CronologiaMillesettecento

Correva l’anno 1796

Il sindaco è un analfabeta non identificato, vicesindaco Paolo Martinetti.

Si costruisce il cimitero, voluto dal comandante della mezza galera don Vittorio Porcile, fuori dal paese, ma non così lontano visto che, per il naturale sviluppo urbanistico della cittadina, a distanza di un secolo esso sarà inglobato nel tessuto urbano.

Con altri esuli (fra i quali Domenico Antonio Peretti), arriva l’avvocato Giovanni Brandi, bonifacino, in fuga dalla sua patria per aver appoggiato, negli anni 1794-96, il governo filo-inglese nella sua regione. Diventerà viceconsole britannico incaricato dei rifornimenti alla flotta di Nelson e della tutela degli interessi inglesi.

Carlo Emanuele IV succede al padre Vittorio Amedeo III; regnerà fino al 1802. Viceré è Filippo marchese Vivalda. Prasca scrive che il viceré sarebbe il Conte Caissotti di Robbione.

Si inizia la costruzione del cimitero. (quello che oggi si chiama cimitero vecchio) Prima dell’occupazione militare piemontese (1767), gli abitanti di La Maddalena seppellivano i loro morti a San Michele del Liscia presso Palau; alcune sepolture venivano fatte anche a Cala Chiesa, o nell’isola di Santo Stefano. Dal 1770 si cominciò a seppellire presso la chiesa di Santa Maria Maddalena (dal 1793 dedicata alla SS. Trinità). I registri parrocchiali annotano il nome della prima defunta, certa Aviggià Maria, di Pasquale deceduta l’8 ottobre 1770, sepolta “In ecclesia S.M. Magdalena, in dicta isula existente”. Aumenta la popolazione (185 abitanti nel 1767; 867 nel 1794), fu indispensabile individuare una vera e propria area cimiteriale. Venne collocata su una collina dolce e poco granitica, posta al di sopra della costa di Cala Gavetta e di Cala Mangiavolpe. Il primo seppellimento fu quello del piccolo Antonio Biaggi, di 11 mesi, figlio di Pietro e Gavina Gallone, morto il 15 agosto 1797. Vedi anche: Il Cimitero Vecchio – La demolizione – epitaffi e tombe

13 febbraio

Giovanni Maria Angioy, nominato Alternos del viceré, parte da Cagliari per sedare la ribellione antifeudale del Capo di sopra, ma non riuscendo a domare la rivolta, abbandonato dalle istituzioni e dai nobili cagliaritani che lo avevano appoggiato, schieratosi palesemente con i rivoltosi, fu costretto ad abbandonare l’isola per l’esilio.

28 febbraio

Giovanni Maria Angioi, seguito da oltre mille cavalieri, dopo 16 giorni di marcia, prolungata ad arte per sondare l’animo delle popolazioni, fa il suo ingresso solenne in Sassari, acclamato da un popolo immenso colle grida di: “viva Angioi: viva l’Alternos: non più duchi: viva la nazione sarda: viva la libertà”.

2 marzo

Scoppia a Sorso una sommossa anti baronale, i contadini di Sorso si ribellano al loro barone, rivendicando l’abolizione del sistema feudale.

17 marzo

Circa 850 persone sottoscrivono lo ‘‘strumento d’unione’’ stipulato dai villaggi di Ittiri e Uri.

19 marzo

Quaranta comunità rurali del Capo di sopra si alleano contro i feudatari.

10 aprile

I comuni di Bonorva, di Semestene e di Rebeccu: gli ecclesiastici, i nobili, i personaggi più ragguardevoli di quelle contrade giurano di non riconoscere più nessun feudatario; di ricorrere al re per essere redenti da quella signoria; di unirsi in un sol patto sotto l’autorità di G.M. Angioi. Se ne distende atto pubblico, che intitolasi atto d’unione, col quale si promette di non permettere che i baroni nominino ufficiali, fattori, amministratori, né ministri di giustizia, mentre questi si opporrebbero a riconoscere e svelare gli abusi che si volevano sradicare.
Giurano quindi di affratellarsi e difendersi con ogni mezzo, per sostenere i loro diritti e per conservare inalterata la gerarchia dei poteri legittimi della nazione e la stabilità delle antiche sue leggi.

28 aprile

Napoleone Bonaparte e Vittorio Amedeo III firmano l’armistizio di Cherasco: cadono le speranze di un intervento francese in Sardegna. Nonostante le vittorie riportate agli estremi lembi del regno, per i reggenti si profilavano all’orizzonte nubi ancora più dense dovute proprio al nuovo astro francese, Napoleone Bonaparte, il quale posto a capo dell’esercito di stanza in Italia, invase il Piemonte e costrinse il re Vittorio Amedeo a firmare l’armistizio di Cherasco, seguito dal trattato di Parigi il 15 Maggio.

15 maggio

Le truppe napoleoniche dilagano nella pianura padana e occupano Milano.

19 maggio

Si scrisse dai detrattori di Gio. Maria Angioi che il suo governo fu famoso per atti violenti, partigiani e di vandalismo. Fu invece il suo governo assai temperato; no uso violenze, ne atti che sapessero di prepotenze. Nei tre mesi della sua amministrazione non accadeva a Sassari che un solo omicidio, in persona di certo Antonio Bene che aveva tradito e abbandonato una ragazza!
Difatti il Magistrato ella Reale Udienza scriveva al viceré il 16 Maggio 1796 nei seguenti termini: “Possiamo assicurare V. Ecc. che falsi son ed inventati dalla malignità i disordini e gli eccessi che diconsi praticati sotto i nostri occhi e nelle ville di questo Capo, mentre ci abbiamo fatto la più scrupolosa premura di renderla in ogni occorrenza consapevole di quando accade in questa città e nel Capo; e quindi è tutto finto quanto di sovrappiù si scrive”.

2 giugno

L’Alternos parte alla volta di Cagliari con il suo ‘‘esercito’’ antifeudale. Dopo aver lasciato Sassari, Giovanni Maria Angioy raggiunse Macomer, poi Santulussurgiu e si diresse decisamente verso sud con una forza di 6.000 cavalieri, migliaia di fanti e altra masnada improvvisata. Quando fu chiaro che aveva intenzione di entrare a Oristano, preoccupati per quella massa che si avvicinava, nacquero dei contrasti tra i pubblici ufficiali di quella città in quanto alcuni volevano combatterlo mentre altri erano contrari perché sapevano di avere a che fare con l’alternos in carica. Il 7 giugno il viceré, allarmato per quello che era ormai un esercito in marcia, decise di rimuovere Angioy dalla carica di alternos, metterlo al bando e sostituirlo con l’avvocato Del Rio che ricevette l’ordine di formare una forza di 2 mila e 500 uomini per contrastarlo. L’Angioy, non volendo scoprire completamente le sue recondite intenzioni, passò alla diplomazia invitando il viceré Vivalda ad un incontro per chiarire i motivi della “protesta” dei Logudoresi che avrebbero accettato e preferito una mediazione francese: un tentativo per evitare una prova di forza militare e raggiungere pacificamente i suoi scopi. Intanto a Cagliari il panico si diffuse repentino e i soliti signori ed ecclesiastici lasciarono la città mentre il viceré invitò borghesi e nobili ad assoldare armati. Angioy, attendeva ad Oristano, ma fu costretto a lasciare la città che i suoi uomini stavano letteralmente saccheggiando, per sopperire alla mancanza di rifornimenti e della più semplice organizzazione per la sussistenza. Mentre le masnade si allontanavano, dovettero affrontare anche l’attacco degli oristanesi che vollero vendicarsi delle angherie subite e la massa senza ordini precisi incominciò a sfaldarsi costringendo l’Angioy a raggiungere Sassari attraverso strade e sentieri alternativi per evitare assalti delle popolazioni istigate dai feudatari e dai nobili: il popolo, che pochi giorni prima lo aveva osannato passava dall’altra parte abbandonandolo.

8 giugno

Vittorio Amedeo III accoglie le domande degli Stamenti e convoca il Parlamento.

9 giugno

Da Oristano l’Alternos propone agli Stamenti di chiedere alla Repubblica francese di farsi interprete presso il governo di Torino del malessere del Capo settentrionale. Nello stesso giorno il viceré Vivalda, che col consenso degli Stamenti ha destituito l’Alternos, invia contro di lui una colonna di 2500 cavalieri.

12 giugno

Rivolta a Oristano: Giovanni Maria Angioy, isolato e inseguito dalle truppe cagliaritane, è costretto a rifugiarsi a Sassari da dove s’imbarcherà a Porto Torres per Ajaccio, Livorno e poi Genova dove cercò inutilmente aiuti per rientrare in Sardegna e far sollevare le popolazioni locali. Chiese insistentemente l’aiuto di Napoleone che però sempre si disinteressò del problema e, perdute le speranze, raggiunse Parigi per l’esilio ormai inevitabile. In Sardegna la vendetta colpì violentemente il Logudoro e tutti coloro che avevano aiutato e simpatizzato per l’Angioy. Il paese natale dell’ex alternos Bono, fu invaso da soldataglie legalizzate dagli stamenti che, non trovando abitanti in quanto nascosti sui monti circostanti, si abbandonarono a ogni sorta di nefandezza e distruzione. I tribunali “speciali” istituiti per l’occasione, quindi senza poteri legali, dispensarono condanne e pene di morte col plauso dei nobili e dei feudatari che così si vendicarono di chi osò ribellarsi. La figura di Giovanni Maria Angioy rimane misteriosa forse per il suo modo di agire non sempre decifrabile, ma il suo disegno e le sue intenzioni si mostrarono chiare e indiscutibili in quanto si schierò con i più deboli e con i diseredati oppressi dai nobili senza scrupoli. Per raggiungere i suoi scopi avrebbe forse raggiunto dei compromessi con i Francesi che tutto sommato avevano già scacciato con la loro rivoluzione nobili e oppressori del popolo e che, ai suoi occhi, costituivano una garanzia per i Sardi. Se, come ebbe a dire, il suo intento fu quello di abolire il regime feudale, e non ci sono motivi per non credergli, se fosse riuscito nel suo disegno avrebbe risparmiato alle popolazioni dell’isola altri 40 anni di soprusi, perché l’odiato regime medievale fu abolito solo nel 1838. Un vero patriota quindi che tramò forse nell’ombra ma solo per cercare aiuti all’estero col fine di portare la Sardegna nell’era moderna. Morì nel 1808 a Parigi, lontano dalla sua isola, per la quale aveva sacrificato onori, titoli e se stesso.

20 giugno

Su istanza degli Stamenti il viceré pubblica l’indulto generale. Il provvedimento esclude i capi del movimento, sui quali continua a pendere la taglia stabilita il 9 giugno.

31 luglio

Cinque partecipanti alla sfortunata rivolta angioiana tentano di rientrare in Sardegna confidando nell’amnistia concordata tra il re di Sardegna e Napoleone Bonaparte. Sono l’avvocato Gavino Fadda, il causidico Antonio Vincenzo Petretto, Antonio Maria Carta, l’avvocato Gavino Devilla ed il medico Gaspare Sini. Con un veliero fanno rotta da Capraia verso Alghero ma, per il maltempo, sono costretti a fermarsi a Maddalena. Qui il direttore delle poste, un tale Mura, li riconosce e li denuncia al cavalier Porcile, comandante della flotta locale, che li arresta; quindi li traduce a Sassari dove il feroce giudice Valentino Pes, li sottopone a processo e decreta la condanna a morte e rapidamente segue la truculenta esecuzione dei malcapitati con le modalità allora in uso in questi casi: dopo l’impiccagione, al condannato veniva mozzata la testa dal corpo e la stessa veniva esposta entro una grata di ferro presso la porta principale della città.

11 agosto

Nonostante la fine dei moti alcuni villaggi trovano ancora la forza di ribellarsi ai feudatari: i vassalli di Tissi, Ossi e Usini insorgono rifiutando di pagare i diritti feudali. Il giorno successivo anche la popolazione di Osilo scende in lotta. Le truppe ristabiliranno dappertutto l’ordine feudale.

13 settembre

All’Ufficio Generale del Soldo: “Alle grazie che di tempo in tempo ci siamo compiaciuti di compartire al Sottotenente nelle nostre truppe di Fanteria Gio Agostino Millelire, Piloto nelle nostre mezze Galere col grado di Piloto di Fregata, furono sempre corrispondenti le prove di fedeltà, zelo, e di valore ch’Egli ci ha date per il nostro servizio, tanto ne’ vari combattimenti combattuti contro i Barbareschi, in alcuni de’ quali rimase ferito, quanto nella gloriosa difesa delle Isole della Maddalena, e di Santo Stefano, e del Regno nostro di Sardegna. E non cessando il medesimo di confermarci col continuo esercizio delle commendevoli prerogative ond’è fornito, il suo attaccamento a tutto ciò, che interessa il bene dello stesso nostro servizio, siccome ha fatto nell’eseguimento di varie commissioni stategli appoggiate dal nostro Viceré nel sud.o Regno, ci siamo perciò disposti a fargli sperimentare un doppio effetto della nostra beneficenza, da cui venga animato a renderci ancora più proficui i di lui servigi; per il che nel decorarlo come facciamo del grado di Luogotenente nelle predette Truppe di fanteria ci siamo degnati di accordargli un trattenimento di lire duecento in aggiunta a quello di lire cinquanta di cui già gode…Dat in Moncalieri li 13 settembre 1796“.

23 settembre

A Sassari il giudice della Reale Udienza Giuseppe Valentino, incaricato di dirigere i processi contro il partito angioiano, fa eseguire l’impiccagione (con decapitazione del cadavere ed esposizione della testa mozza) dell’avvocato sassarese Gavino Fadda, seguace di Angioy: è la prima delle esecuzioni ordinate ed eseguite fra il 1796 e il 1797 in aperta violazione dell’amnistia prevista dal trattato di pace tra la Francia e il Regno di Sardegna.

ottobre

Proveniente da Napoli, sbarca a Cala Gavetta l’avvocato Giovanni Brandi, un personaggio che avrà molta influenza nella vita isolana. Nato a Bonifacio da famiglia benestante, deve fuggire perché compromesso con il Regno di Corsica (fondamentalmente indipendente ma di fatto nelle mani dell’Inghilterra), caduto nei primi mesi di quello stesso anno. All’arrivo si dichiara subito “suddito di S.M. Britannica”. Sull’isola, specie dopo che sarà nominato viceconsole inglese, si occupa di fornire “assistenza” ai corsari e alle navi del suo Paese (Nelson e altri) e di assistere al suo Governo preziose informazioni di politica internazionale, che alla Maddalena arrivano con facilità data la “perfetta neutralità” proclamata dal Regno Sardo. Il 3 maggio 1814 sposa in seconde nozze la figlia di Agostino Millelire, del quale è sempre stato buon amico. Muore durante un viaggio a Bonifacio, il 27 maggio 1820.

16 ottobre

Muore Vittorio Amedeo III, gli succede il figlio Carlo Emanuele IV.

19 ottobre

La Francia stava preparando apertamente la riconquista dell’isola di Corsica: nel frattempo, gli eserciti del Direttorio, guidati in Italia da Bonaparte, avevano conquistato la Pianura Padana (primavera 1796). A Londra apparve ormai evidente che era impossibile difendere l’isola ad oltranza: già dalla fine di agosto gli inglesi pensavano alla «immediata evacuazione» della Corsica. Elliott doveva fare fronte alle continue infiltrazioni dei repubblicani emigrati, giunti dall’Italia ed accolti dal popolo come liberatori: il Vice Re si era reso conto che la Corsica non era più gestibile. Un corpo di spedizione repubblicano sbarcò al Macinaggio nell’ottobre del 1796, marciando verso Bastia; l’esercito non entrò in città per lasciare il tempo agli inglesi di rimbarcarsi sotto la protezione di Nelson, che portava con sé un migliaio di corsi e di emigrati francesi fedeli al regno anglo-corso. Il Regno cessò ufficialmente di esistere il 19 ottobre 1796: si era trattato di una costruzione effimera, che non avrebbe mai superato un eventuale cambiamento della situazione militare nel Mediterraneo. Probabilmente il Regno anglo-corso sarebbe crollato anche senza l’intervento della Francia: il malinteso fondamentale che opponeva Paoli ed Elliott sulla natura ed i limiti dell’autonomia della Corsica avrebbe provocato una crisi indipendentemente dagli altri fattori esterni. Paoli aveva capito di essersi perduto in un vicolo cieco: lo sbaglio consisteva nel voler perseguire, in un’Europa conquistata alle idee rivoluzionarie, il sogno dell’autonomia. La debolezza demografica ed economica della Corsica, l’arcaismo delle sue strutture sociali, il ritardo della sua evoluzione ideologica, la condannavano inevitabilmente a cadere alle dipendenze di un grande Stato. Un legame durevole con l’Inghilterra era poco probabile, a meno che l’isola non avesse accettato lo status di Dominion in cui sembrava prefigurarla la costituzione del 1794; con la Francia, si doveva accontentare dello status di colonia: entrambe le soluzioni escludevano, a priori, l’idea dell’indipendenza politica ed amministrativa. La riconquista della Corsica è stata, nel concreto, opera di Bonaparte. Egli l’aveva preparata minuziosamente, sotto ogni aspetto: militare, amministrativo e psicologico. Sin dal maggio 1796 aveva fatto passare nell’isola alcuni suoi fedeli ed aveva convinto il Direttorio, in luglio, che era giunto il momento di «cacciare gli inglesi dalla Corsica». Allo stesso tempo incaricò il generale Gentili d’organizzare a Livorno un corpo di spedizione corso di 1.500 uomini che doveva introdursi nell’isola a piccoli gruppi, per preparare gradatamente il sollevamento generale. Napoleone aveva già predisposto, dal punto di vista amministrativo, la divisione dell’isola in due Dipartimenti (il Golo ed il Liamone), corrispondente «alle leggi della storia e della geografia isolana»; aveva aggiunto a Saliceti, la cui parzialità lo preoccupava, Miot de Melito; si era battuto con tutti i suoi compatrioti per far cessare lo «spirito di partito», per ottenere il perdono generale, con l’unica eccezione di «un piccolo numero di uomini perfidi che hanno messo fuori strada questo bravo popolo». Bonaparte si era anche mosso per ordinare a Gentili, il comandante del corpo di spedizione, di fare il possibile «per ristabilire la tranquillità nell’isola, soffocare gli odi e riunire alla Repubblica un paese agitato da troppo tempo», cercando di eliminare la vendetta. Questo programma non è stato, purtroppo, seguito alla lettera. Se è vero che la riconquista fu una passeggiata militare e la tranquillità interna raggiunta fin dal marzo 1797 (tanto che Bonaparte richiamò in Italia tutti gli ufficiali che aveva invitato in Corsica qualche mese prima), la riorganizzazione amministrativa, abilmente condotta da Miot, urtava con i tradizionali intrighi dello spirito di partito, il maggiore ostacolo alla amministrazione interna. Ricominciarono, allora, le frodi elettorali, l’accaparramento dei posti di prestigio da parte dei clan, la caccia alle sovvenzioni e la dilapidazione del denaro pubblico: in breve, tutto il repertorio dei piccoli espedienti dell’Ancien Régime. A questo si aggiungevano gli eccessi delle forze dell’ordine che, sottopagate o non pagate, si auto compensavano in natura (con gran furore dei contadini), per non parlare dell’eterna ingiustizia fiscale, aggravata dalla situazione critica dei contribuenti. Il malcontento generale era arrivato all’indisposizione: «amministrativamente parlando, la Repubblica aveva mancato il suo rientro in Corsica”. I Repubblicani insistevano nel loro precedente errore di voler disciplinare la politica religiosa. Bonaparte aveva ben consigliato di lasciare ai corsi “la loro religione, i loro preti, le loro campane», ma i rivoluzionari del Direttorio su questa materia erano più settari dei loro colleghi della Convenzione. Essi avrebbero dovuto comprendere che il clero corso era rimasto fedele al culto cattolico. Le fonti archivistiche mostrano che nel giugno 1797, nel cantone di Ajaccio, esistevano soltanto 5 preti fedeli alle Leggi della Repubblica, contro 16 refrattari e 24 “ritirati”: la lezione non era servita a niente. Dopo il colpo di Stato di Fruttidoro (4 settembre 1797) s’impose il nuovo giuramento (contro la monarchia e l’anarchia) sotto la pena della deportazione in Guyana. Queste misure, applicate con rigore, provocarono l’emigrazione volontaria, il ricorso alla clandestinità e l’arresto dei refrattari. Tutto questo per un magro risultato (in Corsica solo una decina di preti si decise a prestare giuramento): l’odio e l’incomprensione si accumulavano sempre di più, pronti a scoppiare al momento opportuno.

7 dicembre

Angioy giunge a Torino confidando di poter giustificare il proprio operato di fronte al re. Viene stampato alla macchia in Corsica l’inno Su patriottu sardu a sos feudatarios, composto dal cavaliere ozierese Francesco Ignazio Mannu.