Strumenti per la pesca
Riportiamo qui di seguito una breve panoramica su quelli che possiamo definire gli “strumenti per la pesca“. Cominciamo subito col descrivere le caratteristiche delle imbarcazioni preposte allo scopo, le cosiddette barche da pesca. L’attività della pesca giunge a La Maddalena con un certo ritardo.
In seguito alla presa di possesso di questo arcipelago da parte del Regno Sardo Piemontese, si crea una nuova situazione storica che garantisce ai pescatori Campani una certa sicurezza per via della presenza di navi armate che sicuramente scoraggiavano eventuali malintenzionati, oltre ad essere un luogo vergine e con molte possibilità di riparo in caso di cattivo tempo. Le barche portate dalla Campania erano di tre tipi: ” il gozzo violone” di Pozzuoli, “la feluca” di Ponza e “la spagnoletta”. Quest’ultima un po’ più larga delle prime e con “la pernacchia” alta che serviva per ormeggiare ma anche per “imbragare” le nasse.
Con queste tre imbarcazioni di misura variabile che in nessun caso superavano i dieci metri, veniva esercitata l’attività della pesca. Il leudo invece, veniva usato come mezzo di trasporto e fungeva da abitazione e da negozio. Armate a remi e con una vela latina ausiliaria, i pescatori affrontavano il loro lavoro in queste acque. Dal 1930 in poi, l’avvento del motore e delle successive innovazioni tecnologiche, imprimono una svolta a questa attività, rendendo la vita dei pescatori più agevole sotto ogni aspetto. Gli attrezzi per la pesca venivano definiti “mestieri“. Per i più sofisticati, in specie per la pesca del corallo, il nome in gergo era: “ingegni” tipo la “croce di Sant’Andrea“. Il tramaglione, la bogara, la schietta, l’incazzellata, il tramaglio e la palamitara.
La draga, la sciabica, la tonnara,la rete a strascico, la totanara, il palamito, i diversi tipi di nasse, il bolentino, il nassotto, la polpara, la lenza morta, la traina, il mattone ed altri congegni minori ma sempre specializzati per ogni tipo di pesca. Il filo delle lenze era costituito da una filatura di peli di cavallo e veniva chiamato “tirizzinu“.
Acetilene
Giunti quando u soli tuccava i muntagni (all’imbrunire) sul luogo scelto per la pesca – i luoghi “più trafficati” dai dilettanti erano tre: Punta Stroppello (attuale Porto Raphael), Ciaccareddu (a Santo Stefano, tra l’ex villaggio Valtour e gli ex bagni Virginia), fuori della “banchina Nafta” (a levante di Santo Stefano) i pescatori, generalmente due per barca, accendevano l’acetilene.
Era una pesca tipica di Alghero, ed era stata importata da alcuni pescatori richiamati nell’Arcipelago dalla pescosità del mare. Zi Franci’ Lobrano e Zi Ciccillo D’Oriano, entrambi di origine procidana, (nella foto insieme al vecchio “Palacannò” Di Meglio, amico di Garibaldi al timone della barca), piccoli professionisti del settore, erano impareggiabili in quel tipo di pesca: nelle “giornate buone” erano in grado di prendere anche più di cinquanta chili di calamari (il che avveniva tutt’altro che raramente. Inizialmente la fiamma era piuttosto forte, in modo da radunare la “pastura” (connari, sardinelle e altri piccoli pesci) per i cefalopodi che attirati dalla bico e dalla luce non sarebbero tardati a farsi vivi.
Non appena i primi totani (calamari) venivano a galla, i pescatori abbassavano la fiamma, i totani andavano verso il fondo ed iniziava la pesca con totanare di 20, 22 metri. La totanara era formata da un fuso di circa 6-7 centimetri con il “corpo”, la parte centrale, ricoperto da filo bianco e le due estremità di fio nero.
Questa pesca per “dilettanti” iniziava a tarda primavera (in maggio) e continuava per tutta l’estate. la barca veniva apparagnata, cioè ormeggiata con una mazzera (un peso che veniva calato a fondo per impedire alla barca e tenere così “concentrata “la pastura”); appena calava la notte (verso le 20.30) si accendeva l’acetilene e i due pescatori, l’uno sistemato a prua, l’altro a poppa, iniziavano a pescare a picchinu; dopo circa tre ore la barca rientrava a La Maddalena col suo carico di calamari (talvolta anche 20-25 chili. Francì Lobrano – consuocero di Ciccillo D’Oriano – si recava più lontano per aver modo di fare due turni di pesca, all’imbrunire e prima dell’alba, così poteva pescare indisturbato dai “dilettanti”). Per far questo, ormeggiata la barca in una caletta in prossimità del luogo di pesca.
A buga (la boga)
La Boga, (Boops boops, linneo 1758) è un pesce da corpo allungato, con muso breve ed occhi grandi; la bocca è piccola e obliqua, con una serie di denti acuti, può superare i 30 cm di lunghezza, ma è comune tra i 10 e 25 cm, può raggiungere i 500 grammi.
Il dorso, verde olivastro è coperto dalla linea laterale e color bruno scuro e sui lati del corpo si possono notare quattro strisce gialle; una piccola macchia nera si trova sulla base alle pinne bianche pettorali. La pinna dorsale, dello stesso colore del dorso, è continua ed è composta da una trentina di raggi, tra spiniformi e molli. La boga è una specie gregaria dal comportamento semi-pelagico; si nutre di crostacei, alghe piccoli pesci. Si riproduce da febbraio ad aprile nel Mediterraneo orientale e da aprile a maggio nel Mediterraneo occidentale; come molti altri sparidi è in pesce ermafrodita, in genere prima è femmina e poi diventa maschio.
La Boga vive nei pressi del fondo, generalmente in branchi, lungo la costa rocciosa e sulle praterie di fanerogame; durante la notte sale in prossimità della superficie. Nei mari italiani non si spinge oltre i 250 metri di profondità. E’ comune nel Tirreno, e in tutto il mar Mediterraneo, nell’Adriatico, nel mar Nero, nell’Atlantico Orientale e nella Manica. Nell’Arcipelago è stata oggetto di pesca professionale soprattutto da parte di pescatori pozzolani che adoperavano l’impostata, una rete lunga 2/300 metri con tramaglio e un “velo” alto 6/7 metri. Messa in acqua formava un gigantesco punto interrogativo con l’orsa rivolta verso terra e e l’angina verso il mare aperto. e boghe incontrando l’impostata, seguivano l’angina per finire intrappolate nell’orsa.
Tempo permettendo ogni imbarcazione faceva due “salpate”, la prima a e metà nottata e la seconda poco prima dell’alba. La pesca era disciplinata dalla Capitaneria di Porto che stabiliva, a rotazione, dove le barche potevano andare a porre le loro impostate, in totale otto o nove: i luoghi dell’impostata erano fissi: isola dei Barrettini, Spalmatore, nella costa est di Caprera (Cala Coticcio, Cala Brigantina, Cala Cannuccia). Questo sistema di pesca, praticato sino agli inizi degli anni ’70, è stata abbandonato sia perché i vecchi pescatori hanno cessato la loro attività, sia perché le barche, più grandi, non permettono di avvicinarsi a riva. Partendo da La Maddalena il pomeriggio, le barche giungevano a calare l’impostata all’imbrunire.
Era un tipo di pesca faticosa (l’unico mezzo di propulsione erano le braccia) ed anche pericolosa, specie in gennaio e in febbraio (a marzo le boghe diminuivano di numero e di peso) le improvvise levate della tramontana (il vento più temuto) i pescatori si rifugiavano con grande difficoltà a Cala Coticcio. Ma non sempre riuscivano a “farla franca“. Spesso le barche si frantumavano sugli scogli, e talvolta gli stessi pescatori non riuscivano a salvarsi. Così erano morti i fratelli Grieco, Pietro Romano ed altri. Oltre al tempo, i nemici dei pescatori erano i delfini che distruggevano i delicati veli delle impostate. Quando tutto funzionava regolarmente i pescatori rientravano a La Maddalena, nelle prime ore della mattinata, con alcuni quintali di boghe. Erano vendute a una lira, una lira e mezza, due lire(oggi sono vendute a tre, quattromila volte tanto).
Allora l’Isola profumava di boghe arrosto e si vedevano le bottiglie di vino “andare a spasso” quando rientrando a casa, i pescatori prendevano il vino in cantina. “Ai ferri” era, ed è, il modo preferito dei maddalenini per cucinare le boghe che private delle branche e dei visceri (senza aprirle per non rovinarle), erano messe sui ferri senza essere squamate, e una volta arrostite si “sgusciavano”, si mangiavano freschissime, nella stessa giornata di pesca, non dovevano “arrossire”. Era il modo scherzoso cui cui gli isolani indicavano il pesce non più fresco: nella boga fresca, il midollo spinale è blu e arrossisce col passar del tempo, il giorno dopo essere stato pescato.
I pescatori pozzolani vivevano stabilmente a La Maddalena mentre i ponzesi (i Vitiello i Candido) venivano in Sardegna e nell’Arcipelago per “fare la stagione con le nasse”, ad esempio per la pesca delle aragoste. Venivano a rimorchio di un veliero con una lunga fila di barche e dopo la stagione di pesca ritornavano a Ponza con lo stesso sistema.
Articolo della ricercatrice e scrittrice maddalenina Giovanna Sotgiu.