Antonio Origoni
Nello spumoso arcipelago della Maddalena le piante vegetali intristiscono sotto la sferza implacabile del ponente; ma la pianta umana vi cresce rigogliosa di anima e di corpo. Le virtù del clima acre che martella le fibre, o della vita sobria e laboriosa o dell’ossigeno che si aspira a larga gola; certo è che nascono uomini dai muscoli di bronzo e dalle grandi audacie, ai quali la forza fisica e centuplicata nei pericolo, dalla valida destrezza e dal coraggio leonino. Figure Michelangiolesche foggiate a tempra dal maglio ligure sopra l’incudine sarda!
Degna di tanti codesti lupi di mare è il procelloso estuario maddalenino, costituito da un gruppo bizzarro di rupi e di irte balze brulle e ferrigne, in faccia alle Bocche di Bonifacio. E’ un ghiribizzo di natura meraviglioso.
Tra golfi intercomunicanti, simili a enormi tazze di verde antico, incastonati fra montagne rocciose; tre canali di ingresso, angusti e profondi, sbarrati da torpedini e vigilati da colossali artiglierie; un labirinto frastagliato di rade interne, di seni ricurvi, e di promontori aguzzi: ecco il famoso estuario, nel cui mezzo si specchia, candida e falcata come un diadema, la cittadella di Maddalena!
Nella sua storia appena bisecolare l’isola vanta pagine gloriose e uomini ferrei, quali gli Ornano, gli Zicavo, i Millelire, i Zonza, i Cuneo, e gli Origoni, nomi fiammeggianti nel libro d’oro dei fatti marittimi d’Italia.
La Maddalena è il vivaio dei nocchieri. “Di padre in figlio – dice l’ammiraglio Garelli, storico dell’isola – furono sempre fedeli e prodi marinari sulle navi sarde da guerra, e non pochi vi giunsero ai più alti gradi onorando se stessi e l’isola nativa. Anche oggi nei ruoli della nostra marina figurano numerosi i bravi figli dell’isola della Maddalena e vi prestano lodevoli e apprezzati servizi”.
Fra questi fortissimi navigatori di razza primeggiò Antonio Origoni. Arruolatosi mozzo, nella Real Marina Sarda all’età di dodici anni, l’Origoni partecipò a tutte le campagne di guerra, e in tutte si segnalò per incredibili atti di coraggio e di virtù militare. Fu a Sebastopoli, a Lissa, a Gaeta, ad Ancona, nell’Eritrea, dovunque. Veleggiò tutti gli oceani. Soldato invitto, marinaio esimio. Ebbe nel 1887 meritate spalline d’oro con la nomina a ufficiale nello stato maggiore dell’armata.
Da ultimo, comandò le navi addette al servizio dell’estuario, che l’Origoni conosceva palmo a palmo.
Si narrano di lui brillantissimi aneddoti giovanili, attestanti la simpatica bravura di questo manesco d’Artagnan della Marina Italiana.
Poco dopo la battaglia di Lissa (Ah, quella disfatta innominabile, quella pagina nera di imperizia, di codardia e di tradimento, che gli stava conficcata nel cuore come una spilla arroventata!) l’Origoni, trovandosi con la propria nave a Tolone, entrò una sera in una birreria, dove stavano gozzovigliando quindici o venti sottufficiali francesi. i quali, riconosciuti l’italiano, ordinarono, per ischerno, un bicchiere d’acqua di Lissa.
Non l’avessero mai detto! L’Origoni si avventò come una belva contro il gruppo degli insolenti: ne atterrò una mezza dozzina, e, dopo una terribile colluttazione, tutti gli altri mise in fuga, scornati e malconci. Il nostro Ercole ne uscì incolume.
Ma l’episodio più fulgido e cavalleresco è quello di Montevideo, che tuttora a La Maddalena si narra di bocca in bocca, rivestito ormai di luce leggendaria. Lo racconta in un suo scritto, che si produce testualmente, un commilitone testimonio oculare, il Cav. Luigi Alibertini.
“Antonio Origoni coltivò sempre con vero entusiasmo il sentimento di italianità; ed all’estero fu temuto da coloro che si permisero di insultare la patria. Goletta di Tunisi, Smirne e Salonicco insegnino; ma sopra tutto Montevideo, ove una parte di quella popolazione, che aveva aggredito e tolto la sciabola ad un giovane guardiamarina italiano (Luigi Palumbo, ammiraglio giubilato), fu dal solo Origoni, accorso inerme, respinta con stupefacente energia, riprendendo egli il ferro, che riconsegnò al suo superiore, e fugando quella turba violenta di assalitori, di cui non pochi rimasero abbattuti e feriti.
Sopraffatto dal numero, riportò anch’egli gravi ferite al petto, per cui dovette essere ricoverato per oltre due mesi in uno di quei prossimi ospedali. ove dai medici italiani fu amorevolmente e fraternamente assistito.
La nostra colonia gli affibbiò il nomignolo di “Piccolo Sansone”, e tutto l’equipaggio lo festeggiò solennemente al di lui ritorno a bordo.
Botte da orbi, senza mascella di somaro! L’arma dell’Origoni, formidabile come un castigo, ce l’aveva nascosta in un pugno.
Compiuta la sua gesta, oscuro ed obliato eroe, si ritrasse nella sua isola natale tutta profumata di mirto e di lentischio ad una esistenza umile e serena in attesa dell’estrema giornata.
Giuseppe Gotti