevole all’estensione delle facilitazioni doganali ai marinai còrsi, e il 19 novembre preavvisò il Guys della prossima installazione di un apposito ufficio non già nell’arcipelago, dove il governo sardo non vedeva di buon occhio l’approdo dei Bonifacini, ma nell’estrema punta della costa gallurese, a Longonsardo. La prudenza del Viceré nell’evitare ogni contatto tra gli abitanti di Bonifacio e la nuova popolazione della Maddalena era del tutto giustificata: la Francia era in piena Rivoluzione; la Corsica, sempre in preda alle fazioni interne, si agitava anch’essa; secondo vaglie notizie che correvano in Sardegna e che erano giunte all’orecchio del Viceré, sembrava che in un’Assemblea Nazionale tenuta a Bastia i delegati di Bonifacio avessero proposto una spedizione armata per impadronirsi di sorpresa della Maddalena, dove la maggior parte degli abitanti, di origine còrsa, si sarebbe schierata a favore dei liberatori; si vociferava anche, ma la notizia fu poi smentita, che i Còrsi fossero sbarcati ad Alghero e si fossero presentati al governatore di quella piazzaforte con la coccarda tricolore.
In verità, la popolazione di Bonifacio era di nuovo in fermento: il 14 luglio, festeggiandosi il primo anniversario della presa della Bastiglia, il Consiglio Generale di quella Comunità aveva deliberato di rinnovare le rivendicazioni sulle isole intermedie, dando mandato al concittadino Antonio Constantini, che allora si trovava a Parigi, di presentare le loro istanze all’Assemblea Generale e agli altri organi di governo. « Il Consiglio Generale – era detto nella procura – d’unanime sentimento ha deliberato che istanza sarà fatta all’Assemblea Nazionale per recuperare ed avere l’isola della Maddalena ed adiacenti, dette delle Bocche di Bonifacio, non meno che le isole, di Cavallo e Lavezo, e che per questo oggetto sarà incaricato il sig. Antonio Constantini, cittadino di questa città, con ogni più ampia facoltà ad hoc, non meno che per instare la permanenza di questo Reai Tribunale, e perciò sarà allo stesso dato ogni più ampio potere etiam ad votum » ( ). Altra procura dello stesso tenore, ma con più vasto mandato, fu rinnovata al Constantini due giorni dopo ( ). Il mandatario, uomo assai intrigante ed esperto conoscitore della situazione politica ed economica sarda per aver esercitato a lungo il commercio del grano in Sassari e nella Sardegna settentrionale, si affrettò a presentare al nuovo ministro della guerra, conte La Tour du Pin, un « promemoria » contenente le richieste dei suoi concittadini ( ). Il ministro espresse il suo parere favorevole e trasmise il documento al conte di Montmorin.
Nella lettera di accompagnamento è detto testualmente: « Ces réclamations ont été portées dans le temps à la Cour de Turin, mais elle n’en a pas moins conservé les iles dont elle s’était emparée. Aujourd’hui les habi tants de Bonifacio renouvellent les réclamations. Ils ont chargé un de leurs concitoyens qui est à Paris de faire auprès de l’Assemblée Nationale les demarches nécessaires qu’on lui fasse rendre leurs anciennes propriétés. Ce fondé de procuration vient de m’adresser un Mémoire par lequel il demande que le Roi tasse écrire à la Cour de Turin pour l’éngager à leur restituer les iles dont il est question. Je joins ici copie de son Mémoire. Je m’en rapporte à l’usage que vous jugerez d’en faire. Je crois cependant de vous observer qu’il est à craindre dans les circonstances présentes que si on ne rend pas justice aux Corses, ils n’emploient toute sorte de moyens pour l’obtenir; il serait impossible de les empècher à présent que tout le pays est armé. Il serait à désirer que la Cour de Turin voultìt se préter à leur donner satisfaction et qu’elle leur abandonnàt un objet qui n’ajoute rien à sa puissance et qui pourrait donner lieu à des événements qui troubleraient l’harmonie et la bonne intelligence qui règne entre elle et la Cour de France ».
Il momento politico era particolarmente grave e il ministro degli esteri non aveva alcun interesse a rendere più difficili le relazioni col Re di Sardegna, anche se il collega ministro della guerra gli prospettava il timore che l’insoddisfazione degli abitanti di Bonifacio conferisse a creare nuovi deprecabili torbidi in Corsica. La Rivoluzione, come si è detto prima, era in pieno corso da oltre un anno, e il governo di Luigi XVI era interamente assorbito dalla cura di porre freno alla gravissima situazione interna. L’Europa incominciava a mostrare la sua inquietudine per le riforme attuate dagli organi legislativi rivoluzionari, mentre la diplomazia francese, impegnata a fondo nelle questioni di Avignone e del Contado Venassino, cercava in tutti i modi di evitare ogni altra complicazione con le potenze vicine.
Fra tutti i sovrani confinanti, Vittorio Amedeo III era quello che dimostrava maggior animosità contro le nuove idee: aveva accolto nel suo regno un grande numero di nobili francesi espatriati e aveva permesso al conte D’Artois di organizzare il Comitato di Torino per suscitare in patria la controrivoluzione. Per queste ragioni il Montmorin prese in considerazione il Memoriale di Antonio Constantini solo parecchi mesi dopo la sua presentazione: nel febbraio del 1791, infatti, rispondeva al nuovo ministro della guerra, Du Portail, in questi termini: « … Les affaires intérieures du Royaume devinrent si importantes vers ce temps (cioè nell’anno in cui fu presentato il voluminoso Memoriale della corte di Torino) que M. le comte de Vergennes fut forcé de renvoyer à un autre moment l’examen des prétentions des Corses et des Sardes. Les papiers concernants cette affaire furent remis au Jureconsulte des affaires étrangères pour travailler une réponse au grand Mémoire de la Cour de Turin. Il s’en occupa et trouva que nous manquions encore de beaucoup de documents. On a rassemblé dans les correspondances tout ce qui a été possible et après un premier examen n’a pas paru à propos d’aller en avant parce que la situation de la France ne permettait guères de suivre une négociation peu agréable à une Cour amie et voisine, d’autant plus que s’il faut le dire les titres de la Cour de Turin paraissent supérieurs à ceux que les habitants de Bonifacio on fourni.
« J’ignore, Monsieur, jusqu’à quel point vous pouvez influer sur le Député de Bonifacio et s’il dépende de vous de l’empècher de suivre cette affaire à l’Assemblée Nationale; mais je crois devoir vous observer que si cette Assemblée voulait en deliberer elle ne pourrait en ètre assurée de fixer son opinion en parfaite connais- sance de cause avant d’avoir envoyé en Corse le Mémoire très volumineux du Gouvernement de Sardaigne et de s’ètre procuré des reponses aux fortes objections qu’il contient, ce qui prendrait nécessairement plusieurs mois.
« Si l’Assemblée se bornait à décréter que le Département Politique sera chargé de suivre cette affaire, j’y donnerais tous mes soins, mais j’aurais également besoin de beaucoup de temps pour ètre en état de répondre, peut ètre bien faiblement, à la Cour de Turin. Je ne puis pas me dispenser de fixer votre attention sur ce qui arriverait dans le cas où après ma réponse, mème en la supposant victorieuse, ce que je suis éloigné d’espérer, la Cour de Turin persisterait à vouloir se maintenir dans la possession des iles de la Magdelaine, et s’il n’y a pas telle circonstance où il ne nous con- viendrait nullement d’établir une discution sérieuse avec cette Cour pour quelques rochers aux quells une seule Communauté de Corse n’a pensé serieusement que depuis peu d’années. Cette observation, comme vous le jugez bien, Monsieur, n’est que pour vous seul.
« Je me reSume: les prétentions des habitants de Bonifacio pa-raissent au moins problematiques. S’ils les présentent à l’Assemblée, je ne suis pas en état de lui fournir la réponse au dernier Mémoire de la Cour de Turin et je ne pourrais pas le faire que depuis longtemps. Par conséquent elle ne pourra rien prononcer sur le fond de l’affaire. Si cette Assemblée se borne à décréter que le Département Politique doit la suivre, je ferais avec le temps tout ce qu’il sera possible. En tout état de cause, Monsieur, je serais très aise que l’Assemblée ou du moins le Comité sent que les droits des Corses ne se présentent pas à beaucoup près sous l’aspect de l’évìdence; et je ne voudrais pas le dire parce que cet aveu devenu pitblic affaiblerait mes moyens de négociation. Je m’en rapporte à l’usage que vous jugerez à propos de faire de cet exposé et des réflections que j’y ai fait entrer. Il me suffit de vous avoir montré que cette affaire ne présente rien moins qu’un succès certain et qu’elle n’est pas assez peu importante par les rapports avec la politique pour qu’elle puisse ètre envisagée comme une simple réclama- tion d’un territoire que nous croyons nous appartienne ».
Per quanto incoerente potesse sembrare la lettera, giacché il ministro dimostrava di voler rinunziare ad ogni negoziato senza per altro indebolire i mezzi per continuare la vertenza, in essa vi era un fondo di verità, in quanto il momento di riprendere le trattative con Torino era sfavorevole. Scrivendo confidenzialmente al collega Du Portail, egli voleva non solo convincerlo ad ogni costo che la diplomazia francese in quella congiuntura politica aveva tutto l’interesse a restare tranquilla, ma anche scoraggiarlo sulla riuscita dell’iniziativa promossa dalla comunità di Bonifacio, in modo che lui stesso scoraggiasse poi il rappresentante di questo e gli impedisse di rivolgersi all’Assemblea Nazionale.
Il fine fu raggiunto: il ministro della guerra si lasciò convincere e il Comitato Diplomatico, a cui il Constantini aveva indirizzato copia delle richieste dei suoi concittadini, rimase insensibile, anche se nella lettera al Presidente Fréteu il Deputato aveva lasciato intendere che il mancato accoglimento delle richieste avrebbe suscitato nella città un movimento di ostilità contro il governo ( ). Antonio Constantini tornò poco dopo alla carica presso il ministro degli esteri, chiedendogli in esame la copia del Memoriale della corte di Torino del 1787 e una risposta scritta da far pervenire ai suoi committenti per tacitarli. Il Du Portail gli rispose seccamente, dicendo che non aveva nulla da comunicargli e mettendolo in guardia contro ogni atto intempestivo dei Bonifacini: « Je me borne à vous observer qu’il serait bon d’inviter les habitants de Bonifacio à sentir qu’ils ne peuvent mettre trop de circonspection et de sagesse dans leurs réclamations afin d’éviter tout ce qui pourrait troubler la bonne intelligence qui règne entre la Cour de Turin et la nòtre ».
L’intrigante Deputato non si lasciò smontare: scrisse di nuovo al Comitato Diplomatico dell’Assemblea Nazionale per segnalare l’insensibilità del ministro e per invocare la nomina di una commissione d’inchiesta; rivolgendosi ancora al Du Portail, gli rappresentò la possibilità di una sedizione degli abitanti di Bonifacio). Le minacce sortirono qualche effetto, giacché il ministro della guerra, in una postilla a un «promemoria » sulla pertinenza delle isole intermedie, scrisse di suo pugno: « Il est à craindre que le caractère irascible et bouillant des Corses ne les porte à se faire justice eux mèmes s’ils peuvent croire qu’on la leur réfuse; ils en sont capables et ils peuvent le faire, parce qu’ils sont armés. Il serait peut-ètre prudent pour les calmer de marquer à M. Constantini que M. de Montmorin sera chargé de faire des nouvelles démarches à la Cour de Turin pour obtenir justice et qu’en cas qu’elle fasse difficulté de la rendre, on lui demanderà les motifs de son réfus, que l’on communiquera à la ville de Bonifacio. On pourrait avant tout consulter sur cela M. de Montmorin en lui envoyant copie de la lettre de M. Constantini ».
La tattica dilatoria del Dipartimento degli affari esteri ebbe, in questo modo, buon successo, perché per circa un anno la questione fu messa da parte. Quando, però, al Montmorin successe il Lessart, Antonio Constantini non mancò di riesumare le rivendicazioni della sua comunità (2M). Il nuovo ministro degli esteri, per tutta risposta, gli fece comprendere che il governo non era in grado di controbattere con documenti appaganti alle « deduzioni » contenute nel noto Memoriale della corte di Torino: pertanto anche lui sconsigliava i focosi cittadini di Bonifacio dal prendere determinazioni inconsulte: « Je n’entend pas bien, Monsieur, ce que vous voulez dire en parlant d’événements prèts à se développer et qui seront près à faire restituer à la ville de Bonifacio les iles qu’elle reclame et que le Roi de Sardaigne a fortifié. Il n’à jamais pu étre question que de négociation sur cet objet, et je ne crois que vos concitoyens puissent se livrer à des projets désavoués par le Gouvernement et qui leur déviendraient funestes ».
Ciò accadeva alla fine di febbraio del 1792; nella seduta del 20 aprile successivo l’Assemblea Nazionale proclamava « la guerra ai re e la pace alle nazioni ». Nessuno allora era in grado di valutare quali sarebbero stati gli sviluppi degli avvenimenti, nè gli abitanti di Bonifacio potevano prevedere che le vicende della guerra avrebbero portato, a pochi mesi di distanza, le armi francesi a intervenire nelle Isole Intermedie.
Chi, invece, sembrò veramente rendersi conto che la guerra contro il Piemonte avrebbe potuto dare ai Còrsi l’occasione di conseguire le loro aspirazioni fu il Constantini, che a Parigi, frequentando il Club dei Giacobini e mantenendo una stretta e assidua relazione col giornalista rivoluzionario Loustallat, seguiva da vicino l’evolversi della situazione politica. Ma già prima di lui altri due Còrsi, Matteo Buttafoco del Vescovado e Bartolomeo Arena, avevano attirato sulla Sardegna l’attenzione del governo francese, il primo caldeggiando un sistema di politica mediterranea nel quale la Corsica avesse la preminenza sull’isola vicina (sarebbero bastati, a suo dire, 2000 uomini per conquistarla), il secondo ribadendo il principio secondo il quale « si le Roi de Piémont entre dans la ligue contre la France, il ne serait pas mauvais de lui faire comprendre que les Corses pourraient aller jeter le trouble dans les possessions de Sardaigne ».
La guerra sembrava imminente. Vittorio Amedeo III, respinta l’offerta del Milanese fattagli dal Dumouriez in cambio della sua neutralità, si era gettato a corpo morto nella coalizione antifrancese e provvedeva a rafforzare le guarnigioni di confine. Il clamoroso incidente diplomatico, di cui nel mese di aprile fu protagonista l’ambasciatore designato Sémonville, accrebbe la tensione fra i due stati; la Francia provvide a guarnire con due armate le frontiere del Nizzardo e della Savoia, dove si prevedeva che la lotta sarebbe stata particolarmente accanita.
Nel mese di maggio Antonio Constantini inviava al potere esecutivo un Memoriale contenente alcune considerazioni politiche generali e un particolareggiato piano di attacco contro la Sardegna. L’occupazione dell’isola doveva costituire, secondo l’autore, un utile diversivo per turbare i preparativi militari del Piemonte. La facile riuscita dell’impresa avrebbe assicurato gli approvvigionamenti di grano e di carne necessari agli eserciti del Mezzogiorno e avrebbe favorito lo svolgimento delle operazioni militari sul fronte delle Alpi. Il deputato di Bonifacio stimava che le sole risorse della Corsica sarebbero state sufficienti ad assicurare il buon successo della spedizione.
« Les dispositions de la Cour de Turin – si legge nell’importante document – se sont suffisamment manifestées envers les Francis libres par les rassemblements de troupes ennemies qu’elle a réunies aux siennes sur les frontières du còté de la France, pour que l’on puisse, sans blesser le droit des gens, prévenir leurs mésures hostiles en employant sur le champ des moyens offensifs. En considérant la nation francaise comme devant agir offensivement contre le Roi de Sardaigne – question que l’Assemblée Nationale et le Conseil Exécutif sont seuls en état de discuter et de juger – il se présente deux moyens faciles et peu coùteux de lui porter un préjudice notable dans ses finances, qui tournerait à notre avantage… ».
Il primo suggerimento consisteva nell’evacuare anzitutto il Principato di Monaco, in considerazione della sua speciale posizione strategica, trasportando i 500 uomini della guarnigione, le artiglierie e i depositi in territorio francese, e nell’occupare subito dopo il porto di Nizza, per privare così il re di Sardegna di un’importante base marittima, a tutto vantaggio del porto di Marsiglia. « Le second consiste à faire effectuer une descente dans l’ile de Sardaigne par les troupes et les gardes nationales de l’ile de Corse, qui se chargeraient de cette opération avec enthousiasme, d’après la rivalité, la haine mème qui a de tout temps existé entre les habitants de ces deux iles. Elles ne sont séparées de l’autre que par un bras de mer de trois lieues, rien ne s’opposerait à la descente et il est aisé de calculer le fruit que l’on pourrait en retirer si l’on considère que la Sardaigne fournit de superbes chevaux à toute l’Italie et qu’elle renferme une prodigeuse quantité de boeufs et d’autre bétail. On pourrait donc, en faisant quelques sacrifices pour assurer cette expédition et lui donner la plus grande célérité, disposer secrètement beaucoup de bàtiments propres au transport des chevaux et des boeufs et les faire monter par les gardes nationales du Gard et des Bouches du Rhóne, qui joignent à une bravoure et à un patriotisme éprouvés l’intérét particulier de leur position. Ces bàtiments se rendraient en toute diligence dans le détroit de Bonifacio, où ils recevraient les troupes et les gardes nationales de Corse. La descente s’effectuerait aussitót, et il est probable qu’elle serait suivie d’un heureux succès, si le secret et l’activité des préparatifs répondant à l’ardeur des soldats de la patrie, ne laissaient pas aux Saides le temps de réunir des forces suffisantes à leur opposer. Ce moyen procurerait une cavalerie imposante à l’armée du Midi et la pourvoirait en abondance de tous les boeufs nécessaires à la subsistance ».
Ancora più interessante è la seconda parte del Memoriale, contenente un piano particolareggiato di operazioni militari contro l’isola: «Il convient de commencer par s’emparer des iles de la Maddalena et celles adjacentes appelées les Bouches de Bonifacio; un fort, du canon et quelques troupes empèchent le passage de nos vaisseaux entre la Corse et la Sardaigne. Ces iles ne sont pas difficiles à conquérir parce que les habitants, d’origine corse, seraient flattés d’étre unis à cette ile et, par suite, à la France. Il faudrait, en méme temps, s’emparer de la demi-galère sarde qui séjourne dans le port de ces petites Iles et de quelques autres petits bàtiments qui gardent les cótes de Sardaigne.
« S’emparer en mème temps du chateau de Longonsardo, situé vis-a-vis de la còte de Bonifacio. Il y a du canon et fort peu de troupe; cet endroit assure le séjour de non vaisseaux dans ce port et le débarquement de non troupes en cas de besoin. Se ménager des intelligences secrètes avec les habitants de la ville de Tempio, qui est située à dix lieues de la mer; elle est munie d’une garnison peu nombreuse. Ce qu’il y a à craindre pour le succès de l’entreprise, ce sont les Sardes mémes, que la politique de Turin soudoie pour se les attacher; mais il est aise de les détacher par ce mème moyen en formant d’abord des régiments, dont les emplois seraient donnés aux individus qui se montreraient les plus disposés pour la France. On suivrait la méme méthode pour tous les villages qui l’entourent.
« S’emparer aussi des petites villes situées l’une sur la droite de Tempio, appelée Terranova, et l’autre sur la gauche, appelée Castelsardo. Cette dernière est une place de guerre située sur un rocher et au bord de la mer. Il sera un peu difficile de la prendre si l’on ne parvient pas à se ménager des intelligences de la place; mais on peut la bombarder par la mer. On marcherait ensuite en droiture à la ville de Sassari, très peuplée; elle a un régiment de garnison en temps de paix, mais le bourgeois est mécontent du gouvernement. Par ce moyen il n’est pas difficile de s’y ménager ou d’y entretenir des intelligences. Il serait bon aussi de sonder leurs dispositions pour la Révolution frammise par une profusion de notre constitution en langue sarde.
« Dans le cas où l’usage d’une force armée deviendrait nécessaire, elle doit étre de 12.000 hommes, c’est à dire 6.000 hommes de troupes de ligne et 6.000 volontaires nationaux, dont 2.000 corses. En mettant le siège à cette ville, on s’einparerait de la moitié de la Sardaigne. D’ailleurs on y parviendrait encore par un blocus, parce que, tirant tous ses approvvisionnements des campagnes voisines, il serait facile de lui couper les vivres, et notre armée en trouverait abondamment, étant maitresse d’une campagne qui en a une grande quantité.
« De là on marcherait sur Alghero, ville de guerre, sur les bords de la mer; quoique moins peuplée que Sassari, elle est d’une prise plus difficile; elle a toujours un régiment en garnison et est assez bien fortifiée, mais on peut s’y faire un parti et lui couper les vivres qu’elle retire de la montagne. Cette place prise, on est assuré de la conquète de la capitale, Cagliari; il faudrait y inarcher avec toute la troupe qu’on aurait à sa disposition et avec les Sardes qu’on aurait pu gagner. Elle est la résidence du vice-roi. Il est très possible de s’y faire un parti avec de l’argent; dès que l’on serait parvenu à s’y loger, les autres villes de montagne et les villages feraient peu de résistance et dans un mois on pourrait occuper la Sardaigne.
« Pour donner à ce pian toute son exécution, il faut faire passer rapidement en Corse toutes les troupes nécessaires et les tenir prètes à les débarquer en Sardaigne, entretenir des vaisseaux vers les ports de Nice et de Livourne pour empècher le roi de Sardaigne de porter secours à cette ile, soit en troupes soit en munitions. Ces mesures prises, une armée médiocre s’en rendrai maitresse, y trouverait toutes les ressources pour y subsister et n’aurait besoin pour le reste d’autres impositions que celles qui existent du gouvernement sarde. Il faudrait aussi, pour préparer les effets de ce pian, envoyer dans la Sardaigne des citoyens affidés connaissant bien le pays, les moyens de le préparer à une insurrection et ceux de la soutenir à notre avantage en la combinant avec la force qu’on ferait inarcher en temps utile.
« Ainsi le sieur Constantini, dont les connaissances du pays sont très familières par le long sèjour qu’il y a fait, et dont le zèle et le feu pour le succès de nos armes sont hors de doute par les sentiments vrais et énergiques de liberté et d’amour pour la Constitution dont il a fait profession, pourrait remplir dans cette contrée une mission très avantageuse dans la situation actuelle des choses. Il s’offre de s’y consacrer entièrement si le gouvernement veut le revètir d’un caractère public ».
Il Memoriale di Antonio Constantini fu approvato da uno degli uomini più influenti della Corsica, il Procuratore Generale Sindaco Cristoforo Saliceti, il quale, scrivendo il 17 giugno 1792 al ministro della guerra Lajard, rendeva manifesto il contributo di uomini e di mezzi che la Corsica avrebbe potuto dare alla causa della nazione francese nel caso di una guerra contro il re di Sardegna e i vantaggi che la facile invasione dell’isola avrebbe apportato all’economia della Francia: « Je regarde l’exécution de ce projet comme sujette à peu de difficultés, eu égard à la faiblesse des moyens de défense du roi de Sardaigne et au peu d’attachement des naturels au gouvernement actuel. Je pense mème que, si l’on parvient à combler les deux ports de Cagliari et de Sassari (sic), il sera difficile au tyran de Sardaigne d’y rétablir son pouvoir. D’après toutes ces considérations, animé du zèle le plus pur pour la défense de la Constitution, je vous propose de donner les ordres nécessaires pour l’exécution du projet, pour le succès duquel il ne nous faudrait que des munitions, quelques bàtiments de guerre et quelques secours en argent; pour tout le reste comptez sur le courage et le patriotisme des citoyens de ce département » ( ).
Anche Mario Peraldi, ex deputato all’Assemblea Legislativa e amico fidato di Pasquale Paoli, sostenne la proposta del Constantini di far partire dalle basi della Corsica l’attacco contro l’isola vicina, incominciando con l’occupazione delle Isole Intermedie ed estendendo a mano a mano l’azione militare dalla Sardegna settentrionale alle regioni centrali e meridionali. Il Constantini finì con l’aver partita vinta, quando, il 23 luglio, Lazzaro Carnot, il membro più autorevole del governo francese, diede la sua approvazione al Memoriale ( ). Il Consiglio Provvisorio Esecutivo fu poco tempo dopo investito della « questione » : verso la fine di settembre era ufficialmente decretata la spedizione, la cui esecuzione fu affidata congiuntamente al contrammiraglio Truguet, comandante della flotta del Mediterraneo, e al generale d’Anselme, comandante dell’esercito del Var ( ).
Le deliberazioni prese definitivamente dal governo francese il 10 ottobre lasciavano ai comandanti delle forze di mare e di terra piena libertà sul modo di condurre le operazioni di attacco contro la Sardegna. Il generale d’Anselme, poco propenso a distogliere parte delle sue truppe dal fronte delle Alpi Marittime, lasciò che l’iniziativa fosse presa dal contrammiraglio Truguet, mettendogli a disposizione poche truppe regolari di linea e un numero abbastanza rilevante di volontari marsigliesi.
Secondo il piano di attacco redatto da Antonio Constantini, la Corsica avrebbe dovuto fornire gli uomini e i mezzi necessari alla spedizione; ma il ministro della guerra, valutando più realisticamente le possibilità dell’isola, aveva disposto che le truppe della 23° divisione stanziate in Corsica e comandate da Pasquale Paoli fornissero solo quei contingenti che potevano essere distolti senza pregiudizio per la sicurezza dell’isola. A questi potevano però essere aggiunti reparti di volontari nazionali reclutati in forza della legge del 29 luglio 1791, che attribuiva alla Corsica la facoltà di arrolare quattro battaglioni di guardie nazionali.
Il disegno di invasione originariamente preparato dal Truguet consisteva nell’occupazione preliminare delle isole di S. Pietro e di S. Antioco e nel successivo attacco frontale contro Cagliari, preludio all’occupazione di tutta l’isola, ma non prevedeva alcuna operazione di alleggerimento nel nord della Sardegna. I sanguinosi incidenti scoppiati a Bastia e ad Ajaccio tra marinai provenzali e volontari còrsi indussero il contrammiraglio a rivedere i suoi piani : non volendo far marciare i soldati còrsi a fianco dei marsigliesi, per non intaccare nel corpo di spedizione la coesione necessaria, ma non volendo neppure lasciare inoperose le truppe messe a sua disposizione dal Paoli, deliberò di destinarle a un contrattacco sulle isole della Maddalena, perché, così facendo, credeva di poter dividere le forze sarde e di interrompere del tutto le relazioni marittime tra la Sardegna e il Piemonte. Egli però non si rendeva conto che per la difesa
dell’isola non esisteva un vero e proprio piano di mobilitazione e che sulla resistenza di Cagliari non poteva minimamente influire l’occupazione della Maddalena, situata all’estremità opposta.
Pasquale Paoli accettò a malincuore il diversivo non solo perché desiderava mantenere intatta la disponibilità e l’efficienza delle sue truppe in Corsica, ma anche perché conosceva troppo bene l’indisciplina, la cattiva organizzazione e lo scarso armamento dei volontari nazionali tra credere in un facile successo del contrattacco. « Les quatre bataillons – scriveva al ministro della guerra il 30 dicembre 1792 – ont été trop mal organisés pour espérer qu’ils puissent présenter un fond considérable. Ils ne sont ni habillés ni armés en grande partie; leur organisation exige nécessairement du temps, et il est improbable de l’opérer aussi promptement que le contreamiral veut mettre à la voile ».
E in un’altra lettera del 2 gennaio 1793 esponeva con maggior chiarezza al ministro il suo parere sulla situazione generale della Corsica e sulle difficoltà che si frapponevano a un utile uso delle truppe volontarie: nell’isola dominava una specie di aristocrazia, che ostacolava l’espansione del movimento rivoluzionario; i preti erano apertamente contrari alla guerra contro i Sardi; le truppe destinate alla difesa delle coste erano scarse e male armate; quelle dell’interno non erano in grado di fronteggiare una possibile sollevazione popolare. Il vecchio generale, in sostanza, faceva intendere di non essere disposto a dare al contrammiraglio Truguet un ulteriore contributo di uomini e di mezzi per la spedizione contro l’isola vicina: « Un rassemblement général de tous les bataillons à Bonifacio est sujet à des difficultés presque insurmontables.
Les soldats des bataillons ne sont pas équipés, tout mouvement leur devient excessivement difficile, et celui qu’on propose est le plus long et le plus difficile qu’on puisse faire en Corse. Il n’y a aucune provision de vivres pour les transférer où le besoin l’exige, et Bonifacio étant un endroit pauvre, surtout depuis l’interruption de son trafic en Sardaigne, on ne peut rien offrir pour la subsistance. Les mémes difficultés se font sentir pour les effets de campement et autres, nécessaires dans le cas que les troupes descendent dans le nord de la Sardaigne ».
Particolarmente delicata era la questione della paga alle truppe: da tre mesi la cassa era sostenuta da prestiti, e intanto non si era ancora provveduto ad aggiungere al soldo ordinario il trattamento di campagna, che i soldati reclamavano e che l’amministrazione non osava rifiutare per tema di un ammutinamento generale.
Il contrammiraglio insistette nelle sue richieste, suggerendo il modo come ovviare agli inconvenienti lamentati, e il vecchio agitatore dovette arrendersi: i quattro battaglioni di volontari còrsi si sarebbero posti in marcia al più presto verso Bonifacio, dove avrebbero atteso gli ordini per attaccare le isole della Maddalena.
La riorganizzazione di questi reparti avvenne lentamente, fra difficoltà di ogni genere.
Vi concorse con grande zelo il giovanissimo Napoleone Bonaparte, che dopo aver conseguito in Francia il grado di capitano effettivo di artiglieria, era dovuto ritornare temporaneamente nell’isola nativa in conseguenza della pericolosa disgregazione in cui si era trovato l’esercito regolare francese nella prima metà del 1792. In Corsica, grazie ai suoi abili intrighi, e avvalendosi dell’aiuto dell’amico Cristoforo Saliceti, aveva facilmente ottenuto il grado di tenente colonnello delle guardie nazionali e assunto il comando in seconda di un battaglione di volontari. Pasquale Paoli e Pozzo di Borgo si erano mostrati contrari a questa nomina, perché temevano le intemperanze e i colpi di testa di un giovane che, divorato da un’ambizione immensa, aveva assunto nelle violente lotte politiche di quei mesi una posizione nettamente ostile alle direttive politiche del patriota còrso. Invitato a recarsi a Corte per esaminare col Paoli la situazione militare in vista dei preparativi per il contrattacco sulla Maddalena, Bonaparte, in presenza di numerosi testimoni, si comportò così fieramente e arrogantemente, che il vecchio generale dovette metterlo energicamente alla porta e farlo ritornare ad Ajaccio: ciò che il giovane ufficiale fece senza indugi, trascurando per un momento la lotta politica per dedicarsi con grande ardore a mettere in stato di piena efficienza il 2° battaglione, di cui condivideva il comando col tenente colonnello Quenza.
L’aver affidato ai volontari còrsi l’impresa contro la Maddalena era stato un parziale successo per la politica di Pasquale Paoli; giacché il diversivo assecondava le tendenze separatiste degli isolani. La posizione del vecchio agitatore si rafforzò ulteriormente quando egli poté contare sulla collaborazione di Pietro Paolo Colonna Cesari, colonnello a riposo della gendarmeria, a cui lo legavano stretti vincoli di amicizia e di parentela. Precedentemente il Paoli aveva sollecitato per lui il comando militare dell’isola, ma l’allora ministro della guerra Servan aveva nominato lo stesso Paoli comandante della 23a divisione. Più tardi il Colonna Cesari ad Ajaccio aveva avuto modo di abboccarsi col contrammiraglio Truguet: argomento dei colloqui era stato il contributo che la Corsica poteva dare alla spedizione contro la Sardegna. Il vecchio colonnello si era mostrato dello stesso avviso del Paoli sulla necessità di non sguarnire troppo le difese dell’isola; ma il Truguet aveva tanto insistito, che il Colonna Cesari aveva finito con l’accettare il comando del piccolo corpo di spedizione contro la Maddalena. Egli personalmente era persuaso che il contrattacco non avrebbe molto giovato al buon successo delle operazioni della flotta nel sud della Sardegna, anzi stimava più utile che le forze terrestri marciassero su Torino e quelle navali attaccassero lo Stato Pontificio, ma ad ogni buon conto non rifiutò la promozione a maresciallo di campo e il comando dei quattro battaglioni di guardie nazionali destinati a conquistare l’arcipelago della Maddalena.
« Nous Pascal Paoli – si legge nel decreto di nomina -, lieutenant-général des armées de la République franqaise, commandant la 23iime division militaire dans le département de la Corse, le citoyen Truguet, contreamiral, commandant l’escadre de la République dans la Méditerranée, chargé par le Conseil exécutif de l’expédition de Sardaigne et du choix des moyens pour la faire reussir, nous, ayant requis de réunir les forces dont nous aurions pu disposer pour opérer une contre-attaque sur l’ile de la Maddalena et la partie nord de celle de Sardaigne, et de faire commander les dites troupes par le citoyen Pierre Paul Colonna Cesari, colonel réformé de la gendarmerie nationale, nous, lieutenant général susdit, voulant concourir par tous les moyens possibles à faciliter l’entreprise dont le dit contre-amiral est chargé et offrir de ne rien négliger de tout ce qui peut contribuer au succès des armées de la République et des talents militaires di citoyen Colonna Cesari et d’après la proposition et requisition formelle qui nous en a été faite par le contre-amiral susdit, l’avons nommé, en tant que notre autorité peut nous le permettre, commandant la division des troupes destinées à la contreattaque dans l’ile de la Maddalena et le nord de la Sardaigne. Ordonnons aux militaires de cette division, destinée à faire la dite contre-attaque, de lui obéir comme à leur chef et aux commandants des places et forts de lui prèter secours et lui avoir égard en cette qualité. Invitons toutes les autorités civiles et administratives à le considérer comme tei dans toutes les réquisitions et actes de son ministère ».
Contrariamente al parere del Paoli, che invano aveva insistito affinché le truppe volontarie si concentrassero ad Ajaccio, la sola città della Corsica che offrisse qualche possibilità di approvvigionare e alloggiare i soldati in attesa che fosse dato il comando di partenza per l’arcipelago, i quattro battaglioni di guardie nazionali nei primi giorni di gennaio del 1793 si misero in marcia verso Bonifacio: gli ordini del contrammiraglio Truguet in tal senso erano perentori. Ma il vecchio generale, che meglio di ogni altro vedeva quanto sarebbe stato difficile tenere a freno dei soldati indisciplinati e irregolarmente pagati, in un paese assolutamente privo di risorse, riuscì a ottenere che i volontari si accampassero a Sartène, a una giornata di marcia da Bonifacio, in attesa che il generale Colonna-Cesari, allora impegnato nel preparare i viveri, le munizioni, gli effetti da campo e le imbarcazioni, li ispezionasse e desse il segnale di attacco.
Sebbene avesse ottenuto pieni poteri per attuare tutte le riforme necessarie al ristabilimento della disciplina e alla ricostituzione dei battaglioni, il comandante della spedizione si adoperò invano nel suo intento di rendere efficienti le truppe. Il 4° battaglione era privo di comandante, perché il colonnello Grimaldi aveva disertato per paura della guerra. Il suo successore, Colonna de Leca, non riusciva a tenere a bada i soldati, che, con la scusa di non essere pagati da tre mesi, si abbandonavano a saccheggi e a violenze. Dell’intero battaglione solo le due compagnie Guiducci e Guglielmi, distaccate a Cervione, erano in grado di partecipare alle imminenti operazioni. Non migliore era la situazione delle altre unità dislocate a Sartène: basti pensare che del 1° e 3° battaglione oltre un centinaio di uomini avevano preso la fuga e il colonnello Casalta non riusciva a colmare i vuoti con l’arrolamento di altri volontari.
Anche il 2° battaglione Quenza-Bonaparte, l’unico che avesse già raggiunto Bonifacio, sebbene fosse in meno gravi condizioni e sentisse meglio il freno imposto dall’autorità dei due ufficiali superiori, noti per la loro severità, aveva commesso atti di violenza e di vandalismo, bruciando il vasto bosco di lentischi e di ginepri che cresceva a ridosso di Bonifacio e proteggeva la cittadina dalla furia del maestrale.
« Bonaparte avait essayé de discipliner et d’entrainer cette mauvaise troupe; jeune, ardent, ambitieux, il voulait précher d’exemple, se levait chaque matin à la première heure et faisait lui-mème l’instruction de ses volontaires. Son énergie se cléploya en vain: il n’obtint aucun résultat. Cesari ne pouvait ètre enthousiaste après l’inspection des bataillons qu’il avait passée à Sartène et à Bonifacio; mais, au lieu d’agir, il se contenta de gémir et de se plaindre à Pozzo di Borgo, procureur général syndic du département. Si ses plaintes s’espliquaient par suite du mauvais état des troupes et de la pénurie d’argent dans laquelle il se débattait péniblement, son attitude n’en restait pas moins indigne d’un chef énergique qui veut lutter et vaincre la fortune… Mais ce qui manquait surtout à l’ancien colonel de gendarmerie c’était l’enthousiasme. Ses réclamations pouvaient sembler dictées par la prudence et la prévoyance; elles ne témoignaient que la pusillanimité. Il paraissait chercher des moyens de justifier le lamentable échec qui le guettait. Ce bel liomme, ce beau chevai de bataille préparait à merveille cette expédition, qui, selon le mot de Paoli, devait s’en aller en fumèe ».
La flottiglia destinata al trasporto delle truppe e composta della corvetta La Fauvette, forte di una ventina di bocche da fuoco, di tre feluche, di lina tartana, di un brigantino e di una decina di piccoli bastimenti da carico, fu pronta solo verso la fine di gennaio.
Durante il mese intercorso tra l’allestimento delle imbarcazioni e l’inizio delle operazioni di attacco, gli equipaggi provenzali, più indisciplinati degli stessi volontari nazionali, si abbandonarono anch’essi a minacce di saccheggi e di violenze contro i pacifici abitanti di Bonifacio. Lo stesso Napoleone corse serio pericolo di vita quando, durante una delle frequenti rumorose dimostrazioni dei volontari e dei marinai, fu assalito per aver manifestamente disapprovato le loro intemperanze: egli dovette la salvezza al pronto intervento di un sergente, che con un colpo di pugnale stese a terra uno degli aggressori e indusse gli altri a ritirarsi.
Le cattive condizioni del mare, ma soprattutto il persistente stato di indisciplina dei soldati, impedirono per ben quattro settimane al Colonna-Cesari di muovere contro la Maddalena. L’ordine di partenza fu dato la notte tra il 19 e il 20 febbraio; ma un vento furioso, levatosi all’improvviso, non lasciò andare lontano le imbarcazioni. Solo due giorni dopo la flottiglia poté spiegare le vele; trasportava in tutto 600 uomini, di cui 450 volontari e 150 granatieri regolari: numero più che sufficiente per impadronirsi delle isolette, scarsamente difese da pochi cannoni e da un esiguo distaccamento di soldati sardi.
Aveva così inizio l’attacco contro l’arcipelago della Maddalena: le antiche aspirazioni degli abitanti di Bonifacio sembravano prossime a tradursi in realtà.
Introduzione di Sovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole
I rapporti con la Repubblica di Genova (1767-1768)
Le relazioni Franco-Sarde al momento della cessione della Corsica (1768)
Le rivendicazioni della comunità di Bonifacio (1768-1777)
L’azione diplomatica del governo francese (1778-1784)
La replica della corte di Torino (1785-1787)
Le ultime rivendicazioni dei corsi (1788-1792)
La spedizione contro le Isole Intermedie (1793)
Sovranità e Giuristizione sulle Isole Intermedie (1767-1793) Carlino Sole 1959