28 aprile 1794 – Sa die de sa Sardigna
L’ufficiale nizzardo Marliè de Chevillard, giunto a La Maddalena verso la fine del 1793 per sostituire il cavalier De Costantin al comando del Regio armamento, non supponeva certamente che nel corso dell’anno successivo avrebbe avuto occasione di coprirsi di gloria, riportando una memorabile vittoria contro i barbareschi, ma non immaginava neppure di dover divenire protagonista di una singolare presa di posizione che per poco non sfociò in una “guerra civile” e che avrebbe avuto come conseguenza il suo definitivo allontanamento dalla Sardegna.
Il fallito tentativo di conquista della Sardegna, con l’attacco al nord delle isole dell’arcipelago con la flottiglia gallo-corsa del generale Colonna Cesari e al sud con il grosso della flotta francese comandata dal contrammiraglio Jean-François Laurent Truget, se da un canto aveva dato conferma della fedeltà ai Savoia dei popolatori corsi che costituivano la giovane comunità maddalenina, dall’altro aveva acceso nei cagliaritani l’insoddisfazione per gli scarsi riconoscimenti ricevuti e per il fatto che alla corte viceregia impiegati e funzionari piemontesi, dopo essere rimasti inattivi ed aver tenuto in quell’occasione un atteggiamento irresponsabile, si attribuissero ora alle spalle dei sardi onori, glorie e ricompense.
Il malcontento popolare cominciò a manifestarsi immediatamente: alla fine di febbraio gli abitanti di Gesturi chiesero che in riconoscimento della partecipazione alla difesa di Cagliari venisse loro concessa l’esenzione dal pagamento del regio donativo e ai primi di marzo i consigli comunitativi del Goceano, regione dalla quale era accorso un gran numero di volontari, chiesero un ridimensionamento dei tributi baronali. Tumulti e agitazioni esplosero poi in Anglona e nel Sassarese ed in particolare a Ittiri, Uri, Sennori, Sorso, Ploaghe e Osilo.
La vera rivolta, tuttavia, non fu quella del popolo, ma più segnatamente del ceto borghese e nobiliare sardo da sempre escluso dalle cariche pubbliche a seguito della piemontesizzazione degli impieghi a suo tempo instaurata dal Bogino e che vedeva ora nel malcontento popolare la comparsa di un sentimento nazionale sardo e l’opportunità di poter spezzare il monopolio assunto dai funzionari d’oltremare. Non era più accettabile che i giovani che si laureavano nelle due università isolane non trovassero poi accesso agli uffici pubblici ed era poi intollerabile che il viceré Balbiano, dopo tante incertezze e titubanze, vantasse ora i maggiori meriti per il successo riportato dai sardi contro i francesi.
Scrive a tal proposito Federico Francioni:
“L’indecoroso spettacolo offerto dal viceré Vincenzo Balbiano – che sembrava volesse consegnare la Sardegna al nemico ed era stato perciò sospettato di tradimento – e dagli stessi militari piemontesi e savoiardi di stanza nell’isola, finisce per esarcebare e galvanizare, in alcuni esponenti del ceto borghese e nobiliare, la volontà di battersi. Nel vuoto desolante ed incredibile (per un momento così drammatico) di indicazioni e direttive da parte del potere regio e viceregio, essi intravedono una formidabile occasione per affermare le proprie capacità e quindi un’esigenza di vera e propria autonomia”.
I tre Stamenti, militare, ecclesiastico e reale, composti da feudatari, da nobili e cavalieri, dai vertici del clero e dai rappresentanti delle città avanzarono alla corte di Torino le famose “cinque domande” con le quali chiedevano l’accesso alle cariche pubbliche, la ripresa della convocazione decennale del Parlamento, la riconferma delle “leggi fondamentali”, la creazione a Cagliari di un Consiglio di Stato composto da “naturali sardi” e l’istituzione a Torino di un ministero per gli affari della Sardegna.
Il rigetto delle cinque domande ed il trattamento, non certo cordiale, ricevuto dalla delegazione sarda che era andata a proporle nella capitale piemontese accelerò il vasto movimento già in atto e già organizzato dal ceto cagliaritano delle professioni di intesa con i Gremi. La rivolta, preparata per il 4 maggio, giorno della ricorrenza di Sant’Efisio, scoppiò invece improvvisa e spontanea il 28 aprile a seguito dell’arresto degli avvocati Vincenzo Cabras e Bernardo Pintor, raggiunti dai soldati a seguito di una delazione. Viceré e funzionari piemontesi, fatti prigionieri e rinchiusi nei conventi, ricevettero dunque lo “scommiato” e pochi giorni dopo, accompagnati dallo scherno e dai lazzi del popolo, furono imbarcati su una nave con l’ordine per il comandante di porsi alla vela sulla rotta di Livorno senza fare alcuno scalo.
Balbiano e la sua corte, con al seguito il generale delle armi La Flechere e il maggiore Lunel, pur facendo poi proseguire per Livorno il grosso delle famiglie piemontesi cacciate da Cagliari, fece invece scalo a La Maddalena ove, sapendo di poter contare sulla fedeltà degli isolani e sull’appoggio del De Chevillard, volle gettare le basi di un tentativo controrivoluzionario che avrebbe dovuto restaurarlo nel seggio viceregale. Nell’isola Balbiano venne poi raggiunto dal governatore di Sassari Merli anche lui cacciato dalla capitale del capo di sopra. I maddalenini, ormai quasi tutti al servizio della Marina e dediti ai primi traffici commerciali, leciti e illeciti, nei quali si scoprì poi che gran parte aveva avuto lo stesso De Chevillard, erano stati gratificati nel 1793 di glorie e onori ed erano ora in attesa di ulteriori ricompense per l’impresa compiuta in gennaio contro i barbareschi. De Chevillard, sin da suo arrivo a La Maddalena, aveva dato nuovo impulso alla comunità attivando le ronde marittime e avviando lavori pubblici, riscattando così gli isolani, che erano chiamati a parteciparvi, da quella grama vita di pastori che avevano vissuto in passato. Nell’isola dunque, dove non esistevano feudatari, nobili, cavalieri e prelati e dove il ceto mercantile appena nascente non si era consolidato in una vera e propria classe borghese, non c’erano gli stessi motivi di rancore che avevano acceso l’animo dei cagliaritani. Quando poi arrivò la notizia che il Magistrato della Reale udienza, come primo provvedimento, aveva ordinato di sospendere i lavori di costruzione del nuovo molo e la cessazione delle forniture che in quel momento venivano fatte ai rivoluzionari paolisti e agli inglesi accorsi in loro appoggio, i motivi di risentimento nei confronti del nuovo governo si accesero maggiormente non solo a La Maddalena, ma anche nella vicina Gallura che costituiva la fonte del bestiame e delle derrate destinati ai commerci con la Corsica.
Balbiano trovò dunque nell’isola e nella Gallura tutte le condizioni favorevoli per essere bene accolto ed avere ogni appoggio. La posizione assunta dal De Chevillard, prima ancora che il 12 aprile giungesse Balbiano a La Maddalena, si era chiaramente manifestata sin dalle prime avvisaglie rivoluzionarie giunte da Cagliari. Invitato da Tempio da don Gavino Agostino Valentino, tramite il signor Morino, a consegnare il ricavato delle prede in suo possesso, del quale spettava una percentuale agli equipaggi del regio armamento, dopo aver in un primo tempo aderito alla richiesta, decideva di ritenere la somma giustificando i motivi del rifiuto e manifestando il suo incondizionato lealismo con una dura dichiarazione stilata il 7 maggio:
“Volevo con questa mia sottomissione ad un ordine bensì non legale, ma trasmesso da persona rispettabile com’è don Valentino, dar prova del mio desiderio di concorrere a tutto quello che mi veniva suggerito in esecuzione degli ordini del governo. Ma avendo ben presto avuto la funesta e inaspettata notizia che una moltitudine di faziosi aveva ardito mettere in arresto il rappresentante del nostro augusto monarca, S.E. il viceré e tutti gli altri impiegati ed agenti del governo, non ho pouto dissimularmi l’illegalità della remissione fattami dal signor Morino. Quel denaro appartiene parte a S.M. e parte a equipaggi del regio armamento, e dovendo io invigilare alla conservazione delle proprietà del sovrano ed a quelle dei miei subordinati, sarei sommamente colpevole e indegno della confidenza del governo e della stima degli uomini onesti ed onorati, se mancando a’ miei essenziali doveri io consentissi l’asportazione di detta somma. Essa sarà in più sicurezza in un luogo ove la totalità degli abitanti protesta unanimemente di vivere e morire per il nostro augusto monarca, che in un altro ove una partita di buoni e fedeli cittadini è stata costretta da una folla d’insensati a mancar così gravemente al migliore fra tutti i re, e il più degno d’esser amato.
Sono certo che il maggior numero dei sardi proveran anche questi dolorosi sentimenti, ed ho la più viva speranza che la totalità della nazione non vorrà dimenticarsi di quella generosità e fedeltà di cui essa s’onora non meno che dell’amore che li porta il nostro benefico monarca. In conseguenza non dubito che aprendo gli occhi sull’abisso che si va preparando, la buona e fedele partita del popolo sardo saprà riconoscere i loro falli ai fautori della funesta giornata de’ 28 passato aprile, e li spingeranno a raccorrere alla tanto conosciuta clemenza e bontà dell’augusto Vittorio Amedeo, quel padre de’ suoi popoli e del quale l’ottimo cuore non merita simili disgusti”.
Intensi furono in quei giorni i preparativi e le trame ordite per sollevare galluresi alla controrivolta. Balbiano e i suoi fidi, riuniti in permanenza nella casa di Agostino Millelire ricevettero i tempiesi che facevano capo al gruppo di potere del canonico Spano e del reggidore feudale avvocato Antonio Azara; fra Tempio e La Maddalena fu un continuo via vai di emissari sempre tenuto sotto controllo dal delegato di giustizia Antonio Scarpinati che con un gruppo di cavalieri tempiesi appoggiava l’azione del consiglio comunitativo schieratosi a favore del nuovo governo. Giunsero poi a Tempio, a dar manforte allo Scarpinati l’avvocato Giovanni Onnis e il notaio Giovanni Battista Lostia, inviati da Sassari su espresso incarico della Reale Udienza.
Il 19 maggio l’avvocato Scarpinati, tra l’altro, scriveva:
“E’ fuor di dubbio che già il viceré Balbiano e governatore Merli col generale La Flechere si trovino con alcuni del loro seguito nell’Isola della Maddalena. Che pure vi sia arrivata la regia fregata, la quale è in crociera in quei mari attendendo alcune navi inglesi, e più di tutte la speronara di Livorno. Vi si trova la polacca col viceré e generale da domenica giorno 12 corrente, ed ignoro il dì certo in cui vi sia arrivato il governatore”.
Scarpinati, che evidentemente ignorava che la fregata, comandata dall’inglese Ross, unitamente alla mezza galera Santa Barbara, comandata da Vittorio Porcile, erano invece a Cagliari trattenute dalla Reale udienza e che la polacca del viceré aveva già fatto vela per Livorno, così proseguiva:
“Non si dice cosa di positivo sulle mire di questi signori in tal luogo. E’ però certo che sono andate al vice guardia reale della torre di Longone due lettere del cavaliere Chevillard, ed un ordine in scritto spedito a nome di S.E. per consegnare al comito Cesare Zonza, che padroneggia la goletta la Sultana, il prodotti di alcune sacche di formaggio che si spedirono… E’ certo che questi scorsi giorni arrivò in questa, spedito dalla Maddalena, un sacerdote Luca Demuro col pretesto di prendere oglio santo, costui portò una lettera al vicario generale. Oglio non ne prese come rilevai dal sacerdote di settimana, ed il giorno appresso di buon mattino ripartì per detto luogo. Il fratello del vicario, dottor Gavino Spano, ha parlato, per quel che mi si dice, alcuni armaroli, cercando canne di schioppi anche a dieci lire l’una.
Dopo la partenza del sacerdote Demuro, partirono da questo villaggio alcune cariche per detta isola, e dice che gliel’abbiano spedite detti Spano, anzi si dice che abbiano spedito gente al cammino che conduce all’Anglona per trovare viandanti che conducono grano e avviarli alla Maddalena. Quello che certo si è che da Luras è oggi giunto un maggiore lamentandosi che da esso villaggio se ne estrae grano, vino e farina e fino le ova toste, qual estrazione ha fatto colà alzare notabilmente il prezzo dei commestibili. E’ costante pure che vi sono vari isolani dispersi per gli ovili della marina comprando i montoni a due scudi l’uno, e seducendo i pastori a dichiararsi a favore del viceré che non pagheranno dritto alcuno”.
C’erano insomma in quei preparativi inequivocabili tutte le premesse e tutte le intenzioni per attuare un’azione controrivoluzionaria e accendere così una guerra civile. All’arrivo da Sassari di Onnis e Lostia, si passò subito al contrattacco. Su La Maddalena venne posto il totale embargo, sequestrate tutte le lettere ivi dirette e intercettato ogni rifornimento. Furono inoltre inviati ovunque emissari per svolgere una capillare azione di dissuasione presso tutti i pastori che erano stati contattati dai maddalenini e invitati ad arruolarsi col miraggio di privilegi e di esenzioni. La fregata inglese Alceste, il cui arrivo era stato millantato dal Balbiano, non giunse mai; gli inglesi, sebbene avessero preso segreti accordi con i quali avevano assicurato il loro appoggio, preferirono defilarsi.
Frattanto Vittorio Amedeo aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco riconoscendo alla Reale Udienza la potestà viceregia in via “interinale” e al Balbiano, privato così di ogni legittimazione e perentoriamente richiamato dal sovrano, non restò che far ritorno in patria abbandonando a se stessi De Chevillard e i maddalenini. Non mancò però il re di intercedere in favore del De Chevillard. L’11 giugno, difatti, preoccupato per la sorte del suo ufficiale, indirizzava alla Reale udienza le seguenti raccomandazioni
“Nobili Magnifici ed amati nostri,
…fummo informati non essere altrimenti eseguito, per causa dei venti, l’approdamento alle isole intermedie del bailo Balbiano ed altri soggetti che trovavansi imbarcati per terraferma; e su tale avviso, non meno che per le risoluzioni in cui intesimo che stesse per entrare il luogotenente di bordo cavalier di Chevillard, come quegli che non aveva ancora veritiere notizie del succeduto in Cagliari…
Abbiamo luogo a credere che …avrà esso ufficiale riconosciuto la legittimità degli ordini di codesto magistrato e che a quest’ora egli si sarà appligliato agli spedienti che alle circostanze si conveniranno.
Siccome però esso ufficiale non avrebbe altrimenti ostato agli ordini del magistrato fuorchè a motivi che ignorava le circostanze che lo autorizzavano a darglieli, e per altra parte è soggetto da noi molto considerato per zelo e valore di cui diede replicate prove in codesto regno contro i barbareschi, così siamo persuasi ed intendiano eziandio che, qualora scorgeste che il chiamarlo a Cagliari od il farlo passare in altra parte del regno fosse per esporlo a qualche sventura presso il popolo, avrete cura di ordinargli per preferenza di venirsene in terraferma, somministrandogli anche per tale oggetto i mezzi e le sicurezze necessarie”.
L’incauto De Chevillard, chiamato a Cagliari, seguì la stessa sorte degli altri piemontesi: messo agli arresti nel convento di San Francesco di Paola fu poi rispedito indenne al mittente. Per i maddalenini, coinvolti per facile entusiasmo e ingenuo lealismo in qualcosa che sarebbe stata più grande di loro, quel 28 aprile, assurto oggi, forse impropriamente, ad antesignano dell’autonomia isolana e celebrato annualmente come “Sa die de sa Sardigna”, fu invece come scrisse De Chevillard una “funesta giornata”. Ma ancora una volta l’oppurtunismo isolano del “Viva chi vince” ebbe il sopravvento; i maddalenini accettarono la nuova situazione e in quella confusa vicenda, come ha scritto Salvatore Sanna, rimasero “…testimoni incolpevoli e inconsapevoli di un momento importante della storia della Sardegna che non capirono e a cui parteciparono, però, con slancio generoso anche se dalla parte sbagliata”.