Correva l’anno 1811
Francesco IV d’Austria-Este è in Sardegna per sposare la figlia di Vittorio Emanuele, Maria Beatrice, e annota le sue impressioni sulla Gallura in una Descrizione della Sardegna (che sarà pubblicata a oltre un secolo di distanza). Il re ordina una spedizione militare nelle turbolente province galluresi, dove nel giro di pochi mesi vengono uccisi diversi ufficiali regi.
Giuseppe Tosto è sindaco di La Maddalena.
Il governo di Cagliari ordina al comandante delle isole di far arrestare “con premura e segretezza” Giuseppe Bertoleoni Poli, colpevole di tre diversi sfrosi di grano.
gennaio
In gennaio un brigantino francese proveniente da Tunisi, inseguito dalla fregata inglese Pomona, si incaglia sotto Santo Stefano. Di fronte alle pretese inglesi sulla preda il comandante della Torre minaccia di sparare. Battista Rossi, di Castelsardo, viene ucciso con un colpo di fucile dal tempiese Bartolomeo Mureddu.
19 gennaio
Stato della nuova popolazione di Santa Teresa con statistiche. I coloni sono 202, i pastori 195. Una relazione mette in luce lo stato della zona permettendo un’ampia visione della situazione sociale ed economica gallurese. I tempiesi, che hanno abbandonato la coltivazioni delle vaste viddazzoni in loro possesso, impediscono ai coloni di altri centri di installar visi, portando grave pregiudizio allo sviluppo agricolo della regione.
Favorevoli al popolamento sono il marchese di Villamarina e il cavaliere Pietro Cabras Missorro che, dopo la donazione dei terreni, è nominato conte di San Felice.
1 febbraio
Arando il terreno concessogli alla Testa (Santa Teresa Gallura), Magnon scopre due sepolture romane in terracotta. Magnon fa trasportare in paese, nella parrocchiale, la statua in alabastro policromo di Santa Reparata, che egli stesso aveva regalato, e l’altare dove la statua si trova. La chiesetta campestre, spoglia e di fatto non officiata, andrà in rovina. Sempre nel mese di febbraio Magnon è fatto oggetto di un attentato da parte del pastore Giovanni Nieddu che, pentitosi, riceverà la grazia sovrana e il perdono del comandante di Santa Teresa. Magnon, sospeso dall’incarico di comandante militare, mantiene quello di direttore della popolazione.
6 febbraio
Nasce Antonio Millelire. Fu ammesso nel 1826 alla Scuola di Marina di Genova, conseguendo nel 1833 la nomina a guardiamarina. Nei gradi di ufficiale subalterno svolse servizio a bordo di varie unità, fra cui le fregate a vela Des Geneys e San Michele, e nel 1845-1848, luogotenente di vascello, fu in comando della pirocorvetta Tripoli.
Passò poi al comando dell’avviso a ruote Gulnara, con il quale prese parte alla campagna in Adriatico del 1848-1849 contro l’Austria, e nel periodo 1849-1851 fu in comando del brigantino Daino, che durante la detenzione di Garibaldi alla Maddalena (settembre-ottobre 1849) fu impegnato in servizio di vigilanza in quelle acque.
Fu dal 1851 al 1857 nei gradi di capitano di fregata e di vascello comandante in 2ª del C.R.E. e dal 1858 al 1860 comandante della pirofregata Vittorio Emanuele. Prese parte alla campagna di guerra del 1860-1861, in comando della fregata corazzata Carlo Alberto, distinguendosi al blocco e assedio della fortezza di Gaeta, venendo insignito della croce di ufficiale dell’ordine militare di Savoia.
Promosso contrammiraglio nel 1861, assunse la carica di comandante del porto di Palermo e di Ispettore dei porti siciliani. Lasciò il servizio attivo nel 1864.
Era esponente della illustre famiglia maddalenina, che diede molti uomini al servizio della Reale Marina sarda e della Regia Marina. Tra i tanti ricordiamo: il padre Agostino (1756- luogotenente di vascello, cavaliere dell’ordine militare di Savoia, che insieme al più celebre fratello Domenico (178) 1827), luogotenente di vascello, prima medaglia d’oro al valore militare della Reale Marina sarda, respinse nel 1793 Facco della flotta francese, che intendeva occupare l’arcipelago; il fratello Giovanni Battista (1803-1891). contrammiraglio, distintosi a Tripoli nel 1825 durante l’attacco a una goletta del Bey e nel 1833 ad Algeri, tanto da meritare da parte del re Luigi Filippo di Francia l’onorificenza di cavaliere della Legione d’onore. Nel 1848, capitano di fregata in comando della fregata ammiraglia San Michele, alzò il 26 aprile per la prima volta il tricolore con lo stemma sabaudo che aveva sostituito l’azzurro vessillo sardo, e prese parte alla campagna in Adriatico contro l’Austria del 1848-1849; il cugino Francesco (1810-1866), capitano di vascello, che da luogotenente di Vascello comando dell’avviso a ruote Authion prese parte alla campagna in Adriatico contro l’Austria del 1848-1849 e poi in comando della pirocorvetta Tripoli ebbe l’amaro compito di condurre Giuseppe Garibaldi, catturato a Genova dopo il crollo della Repubblica romana, in esilio presso il Bey di Tunisi, che non volle tuttavia accettarlo. Egli si diresse quindi a Cagliari e di qui alla Maddalena, dove l’Eroe fu ospitato degnamente per circa un mese. Morì il 23 gennaio 1885.
29 maggio
Il luogotenente Ignazio Bosio ottiene un appezzamento di terreno come ricompensa per le medaglie d’oro e d’argento ricevute durante la guerra contro i Francesi.
25 luglio
Di fronte ai pessimi risultati del raccolto, il governo ripristina obblighi di denunce e divieti annonari.
28 luglio
La vittoria di Capo Malfatano. Per ritorsione contro la preda di due corsari fatta nelle acque di Carloforte dallo sciabecco Vittorio Emanuele (G. B. Albini) e di due mercantili barbareschi fatta in acque tunisine dal lancione Benvenuto (Giuseppe Albini), nella primavera del 1811 il bey armò tre corsari (una galeotta, un lancione e una feluca). Alla comparsa della flottiglia nelle acque sarde, il re fece entrare in campagna le mezzegalere Falco (De May) e Aquila (Porcile), lo sciabecco Generoso e vari lancioni, tra cui il Sant’Efisio (nocchiere T. Zonza). Il 28 luglio, presso l’Isola Rossa tra i capi Teulada e Malfatano, De May avvistò i tunisini che rimorchiavano una tartana predata, e con abili manovre tagliò loro la fuga verso il mare aperto, li strinse nel golfo e li costrinse ad accettare il combattimento. Il felucone tentò di schivare il cannone prodiero dell’Aquila per passarle di fianco e abbordarla: Porcile reagì girando la mezza galera non di poppa, com’era uso, ma di prua, speronando il felucone. Legato il rostro alla loro nave, i tunisini abbordarono la mezza galera all’arma bianca, presero la batteria e respinsero i sardi oltre l’albero maestro. Benché ferito al fianco, Porcile risalì sul cassero, rianimò l’equipaggio, ordinò ad un uomo di fiducia di far saltare la nave in caso di sconfitta e contrattaccò all’arma bianca. Inseguiti sulla loro nave, e caduto il rais coi più coraggiosi, gli altri si arresero. Le perdite dei sardi si limitarono a 4 morti e pochi feriti. Attaccato dalla galeotta, il Falco si difese per quattro ore, finché, affidata la preda a un lancione, Porcile non accorse a darle manforte con l’Aquila e il Sant’Efisio, il quale prese la galeotta tra due fuochi cannoneggiandola a mitraglia e costringendola ad arrendersi, mentre la feluca riusciva a mettersi in salvo. I sardi presero 17 cannoni e 200 prigionieri, al prezzo di 4 morti e pochi feriti, ma le avarie subite in combattimento impedirono loro d’inseguire il terzo corsaro. La squadra rientrò a Cagliari al far della notte con le prede a rimorchio, e due giorni dopo Porcile ebbe un’ovazione popolare. Il 30 e 31 agosto il re concesse 7 promozioni per merito di guerra, al sottotenente Giovanni Silvestro De Nobile (aiutante maggiore della fanteria provinciale di Laconi), al guardiamarina di 1a classe Efisio Angioy, al volontario Luigi Grixoni, al piloto vicario dell’Aquila Battista Zicavo, al tenente di bordo della Falco G. B. Scoffiero, al piloto Paolo Vian e al comandante del Sant’Efisio, nocchiero con grado di piloto Tommaso Zonza (già decorato di medaglia d’argento per la difesa della Maddalena nel 1793). In particolare Angioy e Zicavo furono premiati per l’abbordaggio, rispettivamente, della galeotta e del felucone. Più tardi, il 21 novembre 1812, si ordinò il conio di 4 medaglie al valore, una d’oro per Zonza e due d’argento per Vian e Zicavo, e una terza d’argento pronta per future ricompense: non ne furono però concesse altre prima del ritorno in Terraferma. Il nome del combattimento fu in seguito attribuito ad una pirocorvetta di 682 ton e 4 obici da venti varata nel 1844 nei cantieri della Foce: inviata nel maggio 1860 nelle acque sarde per interdire l’approdo dei Mille di Garibaldi, la Malfatano fu radiata nel 1870.Vedi anche: 28 luglio 1811 Il combattimento di Capo Malfatano
14 agosto
L’idea dell’Unità d’Italia è legata a La Maddalena ben prima delle imprese di Garibaldi. Quarant’anni prima, infatti, giunse sull’isola un certo Alessandro Turri proveniente da Genova con un messaggio per il Barone De Geneys, comandante della Marina sarda e consigliere militare del re. Di cosa trattava questo documento? Parlava di un progetto di “indipendenza italiana” ed è uno dei primissimi che si conoscano sull’unità di Italia. Garibaldi allora aveva solo 4 anni e il destino volle che quarant’anni dopo quel messaggio, che costituisce uno dei primi atti unitari, approdasse nell’isola l’uomo che doveva realizzare l’Unità d’Italia. L’arrivo di Turri e della moglie a La Maddalena è segnato dall’agguato di alcuni pirati che intercettano l’imbarcazione sulla quale i due viaggiano presso l’isola di Razzoli e rubano loro soldi e gioielli. Sbarca alla Maddalena, Turri proveniente da Genova, latore di un eccezionale messaggio per il ministro d’Inghilterra alla corte di Cagliari: il documento aveva per titolo “Memoria circa un progetto di indipendenza italiana” ed è uno dei primissimi che si conoscano sulle aspirazioni unitarie del popolo italiano. Il Prasca lo cita per intero nella sua opera sull’Ammiraglio Des Geneys, avendolo trovato tra i carteggi di lui con una annotazione che testimonia come egli avesse ricevuto nell’isola il Turri e avesse preso conoscenza con molto interesse del progetto. Vi si parlava di un “Partito dell’Unione e dell’Indipendenza Italiana” nato intorno al 1809, di cui facevano parte anche primari magistrati e capi dell’Armata Italiana voluta da Napoleone; e vi si chiedeva all’Inghilterra e alla corte sabauda un appoggio ai piani di insurrezione previsti. E dunque, oltre che storico, molto interessante, che uno dei primi atti unitari italiani fosse datato dal nostro arcipelago; il riferimento alla corte sabauda rappresenta una primizia ante litteram, una specie di prologo di quanto un giorno sarebbe accaduto e che in quel momento nessuno degli attori poteva ancora prevedere. Turri era partito da Genova ed era giunto a Maddalena con la moglie, affrontando un viaggio pericoloso lungo la costa della Corsica (pare che incorse a Razzoli nei pirati siculi che lo depredarono di soldi e gioielli) e vi rimase circa un mese.
24 agosto
Due guardiani di vigne sono assassinati da alcuni soldati, i fratelli Tolu di Cargeghe che, insieme con il loro caporale Nughes, sono stati scoperti a rubare frutta negli orti. La Maddalena, non abituata a questo tipo di violenza, reagisce contro il Corpo franco accusato del crimine.
Segue un periodo di pericolosi disordini e una supplica, inviata dal Consiglio comunitativo al sovrano, affinché i pericolosi soldati siano allontanati.
Fu nel 1810 che, partito un quinquennio prima Horatio Nelson con la sua flotta, a La Maddalena fu destinata una Compagnia del Corpo Franco, i cosiddetti Soldati della Grazia, truppe raccogliticce composte da gentaglia poco raccomandabile che furono alloggiate nei casermoni adiacenti al Forte Sant’Andrea (costruito nel 1793) dopo poi sorse la cosiddetta Artiglieria. Fin da subito la presenza di quella truppaglia fu giustamente osteggiata dalla popolazione in quanto metteva a dura prova il normale vivere, soprattutto in considerazione del fatto che parte degli uomini isolani per molto tempo della giornata o dell’anno erano occupati, per motivi di lavoro, lontano da casa. Furti e soprusi vennero più volte denunciati. Il 24 agosto quasi scoppiò una rivolta allorquando furono crudelmente assassinati “a poca distanza dal paese con inaudita inumanità … due padri di famiglia guardiani delle vigne, in luogo appostato ed indi trucidati e mutilati colla più ferina atrocità, che trovati la mattina estinti recavano ribrezzo e compassione a qualunque core sensibile“. “Molti indizi antecedenti” scrisse il sindaco Giuseppe Tosto unitamente ai consiglieri Filippo Fanalle, Giò Batta Millelire e Giuseppe Cogliolo, “fecero all’annuncio di sì terribile tragedia alzar la voce al popolo che autori della morte dei due infelici guardiani non poteano che essere che dei soldati del Corpo Franco, per esser stati più volte alcuni dei medesimi colti in flagrante a rubare uva e frutta dalle vigne, tanto più che questi soldati avevano minacciato di vendicarsi, specialmente il giorno precedente al meditato assassinamento“. Il fatto: in una campagna vicino al paese erano stati uccisi due padri di famiglia – Agostino Romajolo e Giuseppe Masala – che erano a guardia delle vigne (allora numerose). La popolazione, armatasi, stava per scontrarsi con i soldati quando l’intervento del Barone Des Geneys e del Comandante Millelire calmò gli abitanti. Furono arrestati soldati della Compagnia del Corpo franco (‘a Leggera‘ come poi si cominciò a chiamare nell’arcipelago qualsiasi gruppo che ne combinava di cotte e di crude) e la pace tornò tra gli abitanti, che nel frattempo erano cresciuti fino a 1633, i capi di famiglia erano 360. Secondo la ricostruzione, i malfattori vistisi scoperti mentre trafugavano della frutta da un podere, aggredirono i Barracelli a colpi di bastone e li uccisero con numerose pugnalate. Si trattava dei fratelli Giovanni e Antonio Tolu di Cargeghe e Stefano Nughes di Birori. I primi due verranno condannati alla galera perpetua, Nughes a vent’anni di carcere. In quella occasione ci fu un ammutinamento dei soldati del Corpo Franco, “parte dei quali si erano impadroniti del forte Sant’Andrea, che domina il paese“. Ammutinamento represso dal Barone Des Geneys che “fece arrestare otto soldati della detta Compagnia come sospetti, e consegnare tutti gli altri nel quartiere“.
Per rendere l’idea di quale fosse la condizione della comunità ‘maddalenina’ rispetto all’autorità governativa militare, riporto la risposta che venne data nel 1811 al Consiglio Comunitativo in relazione all’istanza di protesta per l’uccisione di due uomini da parte dei soldati: “…non dovevate sotto qualunque pretesto unire le vostre voci a quelle inconsiderate del popolo;…il dovere vostro è di parlare al popolo coll’esempio della vostra sottomissione ed intiera ubbidienza alle leggi e al Governo…”
31 agosto
Viene conferita la medaglia a Tomaso Zonza: “Per essersi distinto nel glorioso fatto d’armi tra la flottiglia ove era imbarcato sulla mezza galera Falco contro due legni barbareschi, che con la loro preda furono il frutto della vittoria”. R.D. 31 Agosto 1811
14 settembre
Stante i ladronecci, le devastazioni e gli assassinii che, con audacia inaudita, commettevansi in quel di Tempio; e visti cadere vittime miserande delle fazioni il censore diocesano, il reggente ufficiale di giustizia, il sostituto procuratore fiscale e l’avvocato fiscale della Prefettura, il Governo, per punire i colpevoli, crea una commissione mista di militari e di togati, presieduta dal Cav. Varese, governatore di Sassari in secondo, e spedisce sul luogo un buon nerbo di truppe.
18 settembre
Il governo fissa un limite massimo per il prezzo del grano, che ormai scarseggia dappertutto.
11 ottobre
Nasce a La Maddalena, Stefano Domenico Panzano di Silvestro e di Teresa Bertoleoni. Imbarcato sui regi legni come mozzo di rinforzo, 18 marzo 1822 (a 11 anni) e sbarcato l’otto novembre 1822. Imbarcato nuovamente con la stessa qualità a 20 anni (25 aprile 1823) soldato volontario nel battaglione Real Navi e ancora congedato e sbarcatone il primo dicembre 1823. Ma certamente il congedamento fu solo un escamotage teso a valorizzarne le capacità, perché pochi giorni dopo di esso lo si ritrova al servizio del Governo provvisorio della Lombardia prima come sottufficiale furiere e, un paio di settimane, dopo come Sottotenente Aiutante Maggiore di un battaglione. Come tale fu inquadrato nel 21° reggimento fanteria, costituito dai Lombardi dell’esercito di Sardegna e con questo fece le campagne del 1848 e del 1849. Riassunto nelle file dell’Armata Sarda nel 1850 fu inviato in servizio in Sardegna e finì la sua carriera a Cagliari alla fine degli anni cinquanta.