La Maddalena AnticaTriennio rivoluzionario sardo

Condizioni generali dell’agricoltura: metodi di coltivazione e produzione granaria

Il quadro delle condizioni della Sardegna nei primi decenni del dominio piemontese non differisce molto da quello della fase di massima decadenza spagnola; sicuramente tra i fattori predominanti vi furono le intemperie climatiche e lo spopolamento.
Anche per colpa di una scarsa viabilità interna la popolazione era mal distribuita nel territorio sardo; per questo i terreni paludosi rimanevano spesso incolti.
I terreni messi a coltura erano quindi situati intorno ai centri abitati ma non erano sufficientemente sfruttati: la diffusa ignoranza, le tecniche arretrate e tradizionali, radicate nella mentalità contadina che rifiutava ogni contatto con la modernizzazione, erano la causa di tutto questo.
Nonostante si fosse diffuso l’eco dell’accurata propaganda di diffusione di nuovi metodi di coltura promossi dal Cossu, i contadini non dimostravano attaccamento alla terra e non riuscivano ad investire per mancanza di fondi.
Alcune relazioni dell’epoca fanno comprendere come la coltivazione del frumento, condotta ancora in Sardegna con metodi primordiali, risultasse scarsamente remunerativa: il terreno era preparato male, gli aratri erano troppo leggeri, il concime non era utilizzato.
Si riscontra anche una rudimentale aratura e trebbiatura perché i contadini erano privi d’adeguati macchinari di lavoro: solo al tempo del Cossu, il “macchinista” (cioè l’ingegnere) piemontese Ugo propose l’uso di macchine di legno e ferro per trebbiare il grano, ma furono suggerimenti che rimasero allo stato teorico.
I contadini che disponevano di vaste aree coltivabili adoperavano o la coltivazione a bedustu (si bruciava il campo nei primi giorni di settembre poi, con i venti, il terreno riusciva a ripulirsi e dopo un’adeguata aratura si seminava per raccogliere il grano ad agosto; questo sistema assicurava una buona percentuale del seminato ma non favoriva il bestiame privandolo di pascoli) o la semina a berenili (dopo che si seminava per un anno il terreno era lasciato a riposo per i successivi 24 mesi; in primavera s’iniziava una leggera aratura, in autunno si proseguiva con un’aratura più profonda e talvolta si procedeva continuando nei mesi invernali; la coltura a berenili aveva scarsissime rendite poiché prevedeva che il terreno rimanesse a riposo per un tempo maggiore rispetto a quello in cui veniva utilizzato per la coltivazione).
Le notizie riguardanti la produzione annuale precedente il 1764 appaiono incerte ma mediante l’Editto che prevedeva la denuncia del raccolto da parte delle famiglie apprendiamo che la produzione cerealicola soddisfaceva il fabbisogno interno e la produzione del frumento e quella dell’orzo furono generalmente le migliori fonti d’approvvigionamento.
La tutela della produzione agraria era assicurata dalla costituzione di nuovi organi statali: gli Stanziatori reali, i Magistrati dell’annona e i Comitati Accademici.