Testimonianza di Mario Filinesi (27 marzo 2006)
Domanda: Quando ci furono i licenziamenti?
Mario Filinesi: “Nel ’52 ci sono stati i primi licenziati …”
D. : Tanto per cominciare, fu quando licenziarono anche lei …?
Filinesi: “Sì, sì. Siamo stati licenziati io, Augusto Morelli, Egidio Cossu …”.
D. : Tutti il 24 giugno del 1952?
Filinesi: “Sì. Io sono stato licenziato. E’ stato un licenziamento particolare, perché? Perché dopo che mi hanno licenziato io ho fatto come si faceva, ho preso la mia valigia di cartone legata con lo spago e sono andato emigrante a Genova in cerca di lavoro. Ve lo immaginate, avevo un libretto di navigazione, io ho fatto le scuole medie e lì ci davano il libretto di navigazione, l’ho fatto mettere a giro da quello dei pescherecci, come si chiama? Da Dino Sabatini, con l’incarico da mozzo, poi sono andato a Genova e mi sono incontrato con amici che mi hanno detto ‘noi abbiamo un amico a Genova che sta all’ufficio del collocamento’. Era Sorba, Nicolao Sorba, bravo ragazzo.
Sono stato imbarcato su due navi americane con equipaggio italiano, dopo di che sono stato imbarcato su una nave passeggeri della Sitmar e dopo di che mi sono fermato perché mia moglie mi ha detto basta, abbiamo due bambini malati, e allora mi sono fermato a terra. A terra ho lavorato in una ditta la quale ditta lavorava per la marina militare. Ecco il cerchio, gira gira si è chiuso. Praticamente, quando ero imbarcato sulle navi americane, facevamo Golfo Persico Filadelfia, poi con la Sitmar facevamo l’Australia e portavamo gli emigrati dall’Inghilterra. Queste navi americane avevano equipaggio italiano con contratto italiano, si andava in America ma non si parlava di politica, non si parlava di niente. Siamo arrivati in America, una mattina mi hanno chiamato : ‘lei è italiano?’- mi hanno detto. ‘Chiamiamo un interprete?’, ‘no – ho risposto, parli pure ’. Si è presentato un funzionario con un grosso registro e ha detto ‘lei è Filinesi Mario?’, ‘Sì’ho risposto ancora. ‘Lei è stato mai comunista?’, ‘E sì’. ‘Allora, purtroppo, mi dispiace, lei non può sbarcare’. Mi hanno messo una guardia e non potevo più scendere”.
D. Era l’ufficio Immigration …? .
Filinesi: “Sì. In pratica ero sotto arresto. Fintanto che la nave sostava in America io non potevo sbarcare. Il comandante, che era un siciliano, una bravissima persona che ricorderò sempre, perché quando uno agisce così è una brava persona, mi ha chiamato e ha detto: ‘guarda Mario, io non so il perché, tu non puoi andare a terra. Ti volevano mettere un’ agente a farti la guardia al gradino, ho detto che mi assumo io la responsabilità. Però mi devi fare un piacere, non andare neanche vicino allo scalandrone’. Risposi che avrei rispettato le consegne.
La situazione era questa. Siccome avevamo avuto un incidente in uno scontro frontale con un’altra nave, alla fine di settembre ci avevano mandato a Mobile in Alabama. Avevano messo in disarmo la nave e l’equipaggio era sbarcato. E dell’equipaggio non sbarcato eravamo rimasti io, uno di Alghero, il direttore di macchina e il comandante”.
D.: Era terribile l’ufficio Immigration. Sapevano tutto, vita, morte e miracoli di tutti … .
Filinesi: “Senza sapere di me che cosa ne dovevano fare. Perché era un caso particolare. Il comandante mi aveva detto: ‘la questione è questa, loro mi hanno detto che tu da qui devi prendere l’aereo ed andare a Miami, da Miami deve prendere un altro aereo per andare a New York, poi da New York vai via. Il fatto è che ci sono gli ispettori che tu conosci, tant’è vero che ogni volta che viene la nave vengono e parlano con te, parlano con noi’. Il direttore di macchina, uno di Torre del Greco, che parlava bene inglese, disse loro che avrebbero mandato un ispettore della compagnia ad accompagnarmi fino a New York, con biglietto pagato di andata e ritorno. ‘Non è possibile’ dissero loro ‘perché come arriva a New York lo arrestano’. Allora sono dovuto stare lì gratis senza essere pagato, perché io al momento mi sono detto ‘devi stare attento’ e sono stato talmente ai loro voleri che, quando il comandante mi ha mandato a chiamare per l’ultima volta, mi sono trovato questo della polizia che mi attendeva e il comandante si è quasi commosso. Questo qui mi ha guardato e poi ha detto ‘this is a regular man’, questo è un uomo regolare, ed allora il comandante ripeté ‘l’ho detto, questo qui è una brava persona’. Allora l’agente mi disse: ‘guarda, facciamo una cosa, tu vieni con me e io ti porto in un posto in cui tu puoi mangiare, bere e dormire tranquillamente, fino a quando da qui passerà una nave che ti porterà direttamente in Italia’.
D.: Ed è andata così?
Filinesi: “Sì, sono imbarcato in una nave della ‘Likes Lines’ e poi il comandante mi ha detto ‘guarda, qui c’è – come la chiamano? la procedura – la procedura prevede una cosa, che ti devo mettere le manette. Però io questa cosa qui non la faccio’. Devo dire la verità che d’altra parte erano bravissime persone gli americani meridionali, perché anche loro sono meridionali nell’Alabama, dove erano quasi tutti neri, ma tutta brava gente. Mi facevano la guardia in tre, tre per otto ventiquattro, ognuno otto ore. Con uno di loro siamo diventati talmente amici che un giorno mi ha detto ‘guarda, stammi bene a sentire, non te lo faresti un giretto in paese, a Mobile?’. ‘E perché no, ajò’, risposi, così sono sceso a terra e siamo andati in città. Si è preso una responsabilità mica da niente. Un altro sorvegliante era ‘indiano’, si chiamava Eco, questo mi portava al bar, in periferia, mi faceva stare seduto, ogni tanto mi portava un’aranciata, ed io stavo lì. In realtà la procedura non era mai stata applicata, sino a che mi hanno accompagnato alla nave, sono partito e sono venuto in Italia”.
D.: Tornando al licenziamento, quando se ne andato via da La Maddalena, quanti giorni dopo?
Filinesi: “Dopo una decina di giorni, sono partito. E poi non è che ho ottenuto l’ imbarco subito, sono stato una decina, quindici giorni in attesa, a quei tempi lì non era facile. E sono imbarcato per combinazione”.
D.: Dove doveva imbarcare?
Filinesi: “Sul Kuwait, una nave superpetroliera”.
D.: Una cosa che nessuno ci ha ancora detto: cosa c’era scritto sulla lettera di licenziamento?
Filinesi: “Non ricordo con precisione. Poche parole comunque. Se vi interessano ho delle lettere del consolato americano”.
D.: Vi è successo qualcosa a Filadelfia?
Filinesi: “No. Qui mi hanno sbarcato e sono imbarcato su un’altra nave, l’’Atlantic Capetown’”.
D.: Quando si è sposato?
Filinesi: “Nel 1954. In Italia l’unica ancora di salvezza era il solito Nicolao, fra l’altro era un fascista, ma era sempre disponibile, bastaia andà a bussà cu i pedi … Era un brav’uomo, un bonaccione. Per avere la ‘categoria’ c’era un ufficiale che mi chiese un ‘benservito’ perché gli serviva un bravo meccanico. Nicolao mi disse di farmelo inviare dall’Arsenale. Ma se l’Arsenale mi avesse fatto un ‘benservito’, alla Marina avrebbero dovuto ammettere che mi avevano mandato via, trovando la scusa che ero un buono a nulla. Sarebbe stata una contraddizione… . Però l’ho chiesto e me lo hanno fatto, come meccanico. Hanno detto che ero stato assunto all’Arsenale il tale giorno ed uscito il talaltro giorno.
L’ufficiale chiese poi a Nicolao: ‘dimmi la verità, cos’ha fatto questo qui?’. E lui gli rispose:
‘fatti gli affari tuoi, perché ti aspetto fuori! Datti da fare e trova qualcosa ’.
D.: E poi una volta sbarcato cosa ha fatto?
Filinesi: “Dopo sono stato in una grande azienda in cui si fabbricavano impianti di aria condizionata per mezzi navali e terrestri. Siccome io non potevo stare fermo, mi ero messo a studiare, lo facevo per sport ma poi sport non era. Così accadde che l’incrociatore lanciamissili ‘Andrea Doria ’ andasse in Giappone in crociera e ci restasse tre mesi e mezzo. Alla nave non era stata ancora consegnata la garanzia, avevano incaricato tutte le ditte importanti che avevano fatto lavori, sistemi di macchina, di computer, lanciamissili, di progettare e di costruire l’impianto di condizionamento. Mi scelsero loro per andare. Il direttore di macchina, un certo Folenghi, disse che, siccome i sottufficiali andavano, via avevano chiesto me. Lui gridava ed io lavoravo. Quando finì la crociera (era andato tutto bene) al ritorno in Italia mi hanno rilasciato questo benservito”.
D.: Questa è una riabilitazione completa?
Filinesi: “Mi ha mandato la ditta, non è che mi hanno riabilitato. La ditta ‘Atisa’ di Milano, che aveva partecipato alla costruzione degli impianti di ventilazione e di condizionamento della nave”.
D.: La vita del partito a La Maddalena, com’era? Lei era iscritto, aveva la tessera, era consigliere comunale…
Filinesi: ”Sì, avevo la tessera del PCI da molti anni”.
D.: Abbiamo visto che negli eletti al consiglio comunale, nel 1952 c’era anche Mario Filinesi. Ha letto quelle carte sugli interventi dei “compagni” sardi che contavano , contro il vostro licenziamento ?
Filinesi: “Sì. Ma lì c’è un piccolo errore. Si dice che eravamo quattro in famiglia, invece eravamo in sei …”.
D.: Si riferisce al discorso di Polano?
Filinesi: “Sì. Ma è di poca importanza. Eravamo tre fratelli e tre sorelle”.
D.: Le elezioni del 1948, quelle del Fronte Popolare, se le ricorda, fu una delusione?
Filinesi: “Quella è stata una batosta, ché mi fa male la schiena ancora adesso! Eravamo in piazza Garibaldi, dove adesso c’è la stella per terra, e c’era Tonino Cappadona, che era di Molfetta. E io, che mi divertivo un po’ con Cappadona, gli dissi: ‘senti Cappadona, mi dovresti spiegare per quale motivo a queste elezioni abbiamo preso questa bella legnata’. Egoisticamente sono stato contento perché noi abbiamo fatto una campagna addirittura maleducata, non posso dimenticare quando Togliatti, che era una persona colta e considerata, ha detto che s’era preparato un bel paio di scarpe chiodate per prendere a calci nella schiena De Gasperi. Sono stato contento perché erano solo prepotenze che non sono ammesse a nessuno. Allora Cappadona disse: ‘la donna è una tigre, una liona’” . Si riferiva al voto alle donne, perché è stato quello … . Poi aggiunse ‘ormai ha preso questa piega’ . ‘Ah, me lo potevi dire prima!”.
D.: Nonostante tutto però avete fatto festa, sfilata, bandiere … .
Filinesi: “A quei tempi là c’era antagonismo. Noi sfilavamo da una parte e loro sfilavano dall’altra, con il crocifisso. Allora era così, allora c’erano gli schieramenti. Poi c’era don Capula, bisogna nominarlo. Lui aveva tagliato con noi, non trattava, poi ce l’aveva con me e con mio padre che era squadrista, marcia su Roma e sciarpa littoria. E c’è tutta una storia dietro perché a mio padre lo hanno massacrato, proprio loro, i fascisti. Mio padre era un socialista, ma quando hanno fatto la marcia su Roma – che pare sia stata una bella buffonata – c’è andato, e il titolo era quello: marcia su Roma, poi anche la sciarpa littoria. Avevano occupato la sede della massoneria a Portoferraio e avevano rubato l’elenco degli iscritti. Ce l’ho io e lo devo trovare, perché è un documento storico. A Portoferraio si era creata una cricca, tra amici come si usa in quelle occasioni lì, diventano amici poi si frequentano .Andiamo al bar, poi si sa, là a Portoferraio: ‘eh, la tu moglie te l’ha messe le cornette ’, allora sai qui sai là, stasera si va alla balera, stasera vieni, ‘lasciala perdere la tu moglie’, eccetera, e si frequentavano a questi livelli. Se non ché, un bel momento dovevano fare il podestà a Portoferraio, e la nomina veniva da Livorno (vi era implicato anche Ciano). Quando vanno a cercare l’elenco di quelli iscritti alla massoneria, constatano la sua sparizione… .E’ stata data la colpa a mio padre, lo aveva fatto per nascondere qualcosa, c’era una spia fra di loro. Praticamente è successo che il segretario del Fascio l’hanno bloccato ed a mio padre l’hanno ‘spedito’ a giro di posta a La Maddalena”.
D. : Lei era in Arsenale, c’era pericolo che chiudesse tutto …”
Filinesi: “C’è stato un periodo in cui si parlava del trattato di pace, la Francia rivendicava qualche cosa, dopo però tutto è rientrato, ma c’è stato un periodo, sì. Appena finita la guerra, naturalmente La Maddalena ha perso prestigio, io lo ricordo”.
D.: Però hanno fatto le Scuole Cemm… .
Filinesi: “Sì, poi si è ripresa dopo il ’49, con le Scuole ha ripreso, tant’ è vero che a quei tempi ci fu anche un’assunzione di donne a fare le operaie”.
D.: Ma il lavoro in Arsenale c’era o no?
Filinesi: “La faccenda è che io ho conosciuto l’Arsenale con circa seicento persone, poi l’ho conosciuto con più di ottocento, poi quando è finita la guerra … . No, licenziato non hanno licenziato nessuno, non licenziavano nessuno, i licenziamenti li abbiamo conosciuti noi, i vecchi andavano in pensione e non assumevano, come adesso. C’è stato un periodo, anche a La Spezia, che hanno assunto molte donne, ricordo che io sono andato e c’erano molte donne che erano state assunte. Poi c’era una metamorfosi: le donne assunte sparivano, le belle sparivano, andavano a finire in ufficio, le racchie andavano in magazzino”.
D.: Quindi, nell’officina motoristi, negli anni tra il ‘50 e il ’51, che lavori si facevano?
Filinesi: “Nel 1951 era già stata trasformata, perché l’officina motoristi è stata bombardata nel ’43. Allora l’avevano trasferita dall’altra parte davanti all’officina congegnatori, e quella non era più l’officina motor,i era diventata l’officina sommergibili e fuori c’erano i sommergibili. E’ stata trasferita dopo i bombardamenti e davanti all’officina congegnatori avevano installato la nuova officina motoristi, motori a lenta combustione”.
D.: C’era molto lavoro?
Filinesi: “C’era, c’era; c’era il lavoro umano. Non è che si sudava, il sudore non sapevi nemmeno cos’era, però lavoravamo. I maddalenini, quelli che sono andati fuori a lavorare, hanno fatto una bella figura. C’era solo la mentalità sbagliata, non abbiamo acquisito la mentalità del privato, però per fortuna c’erano la capacità, l’abilità, la professionalità. Perché noi abbiamo avuto la fortuna di avere un grande maestro che si chiamava Pietro Balzano: lui era motorista, tornitore, fresatore, congegnatore, era unico, era educato”.
D.: Com’era la commissione interna? Se la ricorda? Eravate tutti comunisti?
Filinesi: “Beh, io sono stato in commissione interna, però non ero io in maggioranza, perché in maggioranza c’era Pedroni. Io ho conosciuto la commissione interna con Donato Pedroni segretario, lui era della Cisl, allora si chiamava ‘sindacato libero’, ed io ero vicesegretario comunista della Cgil”.
D.: Erano in maggioranza quelli della Cisl?
Filinesi: “Sì. Si era fatta l’elezione all’interno del cantiere ed aveva vinto la Cisl … .
D.: Voi a chi avete dato la responsabilità di quei licenziamenti?
Filinesi: “Un giorno si era sentito male quello che era segretario all’Avviamento, Serra, Giacomino Serra, era là vicino a me, mi chiamò e disse: ‘guarda Mario io ti devo chiedere scusa’, ‘perché?’, ‘perché io ti ho fatto del male e tu non te lo meritavi, perché poi mi sono informato e tu sei una brava persona …’, ‘stammi a sentire, non mi interessa’. Anche perché poi si sarebbe incominciato a fare chiacchiere, la colpa a quello, la colpa a questo. Io non davo la colpa a nessuno, perché per esempio molti hanno dato la colpa a don Capula. Deh, lasciatelo dire a me: avevano ragione, purtroppo questa è la verità ’.
Lui ha partecipato, lui ha approvato, non è che ha detto no, ha approvato. Ad un bel momento ha detto che lui non c’entrava, però non l’ha detto con convinzione, non s’è battuto il petto, s’è messo a gridare o ha fatto dei comizi o delle riunioni. Una persona che bisogna ricordare in questo affare è Luigi Papandrea. Era massone, era a capo della massoneria a Maddalena, era cognato di Mordini. Lui s’è fatto partecipe, ci ha accompagnato a Roma e ha fatto quello che ha potuto, nonostante che … lui fosse massone, lo sapevamo no? Era senz’altro un uomo di destra, ma era un uomo giusto, insomma. A Roma ci ha accompagnato e ha fatto quello che doveva fare, in albergo ha preso una camera insieme a noi, non è che ci ha abbandonato”.
D.: Insomma nel ’52 avete vinto le elezioni e non siete riusciti a governare… .
Filinesi: “Ah sì, è stata difficile quella volta là, perché Larco si era proposto e poi era stato anche eletto, ma evidentemente non era convinto. Però aveva degli abboccamenti con la Democrazia Cristiana, ricordo con Donato Pedroni, e quindi non mi meraviglio. L’hanno fatto cadere, ma chissà, forse aveva qualche pendenza”.
D.: E Merella … ?
Filinesi: “Mi dispiace dirlo, ma Merella non è stato un sindaco. Merella è stato un portatore di ordini. Merella è quello che ha fatto fare l’albergo Excelsior e altre cose discutibili, va bè? ‘Cose’ che hanno rovinato, per così dire la toponomastica di Maddalena, perché il terreno per fabbricare l’albergo è stato praticamente regalato al prezzo di una lira al metro quadro, hanno rovinato una piazza che era bellissima. Se buttano in terra l’albergo mi fanno un piacere”.
D.: E Vincentelli? Anch’egli è stato sindaco … .
Filinesi: “Sì, Vincentelli era una bravissima persona, lui era talmente bravo che accettava tutto da chiunque chiedeva di dargli qualche consiglio e chiedeva consiglio a tutti, ma era un po’ debole. Ricordo che era sindaco Merella e si stava esaminando il progetto dell’ampliamento della chiesa, Vincentelli disse: ‘Guardate, date retta a me, perché io sono del mestiere, non fatelo’- ce l’aveva con l’ampliamento della chiesa, diceva ‘non fatelo, perché non era necessario perché si rovinava un paese – ve lo dico da competente’ e Merella rispose: ‘Lei non si preoccupi, lei non si preoccupi’. Ecco”.
Il Pane del Governo di Salvatore Abate e Francesco Nardini – Paolo Sorba Editore – La Maddalena