Testimonianza di Pasquale Serra (3 aprile 2006)
Domanda: Cosa ricorda dei licenziamenti del 1952?
Pasquale Serra: “Nel 1952 io non c’ero. Sono rientrato nel 1956 a La Maddalena, da cui mi ero allontanato nel 1948. Ricordo però molto bene che quei licenziamenti crearono notevoli dissapori all’interno della Democrazia Cristiana locale. Io, che facevo parte del gruppo ‘laico’ contrapposto al gruppo che si rifaceva all’Azione Cattolica, non condivisi quei licenziamenti”.
Domanda: Vuol dire che parte del gruppo dei democratici cristiani li condivideva?
Serra: “Non lo so, certo ci fu chi condivise, ma c’era una grande contrapposizione all’interno della DC. Dopo il 1956, quando io ritornai in Consiglio Comunale, la spaccatura fra i ‘laici’ e gli altri divenne insanabile, a tal punto che i sedici consiglieri comunali democristiani si divisero in due tronconi: uno, il gruppo dei laici di cui facevo parte io – anzi si diceva che io ne fossi l’animatore – insieme a Francesco Susini, Stefano Cuneo, Giovan Battista Fabio, Giuseppe Vasino e Natale Berretta, e il gruppo dell’Azione Cattolica saldamente legato alla parrocchia. Siccome si componeva di dieci persone, divenne noto come il ‘gruppo dei dieci’. Fu questo gruppo, ad esempio, a volere la testa del sindaco Francesco Susini, capolista della Democrazia Cristiana alle elezioni amministrative del 1957, cognato del consigliere regionale Sebastiano Asara , per favorire l’ascesa del vicesindaco Donato Pedroni. In consiglio Susini fu accusato di certi affari, sulla concessione di case erariali, con il comandante della piazzaforte e fu costretto alle dimissioni, non senza aver denunciato prima quella che egli definì l’‘invadenza napoleonica’ di don Salvatore Capula nella politica amministrativa, davanti ad un’aula comunale gremitissima.
La sinistra per l’occasione organizzò un corteo che, recatosi sotto la casa di monsignor Capula in via Ilva gridò a lungo ‘al rogo!, al rogo!’”.
Domanda: Torniamo indietro, al 1948. Cosa ricorda di quelle famose elezioni?
Serra: “Prima delle elezioni dell’aprile del ’48 c’era in giro molta tensione. Fu una campagna elettorale molto dura, con contrapposizioni fra i due schieramenti, accuse reciproche, anche accuse pesanti, discussioni continue anche in piazza fra gruppi opposti. Si arrivò a sentire tre comizi per sera in piazza Garibaldi e arrivarono parecchi ‘grossi calibri’. Ad esempio Celestino Segni per la DC, o Renzo Laconi per la sinistra, o Giovannino Floris che era un parlatore fine e indicava Laconi con il nomignolo di ‘Binaca’ perché sorrideva sempre mentre parlava. Vennero Luigi Polano e Velio Spano, ed altri a quel tempo sulla cresta dell’onda.
Anche per noi il risultato delle elezioni del ’48 fu una sorpresa, positiva ma pur sempre sorpresa, per le proporzioni del risultato.
Quello che secondo me è da segnalare in quel frangente è l’attivismo di monsignor Salvatore Capula. Organizzò l’Azione Cattolica in modo perfetto. Inoltre aveva creato una specie di comitati di quartiere, dieci in tutto, che corrispondevano grosso modo alle sezioni elettorali e che chiamò ‘basi missionarie’ con un capo missione in ogni base. Il compito di queste basi era quello di eseguire una schedatura particolareggiata di tutte le persone adulte, gli elettori cioè, che abitavano il quartiere.
Quegli elenchi, molto dettagliati e precisi, servirono poi per mirare gli interventi dell’Ente Comunale di Assistenza, ad esempio, ma in particolare fornirono una fotografia dettagliatissima sulle inclinazioni politiche degli abitanti. Si veniva così a sapere chi era comunista e chi no, se lo era la anche la moglie, o i figli, se era un tipo malleabile o meno. Lo stesso don Capula aveva redatto a mano una specie di vademecum, intitolato ‘Cose da sapersi’, in cui istruiva i suoi collaboratori sul contegno da tenersi verso coloro che si sarebbero recati al seggio per convincerli in extremis a votare per un candidato amico, sfruttando anche la lista delle preferenze.
Le prove generali di questa sistematica opera di organizzazione del voto furono fatte nelle elezioni comunali del 1946. Già nelle amministrazioni che ne seguirono la sacrestia ebbe modo di farsi valere. Il primo sindaco fu Elindo Balata, un bravo ragazzo, uno sportivo, che però se ne andò a Livorno perché gli avevano offerto un lavoro stabile. La lotta per la successione era fra Giuseppino Merella e la maestra Felicita Guccini, questa sembrava destinata a prevalere ma poi la parrocchia riuscì, al fotofinish, a portare alla poltrona Merella. Anche su questo sindaco e su Pietro Ornano, il condizionamento della parrocchia fu determinante. Don Nanni Columbano diceva che Merella almeno due volte al giorno saliva in bicicletta in via Ilva a trovare il parroco”.
Domanda: Ma nel 1952 questa opera capillare di persuasione non riuscì. Vinsero le sinistre … .
Serra: “Sì, l’elettorato si stava spostando a sinistra. Anche se la sinistra conquistò la maggioranza assoluta non riuscì a governare. Intanto il sindaco designato Renzo Larco, un liberale erudito, giornalista di fama, non aveva il polso necessario a mantenere il timone. Fece solo in tempo ad accogliere a La Maddalena la visita del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, nell’estate del ’52.
Larco conosceva bene il Presidente e l’abbraccio amichevole che questi si scambiarono in piazza fece molta sensazione nella gente presente. Poi il Sindaco ‘laico’ si dimise e fu eletto il socialista Salvatore Vincentelli, ma anche questo fu messo in condizione di non governare, così nel dicembre del 1952 il Consiglio Comunale fu sciolto ed arrivò il commissario prefettizio”.
Domanda: Torniamo ai licenziamenti. Quanto vi entrò la parrocchia?.
Serra: “Furono una macchia bruttissima ed era sulla bocca di tutti che la parrocchia sapeva, un sospetto che nessuno ha mai smentito. E gli episodi che avvennero dopo, quei tre o quattro lavoratori licenziati che dovettero andare da don Capula a strappare la tessera del partito per poter essere riammessi in Arsenale – qualcuno di questi, dicono, che si fosse prostrato letteralmente davanti a lui in lacrime – sono la cosa più brutta, io ritengo, perché tolsero dignità alle persone. Io dico che chi riusciva a far rientrare un licenziamento poteva anche evitarlo, per cui penso che se si fosse voluto si sarebbe anche potuto evitare. Evidentemente non lo si volle fare. Non ci fu pietà. In Consiglio Comunale, un consigliere vicino all’aAzione Cattolica si permise di dire – ‘peggio per voi che avete sputato nel piatto in cui avete mangiato!’- In parrocchia ci fu chi brindò”.
Domanda: Perché furono presi di mira i dipendenti dell’Arsenale?
Serra: “L’ingranaggio era semplice La parrocchia aveva accertato che nell’Arsenale erano rappresentate tutte le famiglie de La Maddalena. Colpendo un dipendente del cantiere era come colpirli tutti, tutti ne avrebbero risentito, la pubblicità sarebbe stata massima e massimo l’effetto. E poi lì, sì, c’era la commissione interna, l’unico elemento di lotta politica organizzata che sfuggiva al controllo. Perché il dinamismo di don Capula, sin dal suo arrivo a La Maddalena, aveva permesso la riorganizzazione delle Acli, dell’Azione Cattolica, poi della Cisl o sindacato ‘libero’. Tramite tutte queste organizzazioni, in cui riusciva facilmente a porre uomini di sua fiducia, don Capula riusciva a controllare tutti i gangli della vita amministrativa maddalenina e, di conseguenza, tutte le leve del potere”.
Il Pane del Governo di Salvatore Abate e Francesco Nardini – Paolo Sorba Editore – La Maddalena