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Giuseppe Cianchetti – Pippotto il sovietico

“Signori, avete di fronte l’ultimo comunista vivente”: attacca Pippotto il “sovietico”. Lui si definisce in questo modo. E’ il compagno che discende da una schiatta autentica. Vive la battaglia. Si consuma nella difesa degli ultimi.
Pippotto è “sovietico, ma, forse, nella patria del collettivismo non ci ha mai messo piede in ottanta anni e più di vita. Se lo ha fatto, visto che qualche viaggio all’estero se lo è concesso, è stato solo per turismo.
“Nella storia si contano solo quattro comunisti: Stalin, Mao Tse Dong, Ho Chi Min e Pippotto”: ci spiega. Lui è nato lo stesso giorno, lo stesso mese e lo stesso anno di Fidel Castro: 13 agosto 1926. Insomma, era un predestinato.
Lo incrociamo a Caprera, mentre passeggia tra i pini secolari. La “location” è spettacolare. Unica.
A poche centinaia di metri dal luogo del nostro casuale incontro si trova la casa di Garibaldi. Ci sembra strano che Pippotto non abbia considerato l’emancipatore dei popoli oppressi tra i suoi sodali di “stirpe reale”, degni della maestà della falce e del martello.
“Ma chi ti credi d’essere Pippò ? ”: gli replichiamo. “Io sì, amo Stalin, il baffone, lui teneva davvero al popolo”: discorso chiuso. Incalziamo: “Vabbé: l’appellativo di “bolscevico”, di “sovietico” o di nostalgico “dalla parte giusta”, ormai disilluso e rassegnato, ti è stato affibbiato, caro Giuseppe Cianchetti, da Ermanno Giua, l’avvocato calangianese che fu consigliere regionale del PCI. Con gli sfottò e con le battute concepite davanti ad un caffé o un aperitivo nella vecchia Piazza Rossa (sic!), quella maddalenina però, è nata ed è fiorita la tua leggenda”- cerchiamo di conquistarci l’ultima parola. Pippotto è un osso duro. Il suo navigare controcorrente lo porta verso la dissacrazione. Crolla il mito per antonomasia: Enrico Berlinguer non era comunista? “Non era comunista! Cosa voleva dire “compromesso storico”? Il comunismo è l’antitesi del capitalismo, non può esservi mai compromesso fra i due sistemi…”. Vuoi vedere che ha ragione! Pippotto potrà anche non essere “l’ultimo comunista vivente” ma, per noi, resta il più simpatico. Lunga vita a Pippotto!
Quando è ragazzo, il federale del Fascio tenta di imporgli la divisa da balilla.
Lui sferra un calcio dove non ci batte mai il sole al federale, che vuole farlo arrestare.
La madre, poveretta, deve intercedere perchè non lo prendano e non lo mettano in galera, sa di che pasta era fatto e quale è la sua strada, politicamente parlando.

Cambiamo argomento. “Lo sai Pippotto che, insieme con un collega, ho pubblicato un libro sui licenziamenti degli operai comunisti, nell’Arsenale degli anni Cinquanta…”
Chiarisce: “I compagni dell’Arsenale militare facevano propaganda e giravano con l’Unità all’interno dello stabilimento. Si comportavano in maniera imprudente… Avete famiglia, state rischiando- dicevamo noi che lottavamo nelle piazze. Limitatevi a votare per il PCI, non esponetevi… Le battaglie lasciatele fare a noi che siamo fuori, e ci fanno un baffo. Loro no…”
“Raccontaci di quando, durante la seconda guerra mondiale, eri stato destinato alla batteria di Nido d’Aquila, dovrai averne viste di cotte e di crude…”
Ci pensa un poco, Pippotto. Dopo avere operato un’appropriata scelta fra i ricordi, rovistando nello scrigno della memoria, racconta alcuni episodi indicativi, della storia isolana dopo l’8 settembre del 1943, e li commenta secondo la sua personalissima logica, di uomo del popolo. “La storia, se dovessimo dire tutta la verità…”. La storia e le vicende, grandi e minute: “ L’Ammiraglio Bruno Brivonesi, il comandante di Marisardegna, si presentò a Nido d’Aquila insieme con un colonnello tedesco. Un soldato, anch’egli tedesco, lo teneva sotto tiro con un’arma puntata alla schiena. “ Spariamo” – mi disse un compagno militarizzato come me- “sei pazzo!”: risposi. Vi do la mia parola d’onore che non sono prigioniero”- con queste parole l’ammiraglio cercò di convincerci a “riporre le armi” Rifiutammo ….
Avevamo l’ordine di fare passare i tedeschi che navigavano verso la Corsica … Se avessero cambiato rotta e si fossero diretti verso La Maddalena, eravamo obbligati a sparare. Una motozattera puntava verso Tegge… abbiamo sparato, è esplosa, era zeppa d’armi e di munizioni… I tedeschi non avevano avuto intenzioni pacifiche”.
Altro racconto scombinato della “guerra di Pippotto”: “Io e Tore Brundu, da Nido d’Aquila andammo a prendere le munizioni. Avevamo diciotto anni entrambi ed eravamo incoscienti… Dovevamo arrivare in Arsenale, sistemati nel cassone di un camion militare. Incontrammo i tedeschi in Piazza Comando: Altolà!. Teniamoci per mano Tò, così saliamo in cielo insieme, ci dicemmo, dandoci conforto a vicenda. Ci fecero passare e la scampammo.
Un giorno arrivò a Nido d’Aquila Adelaide la gobbetta, quella che vendeva frutta e verdura in un banco del mercato civico. Aveva una valigia più grande di lei, era buffa. Ci chiese di ospitarla nella batteria perché aveva paura: anni bumbardatu u marcatu-ci disse”.
“E’ vero che eri amico di monsignor Salvatore Capula? Ma come! Tu. Comunista sfegatato”.
“Rivendico la mia amicizia con don Capula- afferma “il sovietico”- E’ durata tutta la vita, anche se avevamo una visione del mondo diametralmente opposta. Mi mandava sempre a chiamare e conversavamo amabilmente, affrontando tanti argomenti. Spesso ci trovavamo d’accordo. Monsignore mi cercò e mi volle parlare anche pochi giorni prima che morisse”.

Tore Abate