3 gennaio 1794 Combattimento contro i barbareschi
È stato uno degli episodi più importanti nella storia del contrasto ai barbareschi, sia per l’entità delle forze in campo che per la dinamica dello scontro, ma anche per le conseguenze. Entrambe le mezze galere sarde, con le due galeotte ed una gondola di supporto, nelle acque di nord ovest dell’arcipelago, ebbero uno scontro violento con cannoneggiamento reciproco ed assalti d’abbordaggio con due grossi sciabecchi barbareschi. Lo sciabecco più grande di ben 18 cannoni e 100 uomini d’equipaggio, l’altro di 12 cannoni e 96 uomini. L’armamento navale sardo era al comando di De Chevillard, che era anche comandante della Beata Margherita, mentre Vittorio Porcile comandava la Santa Barbara. Il grande sciabecco fu predato, ma il piccolo per sottrarlo alla cattura fu fatto esplodere, causando moltissimi feriti ed ustionati. Nel combattimento e per gli esiti delle ferite, ma soprattutto per le ustioni subite, morirono 14 sardo-piemontesi, ed un numero imprecisato di barbareschi. In un ospedale-quarantena, allestito nei vecchi magazzini dell’isola di Santo Stefano, vennero raccolti 60 feriti e grandi ustionati, sotto la cura dei chirurghi delle mezze galere e di una decina di donne maddalenine che si ritirarono in quarantena per assisterli. Qualche settimana dopo lo stesso comandante scriveva al viceré che: «abbiamo subito una grande perdita nella persona del nocchiere Lo Spasso che è appena spirato. La sua ferita era quasi guarita, ma lo aveva molto indebolito, ed in questo stato non ha potuto resistere alla febbre che lo ha assalito[…] egli fu ferito gia 7 anni or sono e fu decorato di una medaglia d’argento, e sebbene avesse un braccio fracassato non ha per nulla bbandonato il suo posto in quest’ultimo combattimento, anche se veniva esortato di farsi medicare mentre doveva soffrire di dolori lancinanti. Era il più anziano dei nostri bassi ufficiali, ed ora non abbiamo nessuno in grado di sostituirlo».
Il provvedimento delle ricompense reca la data del 18 marzo 1795. Si tratta quindi di un atto preso ad oltre un anno dagli avvenimenti, su cui intervenivano almeno due ordini di motivi. Il primo si riferiva ad una riserva della Corte torinese sulle modalità dell’erogazione delle ricompense stesse. Con il dispaccio al viceré del 5 febbraio 1794, il ministro Di Cravanzana, dopo aver espresso la grande soddisfazione per l’esito dello scontro, puntualizzava che «in ordine alle ricompense l’esperienza delle passate circostanze della difesa del regno avendo fatta conoscere necessaria una più prudente cautela nel dispensarle, onde ovviare in seguito alle inopportune rappresentanze ed alle soverchie pretese, S.M. ha perciò sospese le sue determinazioni a questo riguardo e prima di spiegarle vuole avere sott’occhio nota specifica de’ soggetti che si sono distinti, coll’indicazione de’ particolari fatti di ciascuno». Il secondo ordine di motivi si riferiva alla novità occorsa il 28 aprile di quell’anno, che ha determinato la crisi politica che ha condotto alla cacciata del viceré e dei piemontesi dalla Sardegna.
Il quadro delle ricompense, per quel che riguarda le decorazioni con medaglie al valore, ha una particolare importanza perché riguarda le prime medaglie assegnate secondo il nuovo “Regolamento”, ma ci interessa anche perché accredita la medaglia d’oro, sinora misconosciuta, al comandante della Sultana, che all’epoca era Cesare Zonza. Non meno importante è la indicazione della medaglia d’argento al secondo comito dal nome di guerra La Fedeltà, che altri documenti certificano trattarsi di Tomaso Zonza. Questi, successivamente, per errore di datazione sarà accreditato di una medaglia d’argento per i fatti del 1793, che invece andò a Cesare. Per la ricerca sinora eseguita nei fondi degli archivi storici, non è stato possibile individuare l’identità del timoniere La Speranza, anch’egli decorato di medaglia d’argento in questa occasione.