I licheni e l’arte tintoria
Il ginepro nano è la prima delle specie danneggiate dall’incendio perché è incapace di ripollonare dalle proprie radici. Ma tali situazioni di non-ritorno toccano anche la flora minore, persino i licheni. Ogni incendio elimina dall’ambiente non soltanto i licheni colonizzatori delle piante,ma anche quelli che colonizzano le rocce, le quali potranno riavere quel mantello soltanto dopo 40-70 anni.
Talora passano secoli. I licheni, al pari di tante altre piante, non sono stati selezionati dall’uomo soltanto con gli incendi, ma anche per ablazione a fini economici. Un tempo il più ricercato (e oggi in assoluto il più raro) era l’oricello (lat. auricellus), il lichene color oroarancio che oggi pare prediligere i basalti ma che un tempo ricopriva anche i graniti. Le rocce della Sardegna sino a tutto il Settecento dovevano rassomigliare tanto a grandi ammassi d’oro. Abbiamo già citato il fenomeno delle flotte francesi e inglesi che si tenevano reciprocamente a bada nell’arcipelago della Maddalena e lungo le coste isolane.
I Francesi ebbero il tempo di mettere gli occhi sul nostro sughero, gli Inglesi sui nostri licheni, dai Galluresi chiamati petra lana o erba tramontana. L’Angius nel 1850 ricorda che ben cinque specie venivano raccolte per l’arte tintoria. Un commesso della casa McIntosh di Glasgow venne in Gallura a farne raccolta, e li pagò bene.
La raccolta a fini tintori era sempre avvenuta in Sardegna,ma da allora divenne parossistica, specialmente a danno dell’oricello, usato dagli Inglesi per tingere di blu o di violetto le sete provenienti dall’India e dalla Cina. “Ma quante fatiche e quanti pericoli per poter riempire di questo vegetale i loro sacchi! Conveniva inerpicarsi per le rupi inaccessibili. Spogliata quella sommità si affacciavano sopra i fianchi diroti, e se in qualche parte li vedessero vestiti di quelle foglie con molto coraggio osavano calarsi giù per una corda e così penzoloni raccoglievano quel poco che veniva loro fatto di poter toccare stando a piombo o dondolandosi. Alcuni perirono miseramente rottosi il canape, altri si ruppero il collo rotolando se cedea la pianta, cui si aggrappavano per tirarsi in su. In questa difficile opera tagliavano non meno di cinquecento persone, e questi quando avessero carpito dalle rocce galluresi quel che esse avevano prodotto, andavano in altri dipartimenti montagnosi e visitavano le rocce più ardue. Queste ricerche fecero che molti in varie regioni si applicassero alla stessa raccolta e vendessero ai Galluresi. L’esportazione si suol fare da’ porti di Terranova e di Sassari” (Vittorio Angius).
Vedi anche: Il commercio della roccella e Craig e i licheni