Correva l’anno 1787
Data di un documento iconografico maddalenino di grande interesse, denominato “Stampa Millelire”, in cui si trovano molti particolari architettonici del paese.
15 aprile
Nelle acque dell’arcipelago si svolge un furioso combattimento fra la mezza galera Beata Margherita e uno sciabecco tunisino: 19 sono i feriti, di cui sei in condizioni molto serie. La gravità dello scontro e l’eroismo dell’equipaggio spingono il re a numerosi riconoscimenti fra i quali, per i maddalenini, la medaglia d’oro al piloto Agostino Millelire e quella d’argento al sottocomito Salvatore Ornano Lo Spasso.
Un’altra azione contro i barbareschi, violento scontro armato tra la Beata Margherita ed uno sciabecco tunisino, Il comandante era il vassallo Matton de Benevel, nella sua relazione, riferisce di un combattimento fatto di assalti e speronamenti reciproci, e la fuga del legno nemico nelle acque della Corsica per sottrarsi alla preda. “Quel mattino la mezza galera Beata Margherita, sotto il comando del cavalier Matton di Benevel, uscì da cala Gavetta con una gondola di servizio per un sopralluogo di routine a ponente. In vista di Spargi osservò una scialuppa che, staccatasi da uno sciabecco con bandiera genovese che stava alla fonda poco lontano, tentava di prender terra nell’isola. Alla vista del vascello sardo, la scialuppa desistette e rientrò verso lo sciabecco, suscitando il sospetto di Matton che si apprestò ad andare a riconoscere lo sciabecco. Questo manovrò per prendere il largo, contemporaneamente ammainò la bandiera genovese ed issò quella turca. Mentre la gondola rientrò di fretta verso La Maddalena per attivare il soccorso dell’altra mezza galera, la Santa Barbara, Matton iniziò l’inseguimento della nave barbaresca per ingaggiare con essa battaglia. La relazione racconta lo svolgimento dei fatti con ricchezza dei particolari tattici utilizzati da entrambi i contendenti per avere il favore della posizione d’attacco. Più volte lo sciabecco imbrogliò le proprie vele per fermarsi e mostrare la fiancata per la bordata dei suoi dieci pezzi di cannone. Altrettante volte con destrezza rimetteva le vele e riprendeva la sua fuga verso la Corsica. Alle nove del mattino la Beata Margherita riuscì a giungere a portata di cannone, e Matton, dopo avere ricevuto con l’equipaggio l’assoluzione da parte del cappellano di bordo, avviò il combattimento vero e proprio con un primo assalto di otto cannonate. Lo sciabecco accettò il combattimento, si pose di traverso e sparò due bordate con i suoi pezzi. Matton decise di prendere l’iniziativa dell’abbordaggio, e per tre volte riuscì a piantare lo sperone della propria nave nella poppa del barbaresco, che per altrettante volte riuscì a sganciarsi. Ma alla terza volta fu possibile strappare la bandiera di poppa al nemico, che fu portata trionfalmente per tutta la mezza galera al grido di “viva il Re”. un colpo di vento favorevole ai turchi capovolse la situazione, permettendo loro di trovarsi in posizione d’attacco. Dallo sciabecco volarono i rampini d’abbordaggio, che per tre volte furono respinti dai sardi. Il tutto si svolse in un inferno di scariche di moschetteria e di mitraglia, e nei momenti di affiancamento dei due bastimenti si andò a sciabolate reciproche. In un momento di pausa lo sciabecco riuscì a guadagnare il largo rifugiandosi nelle acque corse, interdette ai nostri, abbandonando la scialuppa che fu preda della mezza galera. con scafo, alberatura, vele e sartiame mal ridotti, la Beata Margherita rientrò con diciassette feriti ed un morto: un sergente del Reggimento Monferrato imbarcato. La relazione del cavalier Matton fu particolarmente elogiativa per Agostino Millelire di cui testualmente diceva «dans le nombre des blesses il y avoit le pilote qui malgrè une assez forte blessure a l’avant bras n’a jamais quitté le poste dirigeant toujour la rotte de la Beate Marguerite et donnant constamment des peuvres d’une valeur peu commune». La corte torinese apprezzò particolarmente il fatto, e Vittorio Amedeo III, con una propria Regia Provvisione datata 22 maggio 1787 ed emanata dal Castello della Venaria, elargì promozioni, riconoscimenti in denaro e decorazioni.” A conferma dell’effettiva assegnazione delle medaglie, abbiamo anche il resoconto fatto dal viceré alla corte, il 6 luglio dello stesso anno, dell’avvenuta cerimonia di consegna delle medaglie. Il ritardo fu causato dal fatto che nave ed equipaggio avevano dovuto scontare la quarantena a obbligatoria per il contatto avuto con sospetti di contagio. «[…] al ritorno della mezza galera la Beata Margherita si diede intiera esecuzione al prescritto del regio viglietto dei 22 maggio che ha colmato di giubilo e riconoscenza tutto l’equipaggio […] e soltanto non si è potuto rimettere una delle medaglie al marinaro che strappò dal bordo dello sciabecco nemico il bastone d’insegna colla bandiera, sia perché crede il sig. cav. Matton che vari vi abbiano cooperato nell’attacco, come perché il soggetto che poi raccolse nel mare la bandiera e a cui potrebbe forse spettare detta medaglia è un maltese, il quale dopo essere stato ammesso cogli altri a libera pratica è partito per Malta». Ancor più precisamente, per ciò che riguarda Agostino Millelire, abbiamo un dispaccio del febbraio 1788 alla corte in cui il viceré perorava per lo stesso la causa del grado di piloto effettivo. A sostegno della raccomandazione si notava che: “tiene appesa al petto la medaglia d’oro”. Allo stato attuale delle ricerche è questa la prima occasione documentata di assegnazione di medaglie al valore militare per azioni di combattimento, e si pone a questo punto il problema del riconoscimento. Dei 4 decorati di medaglia d’argento, il sotto comito dal nome di guerra Lo Spasso corrispondeva all’isolano Salvatore Ornano, e la medaglia d’argento non consegnata in quell’occasione andò ad un altro maddalenino per un’azione anti barbaresca che si svolse solo dopo pochi mesi. Stavolta, il 19 agosto dello stesso 1787, fu la Santa Barbara al comando del cavalier Vittorio Porcile che si imbatté nelle acque di Carloforte con una galeotta tunisina. Nonostante la disparità di forza a favore della mezza galera sarda, i barbareschi opposero una fiera resistenza. Ne seguì un aspro combattimento allarma bianca che il cavalier Porcile racconta nella sua relazione in termini molto accalorati. Il momento risolutivo fu così illustrato: «Le do l’abbordaggio e procuro di farla trattenere col rizzone. In questo frattempo quattro marinari più arditi sonosi lanciati dentro colle sciabole in mano per impadronirsene. La mezza galera era abbrivata dal vento fresco, quella ci cade sotto l’ala del posticcio di prora sinistro. I turchi intimoriti si danno alla banda ed ecco in un tratto la galeotta sossopra rovesciata. Al rizzone se le strappa la maglia cui era legata e la galeotta intanto si allarga. In questo mentre il rais coraggioso vede il marinaro di questo regio legno Pietro Paolo Panzano per nome di guerra l’Azardo, uscire di sott’acqua colla sciabola in bocca e gli vibra un colpo di tagar in capo, questi ancorché sbalordito e coperto di sangue gliene restituisce un altro attraverso del collo, e l’obbliga a gittar in mare le sue armi, contenendo anche gli altri quali si resero senza ostacolo». Il certificato del chirurgo di bordo attestò per il marinaro di 1a classe l’Azardo una “ferita trasversale alla testa alla parte inferiore dell’ossa parietale della parte sinistra”. Anche in questa occasione ci furono ricompense in denaro e promozioni, ed inoltre «S.M. volendo contemporaneamente contraddistinguere – come testualmente recitava il Dispaccio di corte al viceré del 29 settembre 1787 – quello dei suddetti quattro marinari denominato l’Azardo che dopo d’essere stato ferito sul capo dal rais mentr’era nel mare, ebbe la gloria di vendicarsene con dargli un colpo di sciabola attraverso il collo, si è la medesima degnato di decorarlo della medaglia che era destinata al marinaro che strappò lo stendardo da bordo del sciabecco nel combatto che ebbe colla Beata Margherita». Il povero Panzano-Azardo morì poco dopo per gli esiti della ferita, e la medaglia d’argento “alla memoria” fu consegnata alla famiglia. Vedi anche: La mezza galera Beata Margherita contro uno sciabecco barbaresco presso l’isola di Spargi
22 maggio
“Il Re di Sardegna- Ufficio Generale del Soldo, nel mentre che con un regio nostro viglietto del giorno d’oggi nello spiegare al n.ro Viceré, Luogotenente, e Capitano Generale nel Regno di Sardegna Cavalier Solaro i sensi di special gradimento, con cui intesimo la relazione del combatto seguito li 15 dello scado aprile ne’ mari tramezzanti la Sardegna, e la Corsica tra la nostra mezza Galera la Beata Margherita, ed uno Sciabecco Barbaresco giudicato Tunisino, il quale non ostante la superiorità della sua forza non si scansò altrimenti, che col rifugiarsi tutto mal concio nella vicina Corsica, dal cader preda d’essa mezza Galera, che gli strappò di bordo il bastone d’Insegna colla Bandiera, e s’impadronì d’una scialuppa dello stesso Sciabecco, lo incarichiamo di rendere note a ciascuno de soggetti componenti l’equipaggio d’essa mezza Galera, ed intervenuti nell’azione; le grazie che ci siamo disposti di compartire, gli diciamo altresì, che al Piloto Millelire Isolano della Maddalena, ed al Capo Cannoniere Laghè del Luogo di Villafranca, i quali sebben feriti nel cambatto continuarono tuttavia a riempire coraggiosamente i loro doveri sino al termine dell’affare, che non durò meno di due ore, e un quarto, abbiamo aggiunto ad altri graziosi riguardi, con cui rimane da Noi distinto il loro merito, ed in aumento della rispettiva paga, e vantaggi de quali godono attualmente, assegnate un annuo trattenimento di lire cinquanta in Piemonte. Dalla Veneria Li 22 di maggio 1787“. Vedi anche: Regia Provvisione datato Castello della Veneria 22 maggio 1787
4 luglio
Viceré di Sardegna è Carlo Francesco, conte Thaon di Sant’Andrea.
7 luglio
Il viceré adotta nuovi provvedimenti per prevenire la diffusione del «contagio esistente in Barberia».
11 luglio
Tommaso Zonza, sposa Maria Avviggià.
19 agosto
Alle 7 di mattina, la regia galera della Marina Santa Barbara era ancorata a Carloforte, al comando del luogotenente di Marina Vittorio Porcile. l’apparente tranquillità del mattino fu bruscamente turbata dall’arrivo del fratello del comandante, Antonio, con la notizia che a ponente dell’isola, a Cala di Fico, era approdata una galeotta barbaresca da 18 – 20 uomini. In base alle condizioni del vento e a quelle della piccola flotta, Porcile organizzò subito la spedizione. Le tre imbarcazioni disponibili sarebbero partite immediatamente con compiti diversi: la mezza galera sarebbe passata nord dell’isola in modo da sorprendere la galeotta nel caso che questa uscisse da Cala Fico diretta, presumibilmente, a nord; la fregata armata con 21 persone di equipaggio e cinque soldati di truppa, avrebbe percorso la rotta meridionale in caso da intercettare la galeotta i caso che questa, volendosi sottrarre alla caccia della mezza galera avesse deciso di scappare verso sud. La feluca guardacoste avrebbe seguito l’operazione con compiti di appoggio. Il vento da sud est avrebbe messo la fregata in condizione di manovrare a suo piacimento e avrebbe, invece, contrastato la manovra della galeotta; la mezza galera potendo contare anche sui remi oltre che sulle vele, avrebbe avuto maggiori possibilità di manovra anche col vento contrario. Alle o e un quarto le imbarcazioni salpavano. A due miglia circa a nord di Carloforte si scorse la galeotta che dava la caccia ad un battello sardo diretto a Oristano: il canotto a rimorchio della mezza galera, di ostacolo alla caccia fu perciò mollato, in modo che la feluca che seguiva a distanza, potesse recuperarlo e, mentre la galeotta, aiutandosi con i remi, cercava di guadagnare il vento, Porcile fece inalberare la bandiera del Re di Sardegna e, contemporaneamente, sparare il primo colpo di avvertimento. Visto che la galeotta ignorava i segnali proseguendo per la sua corsa, Porcile fece imbrogliare la vela di maestra puggiando in direzione del nemico e facendo partire una scarica di cannoni e di fucili. La galeotta rispose con una bordata, risultata del tutto inefficace, pochi attimi prima che la mezza galera si poggiasse violentemente al suo fianco destro in posizione di abbordaggio e lanciasse il rizzone (sorta di ancora a più marre) bloccandola. Subito “dei marinai più arditi”, armati di sciabole, scavalcarono il bordo della nave nemica: erano, indicati con il nome di battaglia, l’Azzardo, Colombano, Capriata e Pieretti. Ma il vento fresco aveva scagliato con eccessiva velocità la mezza galera contro la galeotta, “i turchi, intimoriti, si erano dati alla banda, la maglia del rizzone si strappò” liberando dalla presa la galeotta che, sballottata dai violenti contraccolpi si rovesciava sbalzando tutti a mare e allontanandosi dalla mezza galera. l’acqua fra le due imbarcazioni brulicava di corpi dei turchi frastornati che cercavano scampo salendo sulla chiglia della galeotta. Mentre l’Azzardo, uno dei marinai sardi sbalzato a mare coi nemici, emergeva tenendo fra i denti la sciabola, il rais turco, che si trovava vicino gli sferro un colpo di tagar sulla testa. Il nostro eroe era, a detta dei testimoni, visibilmente stordito dalla permanenza sott’acqua e ora anche dalla ferita: sanguinante afferrò la sciabola e colpì con tutta la forza che gli restava il rais al collo e alla testa, obbligandolo a gettare in mare le sue armi. alla resa del loro capitano anche gli altri turchi, che avevano perso ogni velleità, si arresero. Dalla mezza galera avevano seguito gli avvenimenti senza poter intervenire: ora cercavano di avvicinarsi per recuperare soprattutto i feriti per i quali, date le vistose ferite, la permanenza in acqua poteva rivelarsi mortale., ma la scarsa manovrabilità della mezza galera impediva il recupero. Quindi, attraverso segnali, alla fregatina che intanto raggiungeva da sud fu trasferito il compito di recuperare i naufraghi e di prendere a rimorchio l’imbarcazione. Poiché il vento aumentava, la piccola flotta fu costretta riparare a Capo Pecora, dove giunse verso le due e mezza pomeridiane. Solo il giorno seguente, nel primo pomeriggio poté rientrare a Carloforte. Porcile approntò due relazioni per i suoi superiori con il bilancio dell’operazione: dei 17 componenti dell’equipaggio tunisino di Biserta, due erano morti nel primo attacco con le armi da fuoco, quattro erano stati feriti, undici erano sani anche se un po’ ammaccati; la galeotta si era rovesciata diverse volte a causa del mare tempestoso e quindi aveva perso tutti gli attrezzi e le dotazioni di bordo. Il primo rapporto di Porcile metteva in evidenza il coraggio e la determinazione di alcuni membri dell’equipaggio che egli citava: il luogotenente Verde, Il pilota Bartolomeo Alagna “nella giusta direzione della rotta e manodopera di vele, il comito Millelire in eseguire puntualmente e con grande attività quanto gli veniva ingiunto, il sotto cannoniere Maurano non meno per la prontezza e l’abilità nell’esercizio del cannone”. Tra i marinai si erano distinti i quattro saltati prontamente a bordo della galeotta abbordata, i già nominati l’Azzardo, Colombano, Capriata e Pieretti. Tutti i membri dell’equipaggio citati, ad eccezione del luogotenente Verde e del cannonier Mauran, erano destinati a mettersi in luce in altri episodi della lotta contro i barbareschi, ma soprattutto nel momento forse più difficile per la sopravvivenza della comunità, quando contribuirono a respingere l’attacco gallo-corso nel febbraio del 1793. In un secondo foglio allegato alla relazione suddetta, Porcile dava merito per “zelo e attività dimostrata”, ad altri componenti dell’equipaggio: lo scrivano di bordo, il chirurgo Siga, e un giovane volontario, imbarcatosi a La Maddalena, figlio del cavaliere Raynardi, comandante delle Isole Intermedie. Il ragazzo intendeva evidentemente avviarsi alla carriera militare, avendo già partecipato, sempre come volontario, ad altre crociere della mezza galera, nella quale non appariva fra gli imbarcati effettivi: mostrava, a giudizio di Porcile “vivacità, attaccamento e propensione alla navigazione”. L’azione non registrò perdite umane nell’equipaggio della mezza galera, ma “il marinaro di prima classe Panzano (l’Azzardo), ritrovatosi con una ferita trasversale alla testa alla parte inferiore dell’ossa parietale della parte sinistre a fatta da arma tagliente in occasione del combatto”. Il sessantacinquenne valoroso rais tunisino Hisjamuda aveva riportato due ferite, “una al collo e l’altra al di sopra del sopracciglia della parte sinistra fatte da arma tagliente”. Nella colluttazione anche gli altri marinai dovevano aver usato destramente le loro sciabole provocando a un tunisino la perdita di tre dita della mano sinistra e ad un altro un profondo taglio longitudinale alla parte inferiore della scapola destra. le ferite apparivano guaribili, nessuno risultava in pericolo di vita e perciò si prevedeva che la vendita “degli schiavi” o il loro riscatto avrebbe garantito un buon introito per la Casa Reale e per tutto l’equipaggio sardo.
Porcile approntò due relazioni per i suoi superiori con il bilancio dell’operazione: dei 17 componenti dell’equipaggio tunisino di Biserta, due erano morti nel primo attacco con le armi da fuoco, quattro erano stati feriti, undici erano sani anche se un po’ ammaccati; la galeotta si era rovesciata diverse volte a causa del mare tempestoso e quindi aveva perso tutti gli attrezzi e le dotazioni di bordo. Il primo rapporto di Porcile metteva in evidenza il coraggio e la determinazione di alcuni membri dell’equipaggio che egli citava: il luogotenente Verde, Il pilota Bartolomeo Alagna “nella giusta direzione della rotta e manodopera di vele, il comito Millelire in eseguire puntualmente e con grande attività quanto gli veniva ingiunto, il sotto-cannoniere Mauran non meno per la prontezza e l’abilità nell’esercizio del cannone”. Tra i marinai si erano distinti i quattro saltati prontamente a bordo della galeotta abbordata, i già nominati l’Azzardo, Colombano, Capriata e Pieretti. Tutti i membri dell’equipaggio citati, ad eccezione del luogotenente Verde e del cannoniere Mauran, erano destinati a mettersi in luce in altri episodi della lotta contro i barbareschi, ma soprattutto nel momento forse più difficile per la sopravvivenza della comunità, quando contribuirono a respingere l’attacco gallo-corso nel febbraio del 1793. In un secondo foglio allegato alla relazione suddetta, Porcile dava merito per “zelo e attività dimostrata”, ad altri componenti dell’equipaggio: lo scrivano di bordo, il chirurgo Siga, e un giovane volontario, imbarcatosi a La Maddalena, figlio del cavaliere Raynardi, comandante delle Isole Intermedie. Il ragazzo intendeva evidentemente avviarsi alla carriera militare, avendo già partecipato, sempre come volontario, ad altre crociere della mezza galera, nella quale non appariva fra gli imbarcati effettivi: mostrava, a giudizio di Porcile “vivacità, attaccamento e propensione alla navigazione”. L’azione non registrò perdite umane nell’equipaggio della mezza galera, ma “il marinaro di prima classe Panzano (l’Azzardo), ritrovatosi con una ferita trasversale alla testa alla parte inferiore dell’ossa parietale della parte sinistre a fatta da arma tagliente in occasione del combatto”. Il sessantacinquenne valoroso rais tunisino Hisjamuda aveva riportato due ferite, “una al collo e l’altra al di sopra del sopracciglia della parte sinistra fatte da arma tagliente”. Nella colluttazione anche gli altri marinai dovevano aver usato destramente le loro sciabole provocando a un tunisino la perdita di tre dita della mano sinistra e ad un altro un profondo taglio longitudinale alla parte inferiore della scapola destra. le ferite apparivano guaribili, nessuno risultava in pericolo di vita e perciò si prevedeva che la vendita “degli schiavi” o il loro riscatto avrebbe garantito un buon introito per la Casa Reale e per tutto l’equipaggio sardo. Tutti i marinai della flotta sarda erano stato chiamati con un nome di battaglia che essi stessi sceglievano: abitualmente si trattava di un appellativo la cui iniziale corrispondeva a quella del cognome, ma a volte l’esotismo delle parole francesi conquistava la fantasia dei giovani, che quindi finivano per chiamarsi Biencontente, Francouer, Foudroyant, Bellefleur o, come Pantano Le Hazard. Spesso la grafia di questi nomi era pasticciata e anche la loro traduzione in italiano si basava su approssimative assonanze. piuttosto che sui significati reali: così le lasard che significa caso, rischio, diventava per Pantano “L’Azzardo” o addirittura “Lasard”. L’Azzardo era uomo di mare, arruolato nei primi anni di carriera, sulle Regie gondole di stanza a La Maddalena che in quegli anni svolgevano attivamente un ruolo di lotta al contrabbando e di controllo contro i barbareschi su tutta la costa settentrionale della Sardegna. Troviamo notizie di Panzano, come di altri personaggi della microstoria maddalenina, grazie alle puntuali relazioni fatte in occasione della divisione delle prede, cioè delle imbarcazioni (e del carico) sequestrate i azioni militari: difatti i 3/5 del loro valore doveva essere assegnato, ai sensi del Regolamento del 24 aprile 1768, agli equipaggi che avevano contribuito alla cattura e che, quindi, venivano elencati con precisione in quanto assegnatari di quote differenziate in base al grado e al compito svolto. Nel 1782 Panzano era imbarcato sulla gondola guardacoste l’Aquila., equipaggiata con nove marinai maddalenini di terza classe, che agli ordini del signor Borra ufficiale nelle compagnie franche comandante delle Isole Intermedie, aveva predato due gondole contrabbandiere di Bonifacio: la prima carica di bestiame, la seconda di lardo. Passò poi, con l’equipaggio quasi al completo dell’Aquila, su una delle gondole predate ai bonifacini che era stata assorbita nella flottiglia sarda col nome “La Speditiva”, continuando l’attività guardacoste. La nuova unità partecipò con successo alla sostanziosa preda costituita da un bastimento a due alberi del padrone Angelo Nobili di Bonifacio carico di pelli di contrabbando. A partire dal 1783 Panzano non risulta più imbarcato sulle gondole: lo ritroviamo nel 1787 come marinaio di prima classe sulla mezza galera Santa Barbara. Non abbiamo altre notizie: sappiamo solo che al momento dell’assegnazione derivanti dalla divisione delle prede, era già morto: la somma assegnatagli fu, infatti, consegnata ai suoi eredi i fratelli Antonio e Francesco.
19 ottobre
Un biglietto regio insiste sull’opportunità d’incoraggiare in Sardegna la coltura dei gelsi e dei bachi da seta.
1 dicembre
Il vescovo Michele Pes comunica alla Santa Sede l’elevazione a parrocchie campestri (cappellanie) delle chiese di San Pasquale, Santa Maria di Arzachena, San Francesco d’Aglientu, San Teodoro.