Leggero e la pistola
Sconfitto a Roma, Garibaldi era fuggito con pochi fedeli, scampati alla prigionia o alla morte, e dopo un tentativo travagliato di raggiungere Venezia, durante il quale la moglie Anita, stremata e febbricitante, morì, cambiò itinerario e giunse a Portovenere, nel Golfo della Spezia, la sera del 5 settembre 1849, con un passaporto rilasciatogli a Roma dal console americano sotto falso nome. Di lì, con la diligenza postale, arrivò a Chiavari. Con lui era rimasto il capitano Giovanni Battista Culiolo noto col nome di battaglia di Leggero, aveva combattuto nella legione italiana a Montevideo e poi in Italia a Morazzone. Nella difesa della Repubblica Romana era stato gravemente ferito. L’arrivo di Garibaldi suscitò l’entusiasmo di gran parte dei cittadini chiavaresi e la gioia della famiglia dei cugini Puccio, che lo ospitarono quella sera. Al centro di Chiavari, in Via Vittorio Emanuele, al n. 1, dove oggi una targa rammenta questi fatti, abitavano le famiglie di Alberto e di Giuseppe Puccio; quest’ultimo aveva una figlia, Annetta.
Quando al capitano dei Carabinieri, marchese Filippo Ollandini, giunse la notizia dell’arrivo in città del generale, informò subito il Comando dell’Arma a Genova e l’Intendente conte Augusto Nomis di Cossilla (che sposerà poi la marchesina chiavarese Carolina Barbara Maria Francesca Luigia Anna Marana nata a Genova il 5 febbraio 1862 e residente in Chiavari). L’Intendente fece sapere a Garibaldi che avrebbe informato il governo regio del suo arrivo in Chiavari e gli chiese le ragioni della sua presenza, raccomandandogli di persuadere i suoi amici a non dare occasione a disordini.
Garibaldi rispose che il suo intento era unicamente di potersi congiungere con i suoi familiari prima a Chiavari e più tardi a Nizza. Anche il sindaco si preoccupò di informare l’Intendente che se avesse tentato di procedere all’arresto la città si sarebbe opposta con la forza.
Si racconta che a casa Puccio, la sera, Garibaldi fosse accolto con entusiasmo da amici e volontari della regione lombarda e dai canti nati a Genova nel 1797, all’epoca della Repubblica Ligure.
Preoccupato di questa calorosa accoglienza, l’Intendente Nomis di Cossilla inviò un dispaccio al generale Lamarmora, che nelle prime ore del 6 settembre interpellò il ministro dell’Interno Pier Dionigi Pinelli: Garibaldi è giunto a Chiavari. Lo farò arrestare. Che cosa ne debbo fare? Il meglio sarebbe di spedirlo in America. Questa la risposta: Si mandi in America se vi acconsente. Gli si dia un sussidio.
Se non vi acconsente si tenga in arresto. Subito Lamarmora inviò un carabiniere a Chiavari per procedere all’arresto di Garibaldi, il capitano Carlo Alberto Basso, che dapprima prese contatto col capitano Ollandini. Fu mandato il brigadiere Saviotti nell’abitazione dei Puccio, ai quali era stata comunicata la disposizione ministeriale: Garibaldi non era in casa e quando arrivò, una volta ricevuto l’ordine, alle ore 8 si recò in Prefettura per protestare contro il provvedimento, che tuttavia accettò. Fu deciso di partire alle 10 di sera con una vettura da posta, dalla casa dei Puccio, dove Garibaldi si recò a congedarsi dai familiari. A questo punto capitan Leggero, impugnata la pistola, si scagliò contro l’Intendente. Con prontezza Annetta Puccio lo disarmò, posando la pistola sul piano della credenza, mentre Garibaldi, commosso, con la sua autorevolezza impose la calma. Così la vettura poté, all’ora stabilita, partire per Genova, mentre si levavano appassionate grida Viva Garibaldi, Viva l’Italia, al punto che ai clamori della folla solo Garibaldi riuscì a porre fine. Dalla chiesa delle Grazie in poi quattro Carabinieri a cavallo scortarono la vettura che portò Garibaldi e capitan Leggero, prigionieri, in due segrete a Palazzo Ducale.