10 settembre 1943
Alla luce di queste considerazioni, la preoccupazione di Brivonesi del 10 mattina per far rispettare assolutamente l’impegno preso, le visite fatte accompagnato dal comandante tedesco, le umiliazioni ricevute, risultano grottesche. Si rendeva perfettamente conto del profondo disagio dei suoi e in una relazione, parlando dell’incidente della motozattera sulla quale viaggiava Unueus che fu colpita dal fuoco italiano annotava: “Questo incidente ha aumentato la tensione dovuta agli avvenimenti del giorno precedente ed alla voce che si era diffusa fra il personale della privazione della libertà di movimento agli ammiragli e agli Ufficiali del Comando”. Probabilmente, ad una rilettura, gli sembrò eccessivo parlare di privazione di libertà e corresse, a penna nel suo dattiloscritto e poi nella redazione ufficiale la parola con limitazione. La consapevolezza della situazione incandescente lo spinse a visitare personalmente molte postazioni per invitare alla calma e ribadire l’ordine di non sparare: ma oltre al suo fedele autista Faggiani sulla 1100 coloniale c’era come controllore attento, il comandante tedesco con i suoi sottordini armati. Perciò le visite dell’ammiraglio furono, per la maggior parte degli italiani, una farsa; al Gruppo Centro e al forte Camicia, dove si erano verificati i fatti del 9 mattina, l’emozione per il sacrificio dei due marinai era ancora forte e la calma solo un’apparenza. Al comandante del Deposito cosi come a quello della caserma Regina Elena, egli disse che gli avvenimenti del giorno prima dovevano essere considerati come frutto di un malinteso e che, se si fossero verificati ancora atti ostili, li avrebbe ritenuti personalmente responsabili.
A Nido d’Aquila trovò un’accoglienza brusca; sul muro marinai armati, il portone sbarrato dal camion con la mitragliera, a riceverlo una guardia di militari e civili militarizzati maddalenini (Gulio Bartolozzi, Mario Carola, Vittorio Longo, Pippotto Cianchetti e Tore Brundu). Il tono col quale i nuovi arrivati furono invitati a lasciare la macchina e avanzare a piedi era teso, così come la conversazione che, sempre all’esterno dell’opera, fu intavolata fra Brivonesi e il comandante della batteria: questi obiettò chiaramente all’ammiraglio di non poter prendere ordini da un prigioniero e l’altro dovette dare la sua parola che le sue decisioni non erano frutto di impedimento e ribadivo la sua parola che le sue decisioni non erano frutto di impedimento e ribadiva la necessità di lasciar passare indisturbati gli ex alleati. Nel frattempo un soldato tedesco, accorgendosi dell’atteggiamento marcatamente ostile di un marinaio che pareva puntare la sua arma contro il gruppo, ne avvertiva il suo superiore e questi l’ammiraglio. Il comandante della batteria interveniva pacatamente a calmare gli animi eccitati, mentre la tensione diminuiva, ma con brusii e fischi di malcontento.
Un tragico avvenimento senza apparente spiegazione seguì dopo qualche ora: il tenente di artiglieria Arturo Valentini si uccise. Valentini era un avvocato, poco più che trentenne, non era e non voleva essere un sodato. Nell’archivio dell’Ospedale Militare una cartella clinica a suo nome denuncia uno stato di malessere provocato, o acuito, dalla guerra. L’ufficiale medico della batteria di Nido d’Aquila, Enzo Fanini, aveva annotato: “Durante il fuoco e dopo che alcuni colpi di cannone erano arrivati sulla sua linea dei pezzi, ha cominciato a dare segni di alienazione mentale con ragionamenti anormali tra cui voleva farsi ammazzare da un amico con la pistola sua. Dopo essersi calmato, ha pranzato, poi ha perso la coscienza e non fa altro che grida inconsulte e movimenti incongrui e violenti. E’ stato cinque mesi fa visitato all’ospedale dove gli è stata riscontrata psicoastenia. Ho dovuto visitarlo un paio di volte da un mese a questa parte e ho riscontrato lieve alterazione mentale. Ho praticato iniezione di morfina”. La diagnosi dell’Ospedale Militare parla di “ragioni contingenti di spiccata emotività bellica” che avevano provocato un “episodio con le caratteristiche …. di smarrimento, disordine, fobia, ricerca istintiva di rifugio ecc. Si è calmato dopo poche ore e rientra al corpo”. Di questo episodio parla anche don Capula evidenziando lo smarrimento di quei giorni: “Il tenente Valentini, comandante di Nido d’Aquila, si è recato all’ospedale militare in stato di confusione e eccitazione per gli avvenimenti e la situazione del momento, ma non per chiedere esoneri dal servizio. Il direttore dell’Ospedale lo ha aggredito dandogli del vigliacco. Ritornato alla batteria si è ucciso nella riservetta sottostante la postazione dei cannoni”.
Brivonesi, intanto, al ritorno da Nido d’Aquila aveva dovuto registrare un’altra umiliazione: la sua macchina fu fermata al posto di blocco tedesco a Cala Gavetta e l’ordine di proseguire fu dato non da lui, ma dal suo nemico-protettore. E’ chiaro che fino a questo momento i tedeschi erano soddisfatti dello svolgersi degli avvenimenti: per condurre con rapidità le operazioni di trasferimento dovevano evitare i conflitti a fuoco e assicurarsi la neutralità del maggior numero possibile di batterie. Bisognava perciò mantenere la calma a tutti i livelli ed evitare che qualche incidente scatenasse reazioni da entrambe le parti. La mattina uno di questi “incidenti” era toccato proprio a Uneus, salvatosi a nuoto insieme ai suoi dall’affondamento della motozattera che lo portava a Palau; una batteria, probabilmente Nido d’Aquila, aveva sparato “per errore” secondo la versione ufficiale.
Da parte italiana la ormai cronica interruzione delle comunicazioni rendeva difficile l’informazione e, in certe postazioni, le notizie arrivavano attraverso gli incaricati dei rifornimenti che avevano modo di incontrare i loro colleghi scambiando impressioni e commenti. Anche alcuni soldati tedeschi parlavano volentieri con i loro ex commilitoni italiani affermando che la loro presenza era di breve durata e che sarebbero al più presto partiti. A volte questi strani dialoghi, sintomatici di una situazione fuori dell’ordinario, avvenivano tra militari dei due opposti schieramenti tanto vicini, come quelli di Regina Elena e Isola Chiesa, che dalla finestra della camerata dei soldati il comandante italiano poteva parlare col sottufficiale tedesco che bazzicava lì intorno e che spiegava che il loro ruolo era solo quello di proteggere la ritirata in Corsica. Ma altri, comprensibilmente esacerbati, non nascondevano i loro sentimenti verso “l’italiano traditore”.
Solo alle 17,15, dopo l’inevitabile confusione creata dal bombardamento sull’arcipelago e che aveva messo a dura prova uomini e mezzi della regia Marina e non solo, nave Gorizia per conto del Comandante della III Divisione Navale, amm. div. Angelo Parona, riusciva ad inviare il primo messaggio informativo a SUPERMARINA di Roma che, immediatamente, lo girò a MARIPERS, a MARICOST ed all’Ufficio Naviglio. Stesso procedimento fu attuato per gli altri due messaggio che nave Gorizia, sempre per conto del Comando della III Divisione Navale, inviò a SUPERMARINA alle ore 21,05, in prosecuzione di questo e con maggiori dettagli sui danni subiti.
Si ringrazia l’Ufficio storico della Marina militare, nel cui archivio sotto la dicitura “Attacco alle Basi” è conservato il documento che proponiamo alla Vs. attenzione.
Il secondo messaggio dell’attacco fu inviato alle ore 19,05 del 10 aprile dal Comando Marina Maddalena a Supermarina-Roma.
Giovanna Sotgiu – Co.Ri.S.Ma
- Premessa di Settembre 1943 a La Maddalena
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- Il 1943, l’anno della fame e della paura
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