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Andare oltre il mare sognante

“Andare oltre il mare sognante”. Scritto nel 1944, questo verso appartiene a Franco Solinas. Il mare è quello dell’arcipelago maddalenino, il sogno riguarda l’attraversamento del Tirreno, luogo letterario per eccellenza di tanti scrittori sardi del Novecento, da Grazia Deledda a Sergio Atzeni. Ma per il diciassettenne Franco Solinas quel sogno si era già realizzato, sia pure per circostanze casuali.
Nato il 19 gennaio del 1927, aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza a La Maddalena, la nuova sede a cui il padre, ufficiale di Marina, era stato destinato. Poi, nel 1944, alla morte del genitore, tutta la famiglia si trasferì a Roma.
Franco s’iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza, lavora come operaio per mantenersi agli studi e partecipa come staffetta partigiana ad alcune azioni della resistenza romana e scrive poesie giovani contemplative e passionali, motivate da una sorta di contraddittoria nostalgia per una terra – non solo l’isola della sua giovinezza, ma l’intera Sardegna – nella quale, a dar retta a queste prime prove letterarie, si era sentito prigioniero nel corpo e nell’anima.
Due anni dopo, la scrittura diventa una professione; presa la tessera del Partito Comunista Italiano, collabora al quotidiano L’Unità in veste di vice critico cinematografico e contemporaneamente scrive racconti ed elzeviri, che, a partire dal 1950, vengono pubblicati su Paese Sera (Con quelle mani!, La chiromante e il destino, La finestra di Felicina, I dieci di Hollywood, Vergogna dei ricordi) e su Vie Nuove, Uno di loro). Un altro blocco di racconti – Stornelli all’osteria, Per un barile di vino, Ritorno in motozattera, Cacaspiagge, Quattro piani di scale, Un cane in chiesa – rimane inedito; un dato normale nell’apprendistato di uno scrittore. Ma in alcuni di questi testi si nasconde il legame mai interrotto con la propria terra. Difatti, se la sbronza colossale di “Per un barile di vino” entra di scorcio nella narrazione di Squarciò come un segno di appartenenza dei protagonisti ad un mondo di irregolari, di disperati e allegri ribaldi, in Cacaspiagge vi sono già due tra le principali figure dell’opera maggiore. Infine, l’insieme di questi scritti, ad esclusione degli elzeviri “Vergogna dei ricordi” e “I dieci di Hollywood”, e a prescindere dalle diversità dei temi o dallo stile e dalle forme, mostrano un modello di lavoro creativo che Solinas non rinnegherà mai, neanche quando la sua professione di sceneggiatore lo porterà ad affrontare temi certamente più complessi ed elaborati rispetto alle avventure picaresche dei suoi eroi maddalenini.
Ricordi personali, osservazioni che danno vita a scene di vita particolarmente vivaci, storie di gente comune; il primo bagaglio letterario di Solinas si appoggia facilmente al Neorealismo (e in Cacaspiagge vi è persino un involontario momento zavattiniano: il sogno di Gaspare, al quale un gabbiano rivela il nascondiglio di Squarciò), obbligatorio referente generazionale e politico. Il legame tra scrittori e cinema e già moneta corrente e due racconti (Uno di loro e Quattro piani di scale), potrebbero essere considerati già dei soggetti cinematografici.
Presuppongono, all’interno della loro asciuttezza – il rilievo vale soprattutto per il secondo – un possibile sviluppo narrativo che si discosta, dunque, dall’immondezza del bozzetto ambientale (La finestra di Celestina, Per un barile di vino, Cacaspiagge) o dai ritratti ironici e amarognoli dei personaggi di La chiromante e il destino e Con quelle mani.
Dal Neorealismo Solinas si distacca progressivamente – come altri protagonisti del cinema italiano degli anni Cinquanta – avendo in mente una sorta di ricomposizione narrativa che consenta al cinema di diventare il romanzo contemporaneo per eccellenza. Negli anni Settanta, in una delle rare interviste da lui concesse, dichiara: “Quando capii che il romanzo non era più importante, che la narrativa, in genere, non bastava più …. e mi rivolsi al film, non presi in considerazione la regia.
Ho scelto di fare lo sceneggiatore perché sono uno scrittore e mi piace scrivere.” Si può discutere a lungo sia sull’eclissi del romanzo (che in realtà il comunista Solinas giudicava semplicemente meno penetrante e popolare del cinema), sia soprattutto sui vantaggi economici che la professione di sceneggiatore, all’epoca, aveva rispetto a quella di scrittore. In realtà, nella sua carriera, il passaggio dalla letteratura al cinema è segnato dal recupero cinematografico proprio delle forme romanzesche otto/novecentesche.
Questo percorso è già evidentissimo in Squarciò, che arriva dopo un quinquennio di lavori cinematografici su commissione (quasi tutti in collaborazione con Ugo Pirro), nei quali si ritrova il mondo del Neorealismo popolare degli anni Cinquanta. Squarciò è invece un romanzo elaboratissimo, nel quale non esiste più, come in Cacaspiagge, un mitico e inafferrabile pescatore di frodo – uno dei tanti -, ma un vero eroe romantico, coraggioso e perdente, con una sua biografia precisa, un percorso a tappe che ricalca i celebri tre tempi sui quali si basa, normalmente, la fabula cinematografica: presentazione dei personaggi, rottura dell’equilibrio, scioglimento dell’intreccio. Invece del ricordo di sapore autobiografico, la vicenda aggancia la memoria collettiva, divenendo anche una sorta di percorso storico; il primo esempio di quel passaggio d’epoca che farà da sfondo a molti suoi copioni, ambientati in luoghi geografici e in tempi storici lontani anni luce dalla sua Sardegna.
Dopo Squarciò vi è un unico racconto, “Le pecore di Emiliano”, che spezza la continuità della carriera cinematografica dello scrittore maddalenino, dietro questo scritto, pubblicato su Il Contemporaneo nel 1959, vi è, secondo molti testimoni, ancora il cinema, ed in particolare l’ultimo progetto di un film sulla Sardegna. Solinas è ormai uno sceneggiatore affermatissimo; ha firmato una grossa produzione internazionale (Ombre bianche di Nicholas Ray), ha scritto Kapò per Gillo Pontecorvo, ha collaborato a Salvatore Giuliano di Rosi.
Soprattutto si appresta alla lunga avventura algerina, che si concluderà nel 1966 con La Battaglia di Algeri.
A quegli stessi anni risalgono alcuni appunti dattiloscritti in cui erano stati trascritti i ricordi dei lavoratori, ormai anziani, che parteciparono, a cavallo tra i due secoli, al traforo del Sempione; si tratta di scene di vita operaia, di storie tragiche di emigranti, ma soprattutto di biografie – o carte d’identità, come vengono chiamate dal suo collaboratore Giorgio Arlorio – che avrebbero potuto dar vita ad una narrazione, letteraria o cinematografica.
La raccolta di informazioni storiche, insomma, si sposa alla ricostruzione della realtà quotidiana e al ritratto biografico che mette in rilievo la credibilità esistenziale e la complessità dei personaggi, anche di quelli che s’identificavano nel polo negativo della dialettica storico-politica presente nelle sue sceneggiature. Le sintetiche biografie si ritroveranno nei due parà della prima sceneggiatura algerina, nel colonnello Matthieu e in Ali Le Point di La battaglia di Algeri, in William Walker di Queimada, nel Santore di L’Americano, nel comunista di Il sospetto, nell’ebrea di Hanna K. e sopratutto nel protagonista di Mr. Klein, inconsapevole vittima di un meccanismo di autodistruzione che lo condurrà a Auschwitz. Proprio di Mr Klein è reperibile il trattamento di Solinas, un vero e proprio racconto che mostra nuovamente un legame con quella vocazione letteraria rimossa o meglio introiettata dentro la scrittura cinematografica.
Lessico poetico-romanzesco, descrizioni accuratissime di fatti e ambienti, psicologie, sfumature coloristiche, saranno sempre presenti nei suoi copioni come un’autentica cifra stilistica, assai rata nella scrittura cinematografica. Proprio per queste caratteristiche fu considerato, in ambito europeo, come un vero autore di cinema, la cui carriera fu interrotta dalla prematura scomparsa, avvenuta a Roma il 14 settembre del 1982.
Joseph Losey, il regista di Mr. Klein – che lavorò anche successivamente con lo sceneggiatore sardo per un film sull’unificazione araba – ci ha lasciato il più sintetico e convincente elogio delle sue qualità di autore di cinema:
“Che cosa chiedi io ad uno scrittore? Chiedo sopratutto un testo che mi offra tutte le possibilità d’immaginazione che mi sono necessarie per lavorare al film; prima di iniziare la lavorazione discuto con l’autore della sceneggiatura ogni minino dettaglio, ogni scena, ogni battuta. Non modifico una virgola senza consultarmi con lui. Certo questo è possibile quando si lavora con scrittori come Pinter, Williams, Solinas.”

Gianni Tetti