La Maddalena Antica

Alla battaglia di Lissa

Nella storia si può entrare di prepotenza, protagonisti. O in sordina, quando una data sorte conferisce, senza volerlo, un ruolo di comprimari.
L’alternativa è secca, ovvia. Si riflette, però, in un diverso giudizio sugli avvenimenti o, almeno, in un diverso modo di sentirli.
La battaglia di Lissa (20 luglio 1866) non è da considerare un episodio chiave del Risorgimento italiano. Storici autorevoli sostengono che viene combattuta più per appagare le esigenze politiche del giovane governo nazionale e per accontentare l’opinione pubblica – la sconfitta patita a Custoza dalle forze di terra a opera del tradizionale nemico austriaco, poche settimane prima, il 24 di giugno , aveva generato sconcerto – che per effettive ragioni strategico- militari.
Silvestro Carnovale, giovane marinaio maddalenino partecipa a quell’inglorioso fatto d’arme , vivendolo come un momento di esaltazione personale: l’Italia, il re, la gioventù che correva alle armi per l’Indipendenza dell’Italia…..

Ha soltanto 24 anni Carnovale – si era arruolato nella Regia Marina a 17 – quando da ragazzo che scopriva il mondo arrivando da un arcipelago sperduto e scarsamente popolato, non vantando nobili natali, non ambendo a compiere gesti eroici, gli si apre la porta della storia. Una storia minuta, vissuta dal basso ma, certo, non meno importante di quella dominata dall’alto fatta dai “grandi avvenimenti” , dai “ grandi personaggi”.
Carnovale affida il suo racconto spontaneo a una raccolta di memorie , sottratta all’oblio da alcuni discendenti che vivono oggi in Argentina.
Termina di compilare i diari il 26 agosto del 1882. In quel periodo, alla Maddalena si piange ancora la morte del Giuseppe Garibaldi, l’eroe vero, celebrato, dell’epopea risorgimentale: il generale si spegne nell’eremo di Caprera il 2 giugno , proprio di quell’anno.
Nell’atto di firmare i suoi quaderni, il marinaio isolano, appone una significativa annotazione: “nel racconto delle mie memorie domando scusa ai lettori, se non sia bene espresso, perché non sono bene istruito” .
Questa modestia gli derivava dall’essere figlio di un umile “maestro falegname” che aveva sposato un altrettanto umile giovinetta di Caprera di nome Maria Antonia, la quale lo aveva messo al mondo il 24 gennaio del 1843.
Il desiderio di servire la patria, da riscattare attraverso una guerra di liberazione, potrebbe accomunare Carnovale a molti altri coetanei, residenti nelle città di mare dell’antico Regno di Sardegna. “ Io non trovava sollievo, se non che sentiva un voto solamente di servire la patria “ sottolinea il giovane che si arruola nella Regia Marina nel 1860. Si trattava della Marina sabauda e non ancora di quella italiana.
Continua Silvestro Carnovale nel suo racconto: “Il giorno 27 di agosto (1860) dimandai licenza ai miei genitori per correre al grido generale della gioventù”.
Alberto della Marmora a proposito della Maddalena annota proprio in quegli anni: “Così in poco tempo questa popolazione diventò essenzialmente marittima al punto che dopo una cinquantina d’anni e specialmente ora in questo borgo non ci sono che donne, vecchi e infanti, perché tutti gli altri valenti servono nella Marina oppure sono imbarcati sopra bastimenti di commercio, alcuni navigano di loro proprio conto facendo cabotaggi sopra battelli costruiti da loro stessi”.
Dobbiamo presumere che non fu tanto lo spirito d’avventura a portare Carnovale ad arruolarsi come vuol far credere, bensì la necessità di sopperire in qualche modo alla mancanza di sostentamenti sull’isola.


Mi imbarcai sul postale che doveva recarsi a Genova e la mattina del 29 eravamo arrivati in detto porto. Dopo pochi giorni mi presentai al comando della marina da guerra, la quale a quel tempo non abbisognava di tante parole”.
Detto, fatto. L’arruolamento avviene seduta stante. Al maddalenino Carnovale viene assegnato il grado di “ marinaio di terza classe” e nello stesso giorno si imbarca sulla fregata San Michele , che salpa alla volta di Ancona.
Siamo ancora in periodo preunitario, in periodo di guerre di indipendenza.
Il giovane maddalenino si trova dunque marinaio “di guerra” mentre è in corso la spedizione dei Mille in Sicilia, anzi, alcuni giorni prima (20 agosto 1860 ) Garibaldi aveva passato lo Stretto di Messina e stava risalendo l’Italia verso Napoli. Il Piemonte , con il benestare della Francia, già aveva annesso la Toscana (15 marzo) e l’Emilia e si apprestava a sferrare l’attacco armato allo Stato della Chiesa. Il nostro conterraneo può partecipare a un’azione di guerra di grande portata: l’assedio e la presa di Ancona, roccaforte militare pontificia.

La flotta italiana, si diceva, è quella della Marina sarda, alla quale i maddalenini, all’origine pastori e agricoltori, ma con il passare delle generazioni trasformatisi in veri uomini di mare, contribuiscono in forze a formare :guadagnano medaglie al valore, partecipano a tutti i fatti d’arme in cui viene coinvolto il piccolo stato sabaudo, prima del 1861, e il grande stato italiano, a partire da quell’anno.
Fin dai primi giorni di servizio , Carnovale ha a che fare con un personaggio che automaticamente qualificherà la sua vita e il suo essere marinaio.
Parliamo dell’ammiraglio piemontese Carlo Pellion, conte di Persano. La recluta isolana parla di lui , nel diario, a proposito del viaggio compiuto dalla squadra navale comandata proprio da Persano, da Genova ad Ancona e della battaglia vittoriosa contro i nemici della patria.
“Le cannoniere italiane fecero fuoco al segnale dell’ammiraglio che si trovava sulla nave ‘Maria Adelaide’ – leggiamo ancora nelle memorie di Silvestro Carnovale – le altre unita’- delle quali il marinaio “ reporter” non precisa il numero – si portarono sotto le fortezze della parte di levante. Quindi, senza perdere un minuto di tempo accorremmo e ci trovammo sotto le batterie facendo fuoco accanito sui nemici della nostra patria: quattro ore di duro combattimento e non ci fu nessuna vittima ….. Evviva l’Italia. Evviva il re…Dopo quel giorno , più non andiamo sotto le batterie. Il 26 ottobre vidi con sommo mio contento saltare in aria le fortezze del porto di questa città e inalberare la bandiera italiana dalle valorose truppe comandate dal bravo Giardini .
Assieme a Carnovale, umile marinaio, naviga nelle stesse acque anconitane un altro maddalenino cui il destino doveva riservare più grande notorietà, l’ammiraglio Giovanni Battista Albini, nato sull’isola nel 1812. La storia propone a due isolani lo stesso episodio, da vivere ovviamente da due angolature ben diverse.
Albini però, dall’alto del suo grado di capitano di vascello, può fregiarsi della medaglia d’oro e di una promozione a contrammiraglio concessagli successivamente, proprio perché in quell’episodio di guerra riesce “in modo ardito” a concludere l’assedio con l’occupazione della piazzaforte.
Il 15 novembre “il nostro magnanimo re” Vittorio Emanuele II”, che dieci giorni prima aveva assunto il comando dell’esercito , dirigendosi verso l’Italia Meridionale arriva ad Ancona , salutato da tutti gli ufficiali, i sottufficiali e i marinai della squadra navale .”Il giorno dopo, in su l’ordine del giorno indirizzava le più cordiali parole di conforto ai soldati di terra e di mare, dicendo egli di essere soddisfatto dell’amore e della benevolenza che essi mostravano verso la propria patria”.
Si apre il passo ai personaggi della storia ufficiale. Un personaggio domestico, semplice e dimesso si trovava al cospetto dell’uomo che avrebbe guidati i sacri destini della Patria.
Con tono sommesso, abbandonando l’ardore e l’entusiasmo consueti l’ancor giovane Carnovale racconta l’episodio chiave della sua carriera di effettivo della Regia Marina, diventata italiana dopo il 17 marzo 1861.
Immagini brevi, conseguenti. Confidenze crepuscolari. Il marinaio distingue la gioia “ del vero soldato italiano” provata all’atto della capitolazione di Ancona, il genuino orgoglio patriottico della persona semplice, dal dovere del militare di carriera, seppur bassa forza.
Il 20 luglio 1866, la flotta italiana agli ordini dell’ammiraglio Carlo Persano, ancora lui, una presenza inquietante nella vita di Silvestro, subisce una sonora sconfitta nelle acque di Lissa, un’isola fortificata dell’arcipelago dalmata..
L’insuccesso militare si trasforma, nel giudizio dell’opinione pubblica, in un’onta nazionale.
Persano diventa l’unico capro espiatorio. Viene processato dall’Alta Corte di Giustizia, degradato per incapacità e per negligenza.
Perché, sebbene disponga di una flotta più numerosa e più armata, anche se più lenta di quella austriaca, invitato ad agire dal governo- era intervenuto il presidente del Consiglio dei Ministri Bettino Ricasoli, in persona l’ammiraglio italiano si fa battere dal collega, e avversario, austriaco Willem Teghetoff.?
Quando scoppia la guerra contro l’Austria , il 19 giugno 1866, la flotta italiana é concentrata a Taranto, lontano dal teatro operativo. Il 26 le navi arrivano nel porto di Ancona e appena un giorno dopo si fanno sorprendere dalla flotta nemica che esegue una ricognizione sotto il porto adriatico. Le navi austriache non vengono attaccate da quelle italiane, possono liberamente prendere il largo alla volta dell’approdo istriano di Pola.
“Molti comandanti cominciano a criticare più’ o meno apertamente il loro ammiraglio – spiega Martino Sacchi – La compattezza della catena di comando comincio’ a incrinarsi irreparabilmente. Intanto anche l’opinione pubblica era indignata. Le navi c’erano, erano moderne , erano costate un mucchio di soldi: che venissero usate, dunque! “
Il governo posto sotto pressione invia di continuo telegrammi all’ammiraglio piemontese. Che faccia qualcosa!
Persano é uomo prudente e consapevole delle condizioni della flotta italiana, del pericolo a cui va incontro in una lotta impari contro un’isola munita e una flotta nemica compatta? O, soltanto un codardo, che ritarda di muovere battaglia perché incapace di elaborare un piano di azione adeguato?
Gli storici del Risorgimento, anche i più accreditati si pongono questi interrogativi.
Senza fornire una risposta univoca .
Certo l’alto ufficiale non gode della fiducia dei suoi subordinati, siano questi persino i suoi collaboratori più stretti
Non fa nulla per infondere negli ufficiali, nei sottufficiali e nella truppa l’affiatamento e il necessario spirito combattivo. E questi difetti, alla fine, si rivelano cruciali.
Ragiona da politico più che da militare, Carlo Pellion: la guerra contro l’Austria può ritenersi virtualmente conclusa con la battaglia di Sadowa vinta dalla Prussia, alleata dell’Italia, il 3 luglio 1866. Il nostro obbiettivo principale, la conquista del Veneto, è raggiunto, per quale ragione allora si devono mettere a repentaglio uomini e mezzi?
L’ammiraglio vuole ottenere la certezza assolta di una vittoria sul campo: perciò chiede navi ( l’Affondatore arriva pochi giorni prima della battaglia), mezzi, cannoni.
Continua a temporeggiare. Pero’, non azzarda di progettare un attacco diretto alla base di Pola.
Questa fase prolungata dura per tutta la prima metà del mese di luglio. In seguito, Persano è messo alle strette dal governo , minacciato di essere destituito. Decide, così, di accontentare l’opinione pubblica , ponendosi come obbiettivo la conquista dell’isola di Lissa.

Il viceammiraglio Teghettof è l’antitesi umana del rivale: digiuno di politica , mentre Persano è senatore del Regno d’Italia. L’austriaco è carismatico mentre l’italiano è ritenuto, sempre dai suoi ufficiali, un arrivista intrigante, fondamentalmente una persona mediocre che deve la sua condizione più al favoritismo che alle reali capacità professionali.
“L’errore strategico fondamentale sarà quello di inviare la squadra navale a tentare uno sbarco senza prima avere messo fuori gioco la flotta austriaca, meno potente di quella italiana ( sette corazzate contro dodici ) ma molto compatta e motivata sotto il profilo psicologico”- scrive ancora Martino Sacchi L’ammiraglio Teghettoff, pur avendo solo 39 anni, manifesta uno straordinario carisma, si dimostra capace di infondere un grande entusiasmo nei suoi equipaggi. Inoltre, dando prova di un altissimo livello di professionalità, Teghettoff, a differenza di Persano, nutre ferree convinzioni sulla tattica da adottare : indice con cadenza giornaliera le riunioni con i suoi sottordine ai quali spiega accuratamente le proprie “certezze”, cosicché nel giorno fatale dello scontro con il nemico, tutti gli uomini impiegati, dai comandanti ai comuni, sapranno in quale maniera agire.
Gli ufficiali della giovane marina italiana, dal canto loro, provengono quasi tutti da quella sarda e da quella borbonica: diversi per formazione professionale, non sono affiatati.
Emergono presto rivalità, rancori personali, antipatie. Per giunta L’ammiraglio Persano é considerato dai colleghi un raccomandato: dal 3 marzo all’8 dicembre del 1862 é stato ministro della Marina , nel governo presieduto da Urbano Rattazzi e di breve durata. Durante il suo mandato ha posto mano a un piano di potenziamento della flotta da guerra che, il giorno in cui si compie l’unità d’Italia é composta soltanto di un vascello, di 11 fregate, di 26 corvette e di naviglio minore di importanza trascurabile.
Sono tutte unità abbastanza vecchie, costruite in legno, a vela e a motore.
Il progetto di Persano prevede l’inserimento di 24 fregate corazzate di primo ordine, di 10 fregate corazzate di secondo ordine e di altre unità minori.
Nel 1866 questo piano non é stato ancora condotto a termine : la Marina, però, dispone già di 12 unità corazzate, tra fregate e cannoniere. I costi sostenuti sono enormi: circa due miliardi di lire, pari a 12000 miliardi attuali, e questo dispendio esagerato di danaro si spiega con il fatto che la maggior parte delle navi sono state commissionate a cantieri esteri.
“ Le navi pero’ non sono tutto. In una flotta ben organizzata e ben guidata contano anche gli uomini e , purtroppo, questi, non si possono comprare”.
A titolo di esempio, non va d’accordo con Persano il contrammiraglio Giovanni Battista Albini, comandante delle navi in legno che, contravvenendo agli ordini del superiore diretto , in una prima fase della battaglia fa ritirare le sue fregate dopo aver sparato 15 colpi in tutto, e successivamente, nel pieno della “ bagarre” la disubbidienza , a torto o a ragione, dell’Albini contribuisce alla sconfitta: contravvenendo agli ordini di Persano, il suo vice si ferma a raccogliere le lance che sono già a mare per il tentativo di sbarco a nord dell’isola di Lissa, e non segue le corazzate.
Il comportamento tenuto da Albini gli costa l’interruzione della carriera: a 54 anni viene collocato a riposo d’autorità, con qualche ombra sul suo onore di militare.
Muore nel 1876 a Cassano Spinola presso Alessandria dove si é ritirato a vita privata.
Avevamo lasciato Silvestro Carnovale marinaio imbarcato sulla fregata San Michele che festeggia la presa di Ancona, nel novembre del 1860.
Lo ritroviamo sei anni dopo, ancora nel porto marchigiano, questa volta membro dell’equipaggio della fregata Principe di Carignano. “ Il giorno 16 luglio vediamo scritte nell’ordine del giorno queste parole: ufficiali, sottufficiali e marinai, il vostro Re ci ordina, vedendo la nostra impazienza di provare con i fatti –leggiamo sempre nel manoscritto autografo- La sera del giorno medesimo si partì alla volta di Lissa e la mattina dell’8 eravamo alla vista della suddetta isola e alle 10 antimeridiane l’ammiraglio fece segnale d’attacco alle fortezze dell’isola…Durò i giorni 18 e 19. La sera del 19 venne l’Affondatore con le fregate Principe Umberto, Carlo Alberto e Governolo e si diede ordine per l’indomani”
La mattina del giorno 20 il tempo é piovoso. Il vento minaccia burrasca da maestro e da tramontana, e verso le 7 e 20 si vede l’Esploratore, mandato in avanscoperta sul Capo Sant’Andrea, ritornare veloce , annunciando che la squadra nemica sta per giungere.
La flotta italiana dispone di 28 navi: 12 fregate corazzate, 7 fregate non corazzate, 5 cannoniere in legno, 2 avvisi e 3 cannoniere. Quella nemica di 26: 7 corazzate , 1 vascello, 5 fregate, 1 corvetta, 4 avvisi, 10 cannoniere.
Stando al racconto di Carnovale, Persano dispone una linea di fronte con le navi Principe di Carignano, San Martino, Castelfidardo, Ancona, un’avanguardia che procede in formazione disordinata verso il nemico, in vista alle 9, 30 del mattino, agli ordini del contrammiraglio Vacca. Intervallate le navi del gruppo Persano che sono il Re d’Italia, la Palestro, e l’Affondatore. In coda il Re di Portogallo e il Maria Pia, alle quali si aggiunge la Varese a Battaglia iniziata.
Mentre il nemico si avvicina , vengono bene disposte le fregate corazzate in prima linea e le fregate non corazzate in seconda , così da formare una linea di battaglia ordinata.
Lo scontro in mare aperto si articola in quattro fasi, tre mattutine e una pomeridiana.
Apre il fuoco la corazzata Principe di Carignano , l’unità sulla quale é stato destinato Carnovale, alle 10, 45.
Un quarto d’ora dopo avviene la controffensiva di Teghettoff, che si trova a bordo della nave ammiraglia , la corazzata Ferdinand Max. L’ammiraglio austriaco guida le altre navi, poste sotto il suo diretto comando e appartenenti alla stessa classe, nel varco tra l’avanguardia italiana e la formazione del Re d’Italia. Il vascello Kaiser, si dirige, invece , verso la retroguardia e viene affondato dalla potente corazzata Affondatore, a bordo della quale si trova Persano trasbordato dal Re d’Italia.
Un aspetto sconcertante di tutta la vicenda risulta essere proprio questa decisone repentina del comandante in capo che “nella più forte mischia sbarca dal Re d’Italia e passò sull’Affondatore, con suo figlio giovane ufficiale, lasciando la bandiera di comando sul Re d’Italia che all’istante viene investita da tutta la forza nemica”. Il passaggio da una nave all’altra crea confusione fra i comandanti delle altre unità: chissà perché Persano non lo segnala.
Le navi impegnate nella manovra rallentano, si apre un varco tra l’avanguardia e la seconda fila. Teghettof circonda con sette unità il gruppo del Re d’Italia.
La terza fase della battaglia inizia alle 11..
La San Martino e la Palestro incalzate dalle navi austriache si staccano dal gruppo centrale .
L’ammiraglia italiana viene bombardata, un proiettile nemico colpisce il timone rendendola ingovernabile, per giunta viene speronata dalla Ferdinad Max e affonda in pochi minuti.
Si arriva alla quarta fase della battaglia cominciata alle 11,30.
Una bordata raggiunge la Palestro, provoca un incendio a bordo, esplode la “ santabarbara”, l’episodio segna la fine delle ostilità.
“ Io non voglio qui narrare la vicenda di quei giorni fatali- chiosa Silvestro Carnovale, protagonista di seconda fila di quell’episodio poco edificante che contribuì a gettare fango sulla Marina italiana- Ma rimarranno sempre scritti nella nostra storia d’Italia” .
Non si addice a un figlio del popolo il giudizio politico.
Non é compito suo stabilire in quale misura sono da suddividere le colpe, gli errori, i torti.
Dove é lecito tracciare la linea di confine tra l’incapacità del comandante, da una parte, e lo scarso entusiasmo, la disobbedienza dei “ sottordine”, la superficialità organizzativa,, tutti insieme, dall’altra ?
Non é compito di un marinaio semplice stabilirlo.
Da parte sua Carnovale, i dettagli che ritiene insoliti, li pone in rilievo prontamente : il trasbordo di Persano e di suo figlio, dal Re d’Italia all’Affondatore, la morte ingiusta di 460 commilitoni, divisi tra ufficiali, sottufficiali e marinai semplici, tutti imbarcati sul Re d’Italia e sulla Palestro. Si salvano soltanto 13 persone.
Il marinaio maddalenino mal celando i suoi sentimenti soggiunge: “ Al ritorno nel porto di Ancona la penna mi nega di descrivere il grido di sprezzo che fecero gli abitanti contro Persano”.
Le strade di due personaggi così diversi tra di loro si dividono in quel momento e non si ricongiungono mai più.
Il nobiluomo perde le decorazioni, le benemerenze e, pure, la faccia.
Il popolano si ritaglia un minuscolo spazio nella storia: una storia minuta, vista dal basso, con crisma di autenticità.
Prende congedo dalla Regia Marina, il 27 marzo 1868, si ritira nell’isola che gli ha dato i natali, dove attende alla stesura delle memorie. Per vivere continua a lavorare sul mare, ma é il suo mare, quello dell’arcipelago della Maddalena. In seguito si trasferisce nell’America del sud, una sorta di Eldorado per gli spiriti avventurosi come il suo. In Argentina, come detto, è vissuta la sua famiglia e vivono ancora i suoi pronipoti .
L’ormai ex marinaio di terza classe della Regia Marina da guerra completa l’opera letteraria quattordici anni dopo il proprio congedo.
La conclude affermando: “ Quei giorni memorabili del 18, 19 , 20 luglio 1866 rimarranno sempre scolpiti nel mio cuore”.

Tore Abate