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La beffa di “Margot”

Nella lotta di liberazione italiana grande importanza ebbero le “Missioni Militari”, gruppi di combattenti addestrati alla lotta partigiana che, dal sud Italia liberato, venivano paracadutati o sbarcati via mare nel territorio italiano ancora occupato dai nazifascisti per prestare assistenza alle formazioni partigiane talora poco addestrate militarmente, e fornire informazioni ai comandi alleati sui movimenti, sulla consistenza e quant’altro dei nazifascisti che occupavano il nord-Italia.
Esse erano normalmente composte da un comandante, un interprete, un radiotelegrafista ed un armiere incaricato di addestrare i partigiani all’uso delle nuove armi che erano loro paracadutate.
Nel Veneto operò la “Missione Hollis Margot” dipendente dal O.S.S. (l’americano Office Of Strategic Service) che, considerata dai comandi alleati “una delle più importanti del nord Italia”, era una delle poche composte esclusivamente da italiani, con a capo l’ing. Pietro Ferraro di Venezia (“Antonio”), un industriale che non esitò a mettere in pericolo la sua vita ed i suoi interessi per la liberazione d’Italia.
Il radiotelegrafista della Hollis e braccio destro di Ferraro era il ventunenne marinaio Dario Leli che, dotato di una intelligenza e di un coraggio eccezionali che gli valsero la medaglia d’argento, assunse il nome di battaglia “Margot”. La sua spiccata personalità è attestata da un episodio toccante (per il quale fu decorato con un’altra medaglia di bronzo) allorché, imbarcato come sottocapo radiotelegrafista sul sommergibile “Sirena” alla fonda nella grande base navale italiana della Maddalena (Sardegna), il 10 aprile 1943 fu coinvolto nel bombardamento di 60 fortezze volanti americane che devastarono la base.
Terminato l’inferno, dal quale esce miracolosamente illeso, intravvede fra i feriti, sanguinante, il Tenente di Vascello Luciano Garofani, il “suo” comandante del “Sirena” (che pure era rimasto danneggiato).
Resosi conto della gravità delle sue ferite, decide di portarlo all’ospedale militare distante mezzo chilometro: ma come? Intravvede una carriola, vi carica il ferito e, raggiunto l’ospedale ove regna il caos, gli dicono di mettersi in coda dietro altri feriti. Viste le gravi condizioni del suo comandante, non esita: non visto, sfila al ferito la giacca, la indossa e, fingendosi il superiore di un suo marinaio ferito, con l’autorità delle stellette riesce a convincere gli infermieri a portarlo in sala operatoria ove gli salveranno la vita.
Dopo l’8 settembre, riesce fortunosamente a raggiungere il sud-Italia già liberato dagli alleati ove viene opportunamente addestrato e quindi paracadutato in Veneto assieme al comandante “Antonio” con la sua preziosa radio-trasmittente che inizia immediatamente il suo lavoro. La “Hollis Margot”, durante i suoi frequenti spostamenti per sfuggire alla caccia serrata dei nazifascisti, fu attiva anche a Padova ove ebbe valorosi collaboratori.
Fra questi il giovane dr. Luigi Amati residente in città in via Risorgimento n.10 e poi in via Savonarola il quale, dopo aver rinunciato al suo lavoro di inventore e tecnico nel campo delle materie plastiche, organizzò, correndo mille pericoli, il funzionamento tecnico delle radio trasmittenti della Missione nel Bellunese e nelle zone di Venezia e Padova.
Va ricordata, in particolare, l’attività svolta in Provincia di Treviso a favore delle formazioni partigiane del Grappa dal quale la “Hollis” stabilì i collegamenti necessari per i lanci alleati di armi, viveri e denaro necessari per la loro sopravvivenza.
Amati provvide a tutte le riparazioni, al trasporto dei materiali, procurò i pezzi di ricambio – la cosa più difficile da trovare – fece tutte le prove necessarie per il buon funzionamento delle radio, insomma, scrive il comandante “Antonio” in una sua relazione, “senza di lui avrei trasmesso la metà delle mie trasmissioni”.
Da ricordare poi Tranquillo Ugolani da Camposampiero che descrisse esattamente i depositi di munizioni tedeschi a Rossano e Noale poi distrutti dalle bombe alleate a seguito delle precise informazioni da lui fornite.
Punto d’incontro clandestino fu a Padova la trattoria “dell’Alpino” in via Savonarola, e per un certo periodo “Margot” e la sua radio furono coraggiosamente ospitati nell’appartamento in via S. Tommaso Becket n. 2 dall’ing. Marino Bertolini, già tenente del genio che dopo l’8 settembre 1943, in servizio a S. Maria Capuavetere, era sfuggito ai tedeschi evitando che le armi del reparto cadessero nelle loro mani, e riuscendo a portare in salvo i soldati che a lui si erano affidati.
Ma la radiotrasmittente viene radiogonometrata, dalla vicina, trista sede di via S. Francesco, dagli uomini della banda del famigerato maggiore delle SS italiane Mario Carità – che così triste ricordo ha lasciato nella città del Santo – e la casa è circondata.
“Margot” riesce a fuggire da un’uscita d’emergenza e quando i repubblichini irrompono nell’appartamento si trovano di fronte ad una giovane signora (la moglie dell’Ing. Bertolini) che, terrorizzata, stringendosi al petto il figlio neonato, invoca il permesso, che le viene accordato di buon grado, di uscire per raggiungere i suoi genitori.
E’ meglio, pensano gli altri, aver libertà di movimento senza donne, bambini ed i loro strilli, fra i piedi. Ed è così che la donna passa sotto il naso dei fascisti spingendo la carrozzina con sopra il figlioletto di 10 mesi adagiato sul materassino sotto il quale “Margot”, prima di tagliare la corda, d’accordo con la coraggiosa signora, aveva nascosto la sua piccola radiotrasmittente che fu così salva e continuò a svolgere la sua preziosa attività. Ecco perché l’attestato rilasciato dall’O.S.S. a Dario Leli “Margot” alla fine della guerra ne evidenzia “il coraggio e l’intelligenza” riconoscendo che “la sua prima preoccupazione fu di salvare gli apparati e garantire la continuità del servizio”.
E da quella piccola radio “Margot” non si volle separare mai, tirandosela dietro, terminata la bufera, fino a casa ove il figlio Claudio Leli la custodisce ancora, gelosamente, come un tesoro.

Giovanni Zannini