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Carlo Avegno

Nacque a Meina (Novara) il 6 giugno 1900. Allievo all’Accademia Navale di Livorno dal 30 settembre 1913, il 1° ottobre 1917 conseguì la nomina a Guardiamarina. Partecipò all’ultimo anno del primo conflitto mondiale imbarcato su unità di superficie e al conflitto italo-etiopico (1935-1936) su incrociatore. Dal 1937 al 1939 fu destinato presso il Comando Superiore in Africa settentrionale e all’inizio del secondo conflitto mondiale, nel grado di Capitano di Fregata, assunse il comando del cacciatorpediniere Corazziere con il quale partecipò a numerose missioni di guerra.

Promosso Capitano di Vascello il 12 novembre 1941, espletò l’incarico di Capo di Stato Maggiore presso il Comando Marina di Bengasi e di Tripoli, incarico che mantenne fino al ritiro totale delle Forze Armate italiane dall’Africa settentrionale nel maggio 1943. Nel giugno dello stesso anno assunse il Comando di Marina La Maddalena e l’8 settembre organizzò la resistenza armata, opponendosi arditamente ad un tentativo di sbarco da parte di superiori forze tedesche: nell’azione trovò gloriosa morte il giorno 13 settembre 1943.

La motivazione della Medaglia d’oro alla memoria (Avegno aveva già ricevuto una Medaglia d’argento, due di bronzo e due Croci di guerra) recita: “Ufficiale superiore di non comune valore, in guerra e in pace aveva sempre sollecitato l’onore degli incarichi più rischiosi e di maggiore responsabilità dando prova, sia a bordo che a terra, di eccezionali virtù militari e professionali, di consapevole audacia e di elevato spirito di abnegazione. In occasione del tentativo di occupazione di una base navale da parte di truppe tedesche, proditoriamente sbarcate, saputo che i comandanti in carica erano stati posti sotto controllo, organizzava con lo slancio che lo aveva sempre distinto i reparti disponibili per respingere l’avversario, ne prendeva il comando diretto e li conduceva all’azione. Là dove il combattimento si era acceso più violento, li trascinava all’assalto col suo esempio ed infliggeva all’avversario perdite tali da costringerlo alla resa. Colpito da una delle ultime raffiche di mitragliatrice chiudeva la sua nobile esistenza spesa per la grandezza della Patria“.

Il capitano Avegno, il Rosa e il tenente Valentini, eroi tanti anni dopo

La ribellione del capitano Carlo Avegno, comandante della caserma Faravelli, il quale con alcuni plotoni di soldati del 391° Battaglione Costiero e un plotone di Carabinieri dell’Arsenale si diressero verso Piazza Comando con l’intento di liberare gli ammiragli Bruno Brivonesi e Aristotile Bona fattisi arrestare, senza colpo ferire, insieme a diversi ufficiali, da alcuni plotoni di soldati tedeschi. Molti di quei militari, tra i quali lo stesso Avegno e il suo vice Veronesi, morirono in combattimento nella zona di Murticciola. Brivonesi e Bona, ostaggi di tedeschi vennero da loro portati nelle varie fortificazioni di Maddalena e Caprera per convincere i comandanti ad arrendersi. La maggior parte obbedirono.

Vogliamo ricordare anche due giovani militari che, nonostante le difficili circostanze, opposero un netto rifiuto, salvando l’onore loro e di tanti altri colleghi. Intanto ricordiamo il capitano dell’esercito Rosa, comandante della Batteria di Carlotto. Il 10 settembre si vide arrivare, prigioniero dei tedeschi, l’ammiraglio Brivonesi il quale gli ordinò di sospendere i cannoneggiamenti che stava effettuando contro le motozattere tedesche che trasportavano uomini e materiale verso la Corsica, navigando sotto Punta Sardegna o tra le isole di Maddalena e Spargi. Il capitano Rosa gli oppose un netto rifiuto e Brivonesi, Bona e i tedeschi andarono via.

Prima di giungere a Carlotto la ‘pattuglia’ italo-tedesca si era fermata sotto le mura di recinzione della Batteria di Nido d’Aquila, che era al comando del tenente dell’esercito Arturo Valentini, di 27 anni, batteria che i suoi potenti cannoni il giorno prima aveva affondato un’imbarcazione tedesca all’altezza dell’attuale Porto Rafael. Brivonesi e Bona parlarono a distanza, loro nello spiazzo davanti al cancello di ferro sprangato, con il comandante della Batteria, il tenente d’artiglieria Arturo Valentini, che rispose da dietro il cancello, al riparo, prudentemente, di alcuni sacchetti di sabbia. “Parlarono a lungo, e il tenente disse, rivolto a noi, che l’ammiraglio richiedeva il disarmo della batteria per evitare guai con i tedeschi. Quelle parole vennero coperte da una salva di fischi”. La testimonianza è Vittorio Longo, raccolta da Franco Nardini e pubblicata nel suo libro dal titolo ‘Storia e storie di un’isola in guerra, La Maddalena 1940-1946’ edito dall’Associazione Storica Sassarese. Longo era un operaio artigliere che lavorava presso l’Arsenale Militare, alcune officine del quale, dopo i bombardamenti e le distruzioni delle settimane precedenti erano state trasferite, in parte in quella Batteria e in parte a Cava Francese, requisita per ragioni belliche ai proprietari Grondona. Il tenente Valentini opponeva ai tedeschi un centinaio di uomini della sua Batteria e diverse decine di operai dell’Arsenale, anch’essi armati di fucili e di mitragliatrici, schierati in diverse postazioni e dietro le feritoie. “Indispettiti, i tedeschi rientrarono velocemente nella loro vettura e così gli ammiragli” scrive Nardini. “Il tenente Arturo Valentini fu trovato cadavere nel primo pomeriggio dentro la stalla degli asini, nella parte alta dell’opera”. Accanto a lui c’era la sua pistola d’ordinanza. La brevissima indagine attestò il suicidio.

Fu davvero un vero suicidio o venne da qualcuno assassinato per consentire che un nuovo comandante della batteria abbassasse, come in effetti avvenne, le armi contro i tedeschi? È psicologicamente plausibile che un ufficiale di così grande coraggio e di alta dignità, possa essersi suicidato nella stalla degli asini e non piuttosto, più dignitosamente, nel proprio alloggio?