Prologo di “Il pane del Governo”
Nel censimento dell’anno 1936 La Maddalena contava 16.277 abitanti (compresi i civili e il personale militare di stanza nella Base), nel censimento del 1951 la popolazione era scesa a 10.789 unità. Sono, questi dati, l’indice più autorevole delle variazioni della situazione economica dell’Isola avvenute a cavallo degli anni che vanno dallo scoppio della seconda guerra mondiale alla sua conclusione. In pochi tempo, oltre ad avere subito le calamità causate dalle operazioni belliche e i lutti per i decessi dei propri figli in terra straniera, La Maddalena aveva perso più di un terzo della popolazione, aveva conosciuto la fine improvvisa del benessere generalizzato dovuto alle commesse militari che avevano sostenuto un’economia statale di discrete proporzioni, se paragonata con il resto della Sardegna, aveva sofferto per la stagnazione delle opportunità di lavoro. All’inizio del dopoguerra, nonostante la creazione della Scuola Allievi Operai, il numero degli addetti dello stabilimento arsenalizio – che nell’ultimo periodo prebellico aveva sfiorato i mille dipendenti diretti – continuava inesorabilmente a scemare. La diminuzione o l’azzeramento delle commesse militari significò la scomparsa quasi totale dell’economia indotta che aveva prosperato proprio sul ‘giro’ delle commesse medesime. Riprendeva vigore, gioco forza, il più antico dei mestieri: l’arte dell’arrangiarsi, e l’altro, più recente, dell’espatrio per ragioni di lavoro. Su questo panorama non proprio gradevole, s’innestava però una grande, recente conquista: la Libertà, un’opportunità da sfruttare.
Lo stato di guerra fra l’Italia e le potenze alleate cessò ufficialmente il 15 aprile del 1946, circa dieci giorni dopo che i maddalenini erano stati chiamati alle urne, nemmeno due mesi prima che la maggioranza degli italiani avesse scelto di darsi una nuova forma istituzionale, quasi a suggello dell’era nuova che stava avanzando.
Quella ventata di libertà politica, e di riflesso, anche di libertà morale, non fu subito percepita e stentò a rivelarsi. Furono quasi automaticamente rimessi in campo – in modo forse consapevole da chi fu destinato a mantenere l’ordine sociale in quel momento storico – i sistemi di condizionamento morale e materiale da parte dei poteri effettivi ancora in grado di incanalare le istanze di rinnovamento, reclamate in particolare dalle forze della sinistra, sino al punto di snaturarle dei contenuti più aggressivi e più rivoluzionari, facendole reclinare verso forme d’aggregazione affatto pericolose per la paventata rivoluzione sociale. La cosa fu efficace almeno sino alla fine degli anni ’60 e questo, effettivo, ritardo poté essere spiegato con l’esistenza di una diffusa mentalità statalista, compenetrata in modo profondo, radicata nel tessuto sociale cittadino, cementata da un retaggio sufficientemente saldo d’interessi economici, controllati da poteri molto centralizzati – in pratica nel modo con cui lo erano stati durante il governo fascista – che resistettero all’urto del ‘nuovo,’ superando anche gli ostacoli teorici posti dalla nuova legislazione repubblicana, con l’appoggio essenziale della componente clericale molto ascoltata e decisiva nell’indirizzare le coscienze e resistente ad ogni pressione proveniente dall’esterno. Le istanze di rinnovamento, se protette e giustamente incanalate, avrebbero potuto mettere La Maddalena alla testa della rivoluzione sociale della Gallura, che preparava l’avvio della trasformazione economica nella costa prospiciente. Una rivoluzione economica da più parti annunciata e da qualcuno auspicata, che però non ci fu. Più semplicemente, fu una rivoluzione mancata perché, allora, rappresentava un salto nel buio che non faceva comodo a nessuna componente sociale e spaventava i detentori del potere, ancora appagati dalle comodità di un’economia sì ristretta, ma controllata e sorretta dallo stato.
Fu dunque la laboriosità, lo spirito d’abnegazione, la volontà di procedere, in ogni caso, con il ‘pane del governo’ senza rinnegare il passato, a prendere il sopravvento sul rinnovamento, a frenare anche i propositi più entusiasti. Fu d’aiuto in questa mancata rivoluzione dell’economia la tendenza a superare le difficoltà con disinvoltura, anche sfrontata a volte. Certamente fu il bisogno di certezze e forse anche di sottomissione, magari con la coscienza di dover rinunciare a parecchie velleità politiche pur di salvare il proprio posto di lavoro, ossia la necessità di poter conservare quel moderato benessere che per tanti anni aveva fatto de La Maddalena, un’isola ammirata, una ‘piccola Parigi’ come si diceva, con una buona dose di velleitarismo e, anche, da parte di qualche vicino, con espressione di autentica invidia.
- Prologo di “Il pane del Governo”
- 1946. Le prime elezioni, ovvero ‘la maggioranza di una minoranza’
- 1946. La democrazia si presenta
- 1947. Gli anni della guerra fredda
- 1948. Le elezioni del 18 aprile
- 1949. L’Italia nella NATO e il Piano Marshall
- Alla vigilia delle elezioni del 26 maggio 1952
- Una maggioranza laica e di sinistra
- Le dimissioni di Renzo Larco
- Colpire le sinistre
- 24 Giugno 1952: dopo i tre suoni di sirena
- 12 luglio 1952 – L’intervento dell’on. Luigi Polano alla Camera dei Deputati
- Le reazioni in città e la difesa dell’Arsenale
- 16 luglio 1952. Al ritorno da Roma
- La libertà di dire la verità
- Un problema nazionale
- La vita amministrativa
- La fine della primavera isolana
- Le elezioni dell’8 marzo 1953. ‘Antò scopa di ferru’
- La diaspora del 1953
- L’amministrazione Carbini
- La ‘destra’ al governo (1953/1956)
- 1956 L’anno del consenso
- 1956 L’ultima offensiva
- Venti anni d’attesa
- Epilogo
Il Pane del Governo di Salvatore Abate e Francesco Nardini – Paolo Sorba Editore – La Maddalena