Lo sfollamento del 1939
Nel 1939 lo sfollamento avvenne in estate: pochi, i più prudenti, partirono ad agosto, altri a settembre, a seguito dell’invasione della Polonia da parte tedesca e della dichiarazione di guerra di Francia e Inghilterra alla Germania. Era evidente che l’Italia, pur essendo ancora fuori dalla guerra, a questa si preparava con convinzione più o meno accentuata ma inesorabile.
Per tutto l’anno 1939 La Maddalena, come altri punti nevralgici dello scacchiere militare, misurava le sue possibilità di difesa con progressive prove generali che la gente osservava, sempre più abituandosi all’idea che la guerra si stesse avvicinando. A marzo (mentre i tedeschi invadevano la Cecoslovacchia) la direzione Sanitaria Militare del XIII Corpo d’Armata annunciava la distribuzione delle maschere antigas per la popolazione civile, da vendersi “a prezzo di costo” per lire 32 l’una. Negli stessi giorni arrivava, accolto con una grande parata, il labaro della Terza Legione Milmart che, formata alla fine del 1938, si apprestava ad armare la maggior parte delle batterie dell’Estuario. Quindi, di mese in mese, si riproponevano le prove di allarme aereo, con la nuova sirena disposta sull’edificio scolastico, o quelle di oscuramento dell’abitato.
La popolazione assorbiva senza apparente reazione queste manifestazioni di preparazione alla guerra: alla maggior parte degli abitanti esse davano sicurezza, contribuendo a rafforzare l’impressione della Base imprendibile, e, quindi, della città sicura. In effetti, solo di impressione si trattava, valida per gli inesperti: le tante manchevolezze dell’Italia di quegli anni non furono mai portate all’attenzione non solo dei cittadini ma neanche dei vertici che avrebbero dovuto decidere le sorti.
Non e qui il caso di evidenziare la grande impreparazione nel campo strettamente strategico militane, così come in quello economico, della produzione e degli approvvigionamenti. Limitiamoci ad osservare ciò che succedeva alla Maddalena, ad una scala inferiore rispetto a quella nazionale, ma sintomatica per capire i problemi generali e, in particolare, gli avvenimenti che ci riguardano.
L’Estuario pareva potentemente armato e ben difeso. Le batterie dell’Ottocento apparivano ancora poderose e temibili; forse pochi maddalenini si rendevano conto del facto che erano diventate obsolete: ben visibili alle ricognizioni aeree, non potevano più opporre la difesa eccezionale per la quale erano state create. Era stato necessario adattarne alcune, alla meglio, alle sopravvenute esigenze di difesa antiaerea e, soprattutto, crearne di nuove utilizzando sistemi costruttivi inusuali che ne garantivano la totale mimetizzazione: cosi negli anni 1937-38 si era andata allargando la cintura già disposta intorno alla base, con la creazione di nuove batterie edificate in cemento armato e poi ricoperte di scaglie e massi di granito non lavorato che riproponevano perfettamente il profilo naturale del rilievo; gli edifici non erano più accorpati nella massa compatta della fortezza, ma risultavano distanziati fra loro, quasi sparsi sul terreno in modo da renderli meno visibili e irriconoscibili dall’alto. A Spargi nascevano cosi le tre batterie di Zanotto, Petrajaccio e Zavagli; a Caprera quelle di Candeo, Messa del Cervo, Baccà, Punta Coda; alla Maddalena quelle di Carlotto e Spalmatore: dappertutto erano disseminate vedette, difese ravvicinate, punti di avvistamento che avevano rafforzato la nuova barriera di sicurezza.
A maggio 1939, la stipula del patto d’acciaio Fra Italia e Germania sembrò accelerare l’avvicinamento alla guerra e, conseguentemente, costrinse le autorità governative a valutare la necessita dello sfollamento della popolazione civile maddalenina. La prima traccia di tale decisione è contenuta in un biglietto classificato urgente e segreto, inviato dal podestà, Aldo Chirico, su carta intestata “Segreteria del Fascio” al comandante di Pubblica Sicurezza e al Tenente dei Carabinieri, con l’invito a presentarsi alla riunione da tenersi nel gabinetto del podestà il giorno 23 maggio per discutere dello “sfollamento della popolazione civile agli effetti del P.A.”
Nelle settimane successive la notizia che bisognava prepararsi a partire ondeggiò incerta fra la gente, avvalorata dalla sempre crescente propaganda contro la Francia, la cui frontiera corsa era troppo vicina alla Maddalena per non preoccupare gli isolani. Intanto le prove di allarme si ripetevano cadenzare, mentre fra prefetto e podestà si svolgevano corrispondenze su temi estranei alla guerra che si avvicinava, temi drammatici quali le leggi razziali o futili quali le norme sull’uso del Lei e del Voi. Infatti, da un lato il prefetto insisteva sulle indagini per verificare la presenza di “appartenenti alla razza ebraica” nella pubblica amministrazione e nelle forze militari; dall’altra scriveva, irritato per l’uso del Lei che denotava, a suo parere, “scarso senso di disciplina e mancanza di carattere” per cui esigeva l’assicurazione che si facesse uso del “Voi sia nei rapporti interni quanto nei rapporti col pubblico”.
Lo sfollamento era argomento di secondo piano nella città ancora tranquilla: alcune associazioni, create dal fascismo, più vicine alla società civile, quali l’Unione fascista famiglie numerose, parevano le più: propense all’esodo mentre le autorità governative non apparivano determinate, forse perché consapevoli dei problemi organizzativi ai quali era difficile dare soluzione. Pare di capire che quello di maggiore entità (che si ripresenterà puntuale nei successivi sfollamenti fosse da ricercare nella difficoltà di trovare in Gallura alloggi sufficienti, e a prezzi adeguati alle possibilità dei maddalenini: a poco era valsa la decisione del prefetto di organizzare in ogni paese ospitante una commissione (che doveva essere formata dal segretario del Fascio di Combattimento, dal comandante della stazione dei carabinieri e, eventualmente, dal fiduciario del sindacato dei proprietari di fabbricati), per censire e mettere a disposizione gli alloggi necessari. Perciò partirono soprattutto quelli che sapevano dove andare (presso parenti o amici e alcuni che parevano decisi ad un trasferimento definitivo verso i luoghi d’origine: fra questi qualche campano che approfittava delle convenienti condizioni via mare attraverso le barche da trasporto di Ponza o Napoli. Da agosto fino a novembre si registrarono partenze: un esodo ordinato, abbastanza diluito nel tempo, che interessò, però, solo una parte della popolazione. In effetti, la struttura comunitaria rimase salda, tanto che appare eccessivo parlare di vero sfollamento.
Durante l’inverno e la primavera le notizie che arrivavano dai fronti europei aperti da Hitler sembrarono calmare la situazione di tensione che poteva registrarsi alla Maddalena: dopo l’invasione della Polonia Hitler non attaccava la Francia, la situazione era calma, perché non tornare? Cosi pochi rimasero fuori, mentre la maggior parte dei primi esuli rientrava dopo poche settimane o pochi mesi.
Questo primo esodo non ha lasciato tracce importanti, non ha inciso in maniera seria sulle abitudini e sui rapporti sociali: la vita all’isola riprese come sempre cosi come la convivenza con l’apparato militane alla quale tutti erano abituati.
D’altronde pare che neanche le autorità fossero molto convinte della necessità di allontanare la popolazione civile: le scuole rimanevano aperte e quando il prefetto chiedeva se al loro interno erano state create le squadre di primo intervento, il podestà rispondeva, il 26 settembre, che la cosa non si era potuta fare perché “essendo previsto lo sfollamento della popolazione, dovrebbe venire a mancare la necessità di formare delle squadre di pronto soccorso per la protezione antiarea”. Come si vede il tono è dubitativo, pare che non ci sia sufficiente convinzione nella giustificazione e determinazione nel promuovere o favorire l’esodo.
Allo stesso tempo lo sfollamento diventava la scusa per non aderire a certe celebrazioni poco sentite quali la festa nazionale dell’uva per cui, alla richiesta del direttore delle corporazioni di Sassari che ne chiedeva esauriente relazione, il podestà aveva buon gioco nel rispondere che la festa non si era potuta tenere perché la popolazione, nel mese di settembre, era impegnata nello sfollamento volontario.
In realtà la vita si svolgeva abbastanza regolarmente e il momento più drammatico di quell’anno, nella memoria della gente, fu considerato non lo sfollamento, ma il naufragio di una bilancella da pesca nel quale erano morti 5 uomini (17 novembre). Erano Pietro e Vincenzo Romano, Gennaro Troisi, Gioacchino Ferrigno e Gennaro Conti. I primi due avevano figli ancora piccoli e la sorte delle famiglie rimaste senza sostegno commosse tutti: le ultime rate della barca, che padron Pietro avrebbe dovuto ancora pagare, finirono abbonate; la solidarietà cercò di alleviate la sofferenza e il bisogno. Anche le autorità governative intervennero e lo stesso Mussolini inviò 6.000 lire da dividere secondo le necessità.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma