L’isola raccontata da Mario Soldati
Un singolare racconto dello scrittore e sceneggiatore Mario Soldati del suo viaggio a La Maddalena a fine anni sessanta, pubblicato nel libro Fuori nel 1967
Alle 17.45 vediamo La Maddalena.
La Maddalena è, dopo Torino e alcuni luoghi del Piemonte, il posto d’Italia che amo di più. Tutto mi piace alla Maddalena: tutto mi è sempre piaciuto, dalla prima volta che vi sbarcai, qualche anno fa, in un pomeriggio freddo e ventoso di marzo. E quando vi tornai coi miei figli, in piena estate, sfortunatamente per pochi giorni. Tuttavia, non saprei dire il perché di questa preferenza violenta e appassionata. Tantomeno lo saprei dire se mi rifaccio col pensiero al momento dionisiaco dell’arrivo e dello sbarco. Le acque di un blu freddo e nordico, increspate dalla perenne brezza.
Il vento che mai non cessa di somare, vivificante, tra isola e isola.
Le rocce di Capo d’Orso, modellate dall’erosione dei ghiacciai, o da venti di una forza oggi inconcepibile, all’epoca di cataclismi che durarono secoli, fino ad assumere forme bizzarre e mostruose di animali giganteschi: vere e proprie sculture davanti a cui quelle della attuale Biennale veneziana fanno ridere i polli. Poi le case chiare, umili, regolari, allineate tutto intorno sulle banchine. E in fondo, laggiù, nel verde maculato di rocce, la biancheggiante casa di Garibaldi, l’unico luogo santo, l’unico ancora vivo del nostro Risorgimento: l’unico non provinciale, ma interamente umano e progressivo.
Ore 18 in punto. Ci ormeggiamo. Scendo a terra. Sebbene, lì per lì, non riconosca nessuno, ho la sensazione di essere tra cari amici. Vado all’Albergo Excelsior: il nome non inganni: è un piccolo, mode-sto albergo, pulitissimo e senza pretese. Chiedo di fare un bagno.
Ma l’acqua manca. D’estate, alla Maddalena, l’acqua è razionata: a giorni alterni. Il padrone dell’albergo, gentilmente, mi spiega come devo fare; sulla strada principale, il terzo negozio di barbiere a destra è anche albergo diurno: e lì, per qualche ragione che rinuncio subito a indagare, l’acqua non manca mai.
Bellezza della strada principale della Maddalena: cuore vero dell’Italia: via Garibaldi di tutte le altre vie Garibaldi, da Trieste a Trapani, da Verzegnis a Ventimiglia, da Otranto a Oulx.
I negozi fitti, eleganti, ricchi di mercé nuova e lucida: sebbene alla Maddalena il turismo, per la lentezza e la difficoltà del tragitto, sia ancora così scarso. In confronto, nella stessa Bastia, i negozi del boulevard Generai de Gaulle e del boulevard Paoli hanno un che di stantìo, un’aria malinconica e polverosa. Come mai, tutta la Francia, che è così ricca, ha (meno le grandi ribalte obbligate di certe vie di Cannes, di Nizza, di Parigi) quest’aria? Ho udito, a Cannes, uno scrittore francese esclamare, rivolgendosi a colleghi americani ed inglesi: «II faut comprendre la france, il faut la pardonner: pauvre France, elle est tellement riche!». Mi ricordai, subito, la storia di Gide, quando, una sera, dopo aver pranzato in un ristorante di lusso in compagnia di un suo ammiratore, giovanissimo e povero, gli domandò scusa di aver lasciato pagare il conto a lui, e gliela domandò con queste precise parole: “Excusez-moi, mon cher ami: mais je suis tellement avare!”. Ecco la spiegazione: il velo di polvere e di tristezza che sembra stendersi su quasi tutta la Francia non contraddice alla sua ricchezza: anzi la denunzia, perché l’avarizia è sempre indice di ricchezza. Inversamente, lo splendore e l’allegria della via principale della Maddalena è indice della nostra prodigalità, ossia della nostra povertà. I caffè, i bar, i bazar, le profumerie, le tabaccherie, i negozi di alimentari e perfino le boutiques di moda si susseguono vivaci, splendenti, frequentati a ogni ora del giorno: e perfino due o tre vecchie farmacie, rimaste intatte dai tempi di Garibaldi, con i bassorilievi in marmo che incorniciano porta e vetrina, e con l’interno tutto oro e bianco, cristalli filigranati, scaffali scolpiti; colonnine, fastigi, perfino le farmacie, tanto è l’ordine e il lindore, sembra, e forse non è vero, che abbiano conservato questo arredamento ottocentesco più per civetteria che per economia.
Vedo, sulla piazzetta, una nuova pavimentazione, a piccole mattonelle di grès rosso, che gli operai stanno ultimando. Anche questa pavimentazione è allegra, elegante, moderna. Davvero, La Maddalena è qualche cosa a sé: non ha niente, proprio niente di sardegnolo né di toscano: piuttosto, ha qualche cosa di ligure, ma di una Liguria non egoista e non avara, ed è tutto dire!
Il primo e il secondo barbiere sono negozi moderni, scintillanti di cromo e di specchi. Il terzo, cioè quello a cui sono indirizzato, è, stranamente, uno stanzone squallido; misero, dalle pareti con l’intonaco scrostato, e addirittura senza insegna: c’è, soltanto, sul mu¬ro di fianco all’ingresso, scritta a mano col pennello, la parola salone: e più piccola, su uno dei vetri della porta finestra, la parola doccie. In compenso, il padrone è l’uomo più simpatico e più gentile di questo mondo. Cinquantenne, bello, biondo, con un ciuffo di capelli e un accenno di baffetti che gli conferiscono quell’aspetto “artiste” indispensabile al coiffeur bell’époque, mi viene incontro sorridente: come se mi attendesse: ma invece, avendomi riconosciuto per via della televisione, vuole dirmi subito subito, prima ancora di sentire se desidero farmi la barba o i capelli, che lui è di Guastalla, e che è amico di un mio amico: cioè del suo quasi conterraneo Cesare Zavattini. Penso di slancio a Zavattini: come sarebbe felice, di essere qui con me! Il barbiere si chiama…
Per i nomi, una teoria, o piuttosto una sensibilità irrazionale e dominante. Quando un nome è simpatico, ben difficile che la persona non lo sia. Ora, il barbiere ha un nome che sembra inventato, tanto è perfetto. Si chiama: Nullo Frigeri (vedi foto).
Chiedo di fare la doccia. Nullo mi dice di attendere, e scompare nel retrobottega, in fondo a un corridoio oscuro che si intravede di là da una porta a vetri. Mi siedo, e leggo il giornale: “II Giorno”, neanche a farlo apposta: lo trovo sul tavolino. Il garzone, che sta facendo una barba, mi dice che, alla Maddalena, “II Giorno” è molto letto: perché è l’unico quotidiano con la data “della giornata” che arrivi dalla penisola.
Nullo ritorna col suo passo veloce e servizievole: lo sguardo e il ciuffo gli ridono. Mi da un asciugamano e mi conduce nel retro. A metà del corridoio, che è quasi buio, mi consegna un cartone, un fondo di scatola, della grandezza di circa cinquanta centimetri quadrati: e mi strizza l’occhio:
«Ecco, questo, dopo fatta la doccia, se lo mette sotto i piedi, per non scivolare… » Apre la porta della doccia, e mi indica uno stretto spazio, in un angolo, tra uno sgabello di legno e il muro: mi riprende il cartone e lo infila lì, spiegando: «…lo lasci lì, prima: così non si bagna». L’attrezzatura della doccia mi sembra piuttosto primitiva. Prevedo, e pavento, una doccia insostenibile: o gelida o bollente. Esitando, perché non vorrei in nessun modo offendere il fascinoso Nullo, azzardo: «E per regolare…» Con paterna, rassicurante, emiliana aggressività, Nullo mi toglie la parola: «Lei non si preoccupi: lei giri lì la manopola, e vedrà che tutto va bene».
Lo stanzino della doccia è semibuio. Una fioca lampadina rossastra, a filamento di carbone, è avvitata nello spessore di un finestrotto quadrato che sormonta l’uscio: evidentemente per economia, perché da sola serve ad illuminare sia l’interno della doccia sia il corridoio. Mi spoglio e salgo sulla pedana a strisce di legno: anzi, “sul paiolo” dovrei dire, visto che mi picco di marineria. Giro la manopola. E, con una meraviglia che contraddice la mia fiducia in Nullo, esperimento una doccia immediatamente impeccabile.
Sotto la carezza liquida e tiepida, nell’oscurità quasi ipnotica della cella, mi abbandono a una lunga, dolcissima réverie. Da quanto tempo esiste questa doccia? Forse dai tempi di Garibaldi. In ogni caso, una doccia, ai tempi di Garibaldi, era esattamente come questa: né una candela, o una lanterna a petrolio, posata sullo spessore del finestrotto, avrebbe fatto più luce. immagino, dal giusto tepore dell’acqua, che sia scaldata a legna. Ne avrò la conferma poco dopo: Nullo mi mostrerà l’apposita stufa cilindrica, in fondo al corridoio. Adesso, godo la doccia, pensando a tutti i marinai, che per decenni e decenni, appena sbarcati dalle loro lunghe navigazioni, magari un mese chiusi dentro un sottomarino, sono venuti qui, o in una doccia consimile, a rinfrancarsi. Mi immagino anch’io di essere uno di loro, oppure uno ancora più antico, dei tempi di Stevenson e di Conrad. Non erano certo molto diverse le docce delle installazioni britanniche, che accoglievano a Singapore, verso la fine del secolo scorso, ufficiali e marinai dei cargo. Lord Jim prendeva una doccia così. Il gerente della doccia era un Nullo cinese. Oggi, gli ufficiali della Marina Militare hanno le loro attrezzature. Infatti, Marce e Dell’Amore sono andati al Circolo. E sarei anch’io un esteta se dicessi di preferire o, peggio ancora, se preferissi una doccia primitiva alle docce del club o del Grand Hotel. È stupido non desiderare, sempre, e purché non costino troppo, le maggiori possibili comodità e modernità. Ma questa, appunto, è per me, in questo momento, la maggiore possibile modernità e comodità. Perciò non vi trovo difetto, e ringrazio, ringrazio ancora, Nullo Frigeri.
Sabato mattina.
Ieri sera, dopo la doccia, siamo stati invitati a pranzo dall’amico Giuseppe Brumana, nella sua nuova casa. Abbiamo bevuto vino sardo, e gustato un piatto formidabile: spaghetti conditi con sugo di “aragosta tagliata a pezzi viva“. Pare che questa crudeltà sia necessaria, perché nell’interno della corazza delle aragoste viventi circola, intorno alla polpa consistente, una specie di gelatina. Quando l’aragosta cuoce, la gelatina scompare, e cioè si rassoda intorno alla polpa. Ma proprio con la gelatina si ottiene l’ottimo sugo per gli spaghetti. E quindi… Pare, inoltre, che le aragoste abbiano tanta paura del polipo appunto perché il polipo, se le avvinghia, le uccide: succhiando a poco a poco tutta quella gelatina, che per l’aragosta è vitale.
Mi alzo presto, vado a fare un’altra visita a Nullo, e un’altra doccia. Poi passo la mattina camminando avanti e indietro, instancabilmente, per la via principale della Maddalena. Entro nei negozi, chiacchiero un po’ con tutti. E mi studio di capire il motivo del fascino di quest’isola. Bisogna essere sinceri. Non è nella bellezza naturale: poche alberature, o nessuna; rocce, erba; sempre vento. E neppure nelle case, nelle architetture, nei negozi, negli oggetti. Perché La Maddalena non ha visivamente, materialmente, niente di speciale. Il segreto del suo incanto è un altro. È tutto “umano”, forse: è tutto dei maddalenini, o, in ogni modo, di coloro che risiedono alla Maddalena, in questo luogo lontano, piccolo, abbandonato, sperduto, staccato dall’Italia e, un po’, addirittura, “da tutti gli altri”, e che, perciò, amano l’Italia, amano tutti gli altri di un amore sviscerato. In nessun luogo, non soltanto d’Italia, ho trovato gente così prontamente cortese e così naturalmente affettuosa. Soltanto, forse, a Zara: e tanti anni fa. Si aggiunga il tono assoluta¬mente privo di provincialismo della loro vita: quel tono non soltanto nazionale, ma, direi, internazionale, che tuttavia è caratteristico dei centri più importanti della Marina Militare: Taranto, Livorno, La Spezia, e quindi anche La Maddalena. Gli ufficiali della nostra Marina, ai quali ho comunicato questa mia impressione elogiativa, ne sono contenti: ma se ne stupiscono, e non credono di meritarla. Come sempre accade, e come forse è giusto che accada, disprezzano ciò che possiedono. Si aggiunga, infine, come ho già detto, la scarsità del turismo: e quindi un costume ancora genuino, e quasi incorrotto.
Da un tabaccaio. Compero qualche cartolina, chiedo dei francobolli per l’Italia. Certo, ho detto male. Forse, subconsciamente, pensavo di essere di nuovo a Bastia. Fatto sta che il tabaccaio salta su:
«Ma come?! Signor Soldati, proprio questa, da lei, non me l’aspettavo! »
«Che cosa? » dico io: vedendo che era offeso, e non riuscendo a capacitarmi come avessi potuto offenderlo.
«Mi ha chiesto dei francobolli per l’Italia? E dove è La Maddalena? Forse in colonia? »
Cercando di rimediare, dissi che dovevo spedire cartoline anche a qualche mio amico in Inghilterra, in America, in Giappone: e che non volevo, in quel momento, fare la fatica di scriverle: avevo lasciato gli indirizzi a bordo, tra l’altro: «… è stato proprio pensando di evitare questa fatica che ho detto: per l’Italia… ».
«Eh, no, signor Soldati, no… Comperare qualche francobollo in più, adesso, non era una fatica. Lei avrebbe detto: tanti per l’estero, e tanti per l’Italia… Lei ha sbagliato! »
Ma rideva. E soltanto allora, nell’accoratezza bonaria del suo rimprovero e nell’amarezza del mio rimorso, mi parve di capire fino in fondo La Maddalena, e perché la amo.
Ore 14.15. Ci affianchiamo alla banchina per fare rifornimento di carburante alla pompa.
Ore 15.35:
Salpiamo dalla Maddalena, diretti di nuovo in Corsica, a Portovecchio. Per ovvie ragioni, scogli e isolotti, uscendo dall’arcipelago, sono meno pericolosi che entrandovi: la loro esatta posizione è più facilmente identificabile. Marce non esita: ce ne andiamo, questa volta, per breviorem. Passiamo tra La Maddalena e Spargi, lasciamo sulla nostra sinistra Budelli, Santa Maria e le altre isolette. Alle 16.20 siamo al….(omissis)
Ogni volta che torno alla Maddalena, poi ne riparto con accresciuta malinconia per dovermene distaccare. Ecco un posto dove, se appena le circostanze me lo permettessero, non esiterei a vivere sempre, con la certezza di approfittare di tutto ciò che di buono il destino avrebbe ancora in serbo per me, e anche di attutire i colpi della mia parte di avversa fortuna: di medicare, per quanto è possibile, tutte le ferite.
La Maddalena è, per così dire, un microcosmo autosufficiente, staccato con il suo arcipelago dalla Sardegna, emerso con le sue rocce tra Sardegna e Corsica: un frammento estremo e frastagliato dell’Italia, che riflette in sé l’intera Italia, e in un certo senso il mondo intero. Forse perché lungo tempo sede di un ammiragliato della nostra Marina Militare, La Maddalena possiede ancora oggi tutte le strutture necessario a una vita associata comoda e civile: l’ospedale, il liceo, farmacie, librerie, macellerie, caffè, cinematografi, botteghe, banche, uffici di ogni genere. Non è un villaggio. È una vera e propria “ritta minima”, che potrebbe, però, venire paragonata anche a una “nave massima”: una nave, uno zatterone immenso e immobile, fermamente ancorato nel fluire pressoché continuo di un vento purificatore, e in mezzo al battere, d’ogni lato, contro tutte le sue rocce e dentro tutte le sue baie, del mare più meraviglioso del mondo: un mare che unisce due mari, e che scorre senza posa su sabbie bianchissime o cenerine o rosate, su alghe verdi o marroni, con effetti cromatici che non si possono immaginare ma che bisogna vedere, dallo smalto dei blu cupi e dei violetti purpurei alla trasparenza delle turchesi e delle acquemarine.
Così come l’azzurro del mare appare in fondo a ogni vicolo della Maddalena, tra le casette candide, rosa, gialline: così come il vento è vivo ad ogni cantonata, e per scegliere il caffè dove sedere, o per accendere una sigaretta, o per fermarsi a chiacchierare con un amico, si calcola, ogni volta, “il ridosso”: e tutto al contrario di quanto si può osservare presso gli atavicamente introversi sardi: il senso del mare, delle navigazioni, delle lontananze, qui è continuamente presente nel linguaggio, nel contegno, sui volti stessi dei maddalenini.
Per questo, forse, La Maddalena, nel suo piccolo, pare immensa, e fa pensare non soltanto all’Italia ma al mondo. I maddalenini non hanno nulla di paesano o di provinciale, nulla di gretto o di pettegolo: non sembrano mai “costretti” nella loro isola-città: e si ha, piuttosto, l’impressione che la loro città-isola, come un trampolino, sia capace di liberarli e di lanciarli intorno. Cittadini del mondo, li diresti, prima di tutto: quelli che hanno davvero navigato e davvero navigano, come quelli che sono rimasti ma che navigano in ispirito: uomini civili, liberi, tolleranti di tutto se non dell’intolleranza.
E questi sono doni della natura o del passato, della formazione geologica o della formazione storica della Maddalena. Ma La Maddalena possiede altre bellezze e di queste bisogna dare il merito ai maddalenini viventi oggi.
Sì, caso non soltanto strano ma unico in Italia, tutto, o quasi tutto, è giusto e di buon gusto alla Maddalena: niente, o quasi niente, offende.
Prendiamo l’aspetto che prima di ogni altro colpisce, e, dovunque altrove, di solito ferisce: le case, le strade, il traffico, insomma l’urbanistica. Interi vicoli, qui, sono capolavori di naturale eleganza architettonica, dove le costruzioni nuove si alternano “alle antiche adeguandosi alle misure, ai modelli, ai colori di queste, con tutte le piccole novità necessario, ma eseguite e contenute in modo che non turbino l’armonia generale.
L’incanto di via Cavour, ad esempio, è tale da non lasciar credere ai propri occhi: quando la si vede per la prima volta, quasi mozza il fiato per la bellezza: appare, prima, contro cielo, e poi, percorrendola, contro il mare del porto: fiancheggiata da casette disposte a scalini, così che la prospettiva prima sale e poi scende, ma tutte egualmente basse, e raccolte, tutte ad un solo piano rialzato, e ognuna, o antica o nuova, o del secolo scorso o del presente, coi suoi gradini di pietra e col suo terrazzino di muratura o di ferro. E’ lo stesso modulo delle viuzze di tanti paesi sardi, e lo sappiamo: a Thiesi, quando andai a visitare la vecchia casa dell’amico Luca Pinna, ricordo di avere visto una strada, quanto a struttura, molto simile a questa. Ma che differenza di effetti! Là erano pietre scure, verdastre, e spesso senza intonaco, o con un intonaco grigio e ruvido: un che di muto, di ostile, di malinconico era nell’aria, quasi una dignità diffidente, un cocciuto riserbo, un orgoglio triste. Qui, alla Maddalena, le piccole cupe case sarde si illuminano: qui gli intonaci svariano in tenui tinte chiare: la leggerezza delle ringhiere di ferro, le tendine ai finestrotti, gli interni modernamente attrezzati, gli elettrodomestici che si intravedono dalle soglie spalancate, il sorriso accogliente degli uomini che, al tuo passaggio, si affacciano alle porticine (navigatori in licenza? pescatori a riposo?) e delle donne che sfaccendano, cucinano, badano ai bambini: tutto, perfino la perfetta pulizia del ben connesso lastricato, suggerisce l’immagine di una vita lieta, operosa, che gode, come per prodigio, di un accordo tra le forme più delicate di un’antica tradizione e le forme più moderne dell’attuale civiltà. È dunque possibile ciò che noi abbiamo sempre sognato?
La Maddalena ci dimostra che è possibile.
Infatti, la via principale, via Garibaldi, è interdetta al traffico delle automobili. Sembra d’essere a Venezia, ma col vantaggio, ad ogni cantonata, di salire su una 600 e partire, per un giro dell’isola, sulla stupenda nuova “panoramica”, spettacolo di infiniti piccoli golfi e promontori, prati e rupi, distese di verde e rocce che paiono scolpite da Moore…
La piazzetta principale, davanti al Municipio, è pavimentata in rosso grès. Nulla è più delizioso che prendere l’aperitivo seduti al caffè Madrau, o, secondo il vento, al caffè dell’angolo opposto. Il sindaco Vasino ha proibito ai turisti di passeggiare per la città in costume da bagno: ed è, certo, una proibizione lodevole, per il decoro della Maddalena, sebbene non nuova: esiste in molte località della nostra penisola, forse dovunque. Ma Vasino ha proibito, anche, l’uso degli zoccoli e, in questo, ha dimostrato genialità e anticonformismo, da autentico maddalenino. Tutta la quiete, infatti, che si gode nella via e nella piazza principale per l’assenza dei motori, sarebbe distrutta dall’innumere, moltiplicato crepitio ligneo della più rozza delle calzature.
I maddalenini rivendicano la loro estraneità alla razza e al costume della grande isola vicina. Nonostante alcune superficiali forme sarde il nostro dialetto, dicono, è molto più simile al còrso, e, semmai, al genovese; il bicchiere, per esempio, si dice “u gottu”, e la seggiola “a carrega”.
Ed ecco, in tale conservazione e, più ancora, nella coscienza superba e vivace che i maddalenini ne hanno, mi pare di scorgere un’altra prova di quello straordinario accordo tra antico e moderno, di quello straordinario senso di libertà e di modernità che non ha nessuna paura di accogliere alcune particolari costrizioni e alcune particolari strutture del passato.
La civiltà della Maddalena, sotto questo rispetto, è molto più avanzata di quella di tutta l’Italia e può essere paragonata soltanto alla civiltà dell’Olanda e dell’Inghilterra, che sono Paesi all’avanguardia del progresso tecnologico e che, proprio per questo, capiscono come non sia assolutamente necessario, per partecipare del costume più moderno, distruggere senza pietà tutti i documenti o monumenti del tempo che fu. Intendiamoci: non mi riferisco al passato lontano, ai capolavori dell’arte, né ai pezzi forti dell’archeologia, tipo “nuraghe”. Quelli, si sa benissimo che occorre conservarli, magari accrescendo la loro vistosità, magari involgarendoli irrimediabilmente, trasformandoli in sacre mostruosità, facendo loro intorno tabula rasa delle minori costruzioni, oppure raggelandoli nei musei. Mi riferisco alle umili, alle tenere, alle commoventi archeologie dell’altrieri, che potrebbero essere tenute in vita senza nessun danno dei nostri comodi, e con grande gioia dei nostri occhi.
Soltanto a Londra o ad Amsterdam si può trovare ciò che si trova alla Maddalena: una farmacia come la farmacia Susini, le vetrine umbertine, verniciate in avorio, coi delicati fregi in oro, e la balaustra a rosolacci e rami, anch’essi avorio e oro, ferro battuto alla cui fabbricazione concorse (così dice con orgoglio il farmacista) Titta Ruffo in persona quando era ragazzo, verso la fine del secolo scorso, e lavorava nella bottega di un fabbro, nella nativa Pisa.
Mario Soldati – 1967
Non ci sono parole, bellissimo,è un piacere leggere,io ricordo di lui,ero giovane allora,bisogna che i giovani leggessero,questi ricordi,meravigliosi.
Riempie il sentire parlare della mia Maddalena così meravigliosamente bene. GRAZIE Grazie Di Cuore