Lorenzo Zicavo – Zebù
Nato a La Maddalena, mori a La Spezia. Nome di guerra “Zebù”, timoniere della Regia Marina, medaglia al valor militare. A lui é intestata la piazzetta che collega via Baron Manno a via Cavour.
Domenico Morchio, autore de “Il Marinaio Italiano” ci ha lasciato la curiosa cronaca di un avvenimento del quale Zebù fu protagonista all’epoca della guerra di Crimea del 1855, a Balaclava.
“Dalla nave Euridice si scosta una lancia con a bordo una decina d’uomini, fra i quali il nostro Zebù, per andare a terra a far l’acquata. I nostri, giunti alla spiaggia ed adattate le manichette ai raccordi delle botti, ascesero per un sentiero su un muraglione dove era la ruota della pompa e che era 20 metri sul mare.
Alternandosi al lavoro e cantando una nenia di mare il cui ritmo lento e la cadenza aiutava il lavoro delle braccia cominciarono a riempire le botti.
Una barca di una fregata inglese approdò per eseguire la stessa operazione e circa 20 marinai salirono la costa che portava al muraglione dove era situata la pompa.
Senza dire una parola uno di essi si accinse a staccare la manichetta che inviava acqua sulla lancia sarda, con fredda insolenza.
L’atto brutale non garbò a Zebù, che toccò le spalle del marinaio inglese chiedendogli bruscamente: “Cosa fai ?” L’inglese non si diede per inteso e continuò l’opera incominciata.
Zebù gli diede allora uno spintone al quale rispose mettendosi in posizione di lotta. “Sangue della Madonna” gridò Lorenzo Zicavo, “ci hanno pigliato per turchi”.
Il nostro forte timoniere non diè tempo all’offesa; rapidissimo afferrò a mezza vita il malcapitato e sollevatolo di peso sulle poderose braccia lo scaraventò giù dal muraglione sui ciottoli della spiaggia.
All’urlo rauco di spavento del meschino fè eco le grida di gioia dei nostri e le voci rabbiose di vendetta degli inglesi, i quali, ciechi d’ira, col coraggio pertinace che li distingue, slanciaronsi sul gruppo di gabbieri sardi stretti intorno alla pompa.
Cinque altri di essi furono abbracciati da Zebù, difeso ai fianchi ed alle spalle dai suoi compagni, cinque volte al grido di “Sangue della Madonna” un uomo fu buttato dal dirupo.
L’imminenza del pericolo, la disparità di numero, il calore della zuffa, centuplicarono le forze dell’uomo prode quanto robustissimo.
Le voci brevi ed aspre del settentrione le intonazioni acute del dialetto ligure, le ruvide imprecazioni, le bestemmie di sfida uscivano sibilanti dalle bocche dei combattenti echeggiate dai colpi dati e ricevuti, giù dai lamenti dei feriti orribilmente pesti dalla grave e violenta caduta. Gli inglesi indietreggiavano, ma per tornare armati e più numerosi.
Dalle navi mercantili ancorate presso terra scendevano rinforzi che salivano l’erta con pedagne, barre di timone, sassi raccolti dalla spiaggia, decisi a rinnovare l’assalto alla pompa non ancora conquistata e che già costava sei vite.
Ma già le alte grida e l’orrida vista avevano svegliata la vigilanza delle navi da guerra.
Il vascello di guardia francese gremiva le sue lance di gente armata, per mandarla a porre fine alla lotta che continuava ferocemente. In essa come molte altre il numero vinse.
Zebù fu sopraffatto, e i suoi compagni caduti e feriti non poteron più a lungo sostenere l’urto di gente fresca e armata con armi offensive per quanto primitive.
Quando i francesi giunsero in vetta al muraglione trovarono Zebù calpestato, mazzolato, sanguinante con ventidue ferite sul capo, ormai sull’orlo dello svenimento, ma le labbra contratte in un sorriso di trionfo feroce, le mani sempre avvinghiate alla pompa. Egli non aveva ceduto alla prepotenza.
La leggenda si impadronì del fatto di Balaclava e lo precedeva ad ogni suo imbarco.
Ma egli era modesto e quando gli chiedevano di raccontare la storia, apriva la sua vasta bocca sempre piena di tabacco, con un riso aperto e giovanile che mostrava tutti i suoi denti color del vecchio avorio e rispondeva ; “Eh ! son tempi passati. Non val la pena di parlarne; sangue della Madonna, mi hanno fatto stare due mesi all’ospedale, quei figli di cane”.
Nella campagna del 1860 Zebù era timoniere sulla Carlo Alberto, comandata da Mantica.
Questi conosceva la storia di Balaclava e proteggeva l’eroe che un giorno doveva salvargli la vita.
La Carlo Alberto bersagliava una delle batterie di Ancona a tiro corto.
Il comandante, circondato da quegli ufficiali che non erano destinati al maneggio delle artiglierie, esaminava dall’alto del ponte di comando l’effetto del fuoco rapido che aveva ordinato.
Sotto il ponte di comando stava Zebù, pronto a recare ordine in batteria o altrove.
Ad un tratto una granata nemica fischia sul capo di tutti, cade in coperta e ruzzola fin sotto il ponte. Mantica, l’uomo senza paura, non mosse muscolo del viso né della persona.
La gente di coperta fa posto all’ospite. L’esitazione di un istante poteva essere la morte di quasi tutti coloro che erano adunati sul ponte.
Zebù corse alla granata, di cui un fumo azzurrognolo indicava la miccia accesa, la sollevo con le mani e ratto come il pensiero la getto fuori bordo.
“Cosi Zebù si ebbe i complimenti del comandante Mantica e una medaglia in riconoscimento al suo eroismo”.