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L’astuzia di “Margot”

Ma dopo il fatale 8 settembre 1943, Dario Leli non si era arreso alla sconfitta, aveva deciso di dare un contributo alla lotta di liberazione dell’Italia, ed aveva continuato la sua guerra non più in mare, ma nella pianura padana, ove tedeschi e fascisti, gli diedero una caccia spietata alla quale riuscì sempre a sfuggire, con il coraggio e l’intelligenza appresi alla scuola del suo amato “Sirena”.
Raggiunto il sud-Italia , nel territorio già liberato dagli alleati e sotto la sovranità del re Vittorio Emanuele, accoglie l’invito di Ferruccio Parri, che lo conosceva e ne apprezzava il coraggio e l’intelligenza, ad arruolarsi in una delle ”Missioni Militari” che venivano paracadutate in alta Italia per tenere i collegamenti fra gli anglo americani avanzanti da sud ed i partigiani che nell’Italia settentrionale combattevano contro i nazifascisti che la occupavano, fornendo ai comandi alleati
preziose informazioni sul movimento delle truppe nemiche, la loro consistenza, il loro armamento, e quant’altro di importanza strategica.
Si trattava per lo più di formazioni miste di italiani ed anglo americani – ma non mancarono, come si vedrà, quelle composte da soli italiani, militari ma anche civili – normalmente composte da un comandante, un vice-comandante, un interprete, un radiotelegrafista ed un armiere. Ecco i nomi di alcuni capi missione inglesi: magg. John P. Wilkinson “Freccia” che operò sull’Altopiano di Asiago morendo poi in combattimento a Tonezza; cap. Paul Newton Brietsche che operò sul Grappa anche se, per la verità, fu molto criticato per aver ordinato l’impossibile difesa sulla cima della montagna durante il rastrellamento del 20/26 settembre 1944; cap. Harold W. Tilman (radio “Simia”) lanciato sull’Altopiano di Asiago con destinazione Cansiglio – noto scalatore, terminata la guerra conquistò molte vette e finì disperso sulle montagne dell’Himalaya.
Essi avevano il compito di istruire i partigiani italiani sull’uso delle armi alleate che venivano loro paracadutate, di inquadrare militarmente uomini coraggiosi ma poco inclini all’ordine ed alla disciplina, di studiare azioni di “commando” per sabotare impianti militari, linee di collegamento ferroviario, ponti e strade, di accogliere nuove “Missioni”, porre in salvo piloti di aerei alleati abbattuti ed ex prigionieri alleati che, dopo lo sfascio dell’esercito italiano, l’8 settembre 1943 si erano trovati improvvisamente liberi ma privi di ogni assistenza e soggetti alla caccia feroce dei nazifascisti.
Dario viene sottoposto ad accurata, dura preparazione: lunghe ore di volo in addestramento ed in zona di guerra, lanci con il paracadute. Alla fine, nel luglio 1944, quello decisivo – che gli fa meritare la medaglia d’argento – nel buio della notte, verso l’ignoto, senza alcun ricevimento organizzato a terra, nel Veneto pullulante di nemici: l’obbiettivo non è centrato, tocca terra a 50 chilometri di distanza ma riesce a raggiungere la città di Mestre, sede della Missione cui è destinato.
Si tratta della “Hollis”, una delle poche composte esclusivamente da italiani, dipendente dal O.S.S. (l’americano “Office Of Strategic Service”), con a capo l’Avv. Pietro Ferraro di Venezia (“Antonio”), un industriale che non esitò a mettere in pericolo la sua vita ed i suoi interessi per la liberazione dell’Italia. Al suo arrivo Dario Leli (questo il suo vero cognome erroneamente indicato “Lelli” nella documentazione militare che lo riguarda) assume il nome di battaglia di “Margot” (in ricordo della gatta avuta negli anni di Algeri) ed a conferma dell’importanza attribuita alla sua collaborazione la Missione – la cui attività non interessò solo il Veneto, ma si estese anche ad altre zone e fu fonte di preziose informazioni per i comandi alleati che la definirono “una delle più importanti del nord Italia” – verrà denominata “Hollis-Margot”.
Eloquente l’attestato 18 maggio 1945 rilasciato dall’O.S.S: “Si dichiara che Dario Leli è stato un dipendente del Governo degli Stati Uniti dal 24 gennaio 1944 ad oggi. I suoi servizi a favore del Quartier Generale furono molto preziosi per la causa degli Alleati e si intende qui esprimere l’apprezzamento della sua opera a favore degli Stati Uniti d’America”. Fra i componenti di questa Missione va ricordato il giovane padovano dr. Luigi Amati residente in città in via Risorgimento 10 e poi in via Savonarola, la cui preziosa opera viene così descritta nella scheda in cui l’ing. Ferraro “Antonio” ha, dopo la Liberazione, documentato il contributo dato dai suoi collaboratori: “…Ha rinunciato a quasi tutto il suo lavoro di inventore e tecnico nel campo delle materie plastiche, del cinema a colori e del magnesio metallico, settori in cui possiede numerosi brevetti, per garantirmi il funzionamento della radio…I primi contatti a distanza furono fatti dal Dario Lelli dopo che il dr. Amati gli diede precise istruzioni…Organizzò il funzionamento tecnico delle diverse radio nel bellunese e nelle varie sedi delle zone di Padova, Treviso, Venezia. Provvide a tutte le riparazioni, al trasporto dei vari materiali, si procurò i pezzi di ricambio, fece tutte le prove necessarie per il buon funzionamento, incurante del grave pericolo derivante da questa sua continua e intensa attività…Senza di lui avrei trasmesso la metà delle notizie…”.
Dura la vita dei componenti la Missione, continuamente costretti a cambiare i luoghi da cui l’esperto Sottocapo r.t. della Marina italiana spedisce i suoi messaggi: repubblichini e tedeschi gli danno una caccia spietata, ma Dario è imprendibile e sfugge a ben 7 rastrellamenti nel bellunese e nella zona di Preganziol (TV).
A Padova l’apparecchio dell’intrepido “Margot”, ospitato dall’ing. Marino Bertolini che mette coraggiosamente a disposizione il suo appartamento in città, in via S. Tommaso Becket n.2, viene radiogoniometrato e gli uomini del famigerato maggiore delle S.S. italiane Mario Carità, capo della banda omonima che così triste ricordo ha lasciato nella città del Santo, vi irrompono. I partigiani si salvano da una uscita secondaria, ed i repubblichini trovano in casa solo una giovane signora (la moglie dell’ing. Bertolini) con il figlioletto, che, terrorizzata, chiede ed ottiene il permesso di uscire, permesso che le viene concesso di buon grado perché, pensano gli altri, è meglio aver libertà di movimento senza donne, bambini, ed i loro strilli, fra i piedi. Ed è così che la donna passa sotto il naso dei fascisti spingendo la carrozzina con sopra il bimbo adagiato sul materassino sotto il quale “Margot”, prima di tagliare la corda, d’accordo con la coraggiosa signora, aveva nascosto la sua piccola radiotrasmittente che fu così salva e continuò a svolgere la sua preziosa attività.
Ecco perché l’attestato dell’O.S.S. evidenzia “il coraggio e l’intelligenza” di Dario Leli riconoscendo che “la sua prima preoccupazione era di salvare gli apparati e garantire la continuità del servizio”.
Ora i figli Gemma, Claudio e Giacomo Leli custodiscono gelosamente questo prezioso reperto assieme ad altri documenti e foto del loro padre Dario, Sottocapo r.t. della Marina imbarcato sul sommergibile “Sirena”, il mitico “Margot” della Resistenza Italiana.