Papà o babbo?
Il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, uno dei padri più famosi della Storia, in molti paesi di tradizione cattolica si festeggia la “festa del papà”. Ma in molte parti d’Italia, il “papà” viene ancora oggi chiamato… babbo. Dante Alighieri nella sua Commedia, in un canto dell’Inferno, scrive in effetti: “Ché non è impresa da pigliare a gabbo / discriver fondo a tutto l’universo, / né da lingua che chiami mamma o babbo“.
La parola “papà” infatti è un francesismo, anche se entrato ormai nella lingua italiana da secoli. Oggi, però, i toscani sono tra i pochi a usarla, ma non gli unici. Il termine “babbo”, infatti, è diffuso nella medesima accezione anche in Romagna, Umbria, Marche, Sardegna e nel Lazio settentrionale.
A dirlo è una linguista dell’Accademia della Crusca, la più alta organizzazione che si occupa di lingua italiana: “Niente di più naturale: “babbo”, così come “papà” e “mamma”, è una delle prime parole che un bambino pronuncia.
I termini affettivi per “padre” e “madre” hanno questo tipo di origine: forse non molto interessante per un erudito, ma certamente molto bello”. L’italiano moderno, accanto a “papà”, accetta anche questa forma familiare affettiva, presente in tutti i dizionari.
Nella recente indagine “La lingua delle città” per misurare l’italiano parlato, è emerso come la parola “babbo” stia progressivamente ma lentamente perdendo terreno: in Sardegna in particolare nelle zone di Cagliari e Sassari, il termine “papà” risulta infatti sempre più diffuso.
Al contrario, “babbo natale” viene sempre preferito a “papà Natale”, mentre lo stesso termine “babbo” è apparso recentemente in una pubblicità televisiva: “un modo per riaffermare la tradizionalità e la familiarità di questo termine”.
Ma perché stiamo scrivendo tutto questo? Perché in lingua corsa – e quindi in maddalenino (isulanu) – si dice senza discussioni “u babbu”. E il babbo più famoso di Corsica è certamente lui, “U babbu di a Patria” Pasquale Paoli.