Correva l’anno 1856
Il Genio militare di Bonifacio protegge e delimita i cimiteri di Lavezzi, dove sono sepolti i marinai della Sémillante, recingendoli con muri. La città conta 3100 abitanti.
Il primo ricovero di Garibaldi a Caprera fu una tenda sotto la quale bivaccò per due mesi con Menotti; ma egli aveva premura di riunire la famiglia, facendo trasferire nell’isola anche gli altri figli, Teresita e Ricciotti. Perciò, insieme col primogenito e aiutato dal fedele amico – segretario Giovanni Basso, da Felice Orrigoni e da altri compagni, si diede a restaurare una casupola di tre vani appartenuta a un pastore. Garibaldi riattò la casa, ma gli spazi non erano sufficienti neppure per la provvisorietà: quindi si reca a Londra col duplice scopo di acquistare un imbarcazione e convincere la fidanzata inglese Emma Roberts a venire a vivere con lui nell’isola. Ma Emma per l’opposizione dei figli, non poté seguirlo e Garibaldi fece ritorno col suo sospirato “cutter” che in ricordo del fallito fidanzamento volle battezzarlo con il nome di “Emma”. Con l'”Emma” trasportò da Nizza una piccola costruzione in legno smontata e la sistemò accanto all’altra. Cinse il territorio con un muro per tenere lontane le capre fameliche e finalmente nell’estate 1856, con gran gioia della piccola comunità, giunsero Teresita e Ricciotti, accompagnati da una servetta, Battistina Ravello, per accudirli. A questo punto, la “famiglia” Garibaldi si componeva già di una decina di persone e difficilmente in seguito saremo in grado di valutarne le variazioni, perché la dimora del Generale ebbe sempre le porte aperte ai parenti, agli amici, a strane e mutevoli figure di maestri, famigliari e accoliti che andavano e venivano intorno a quell’uomo dal fascino illimitato e al nucleo centrale dei figli e delle donne che egli amò tenerissimamente. Ma il destino doveva ancor più legarlo alla sua isola. Si mise subito mano alla costruzione definitiva di una vera casa, quella che lo stesso clan chiamò la “Casa Bianca” e che come tale sarebbe stata poi ufficialmente nota. Fernanda Poli che per presentare il Museo Garibaldino di Caprera, scrisse un prezioso volumetto che il lettore poteva facilmente trovare sia a Caprera che a La Maddalena, oltre che nelle librerie di Sardegna, il quale è, ad oggi, la guida più seria e completa per visitare l’eremo del Generale, annotava: “Garibaldi aveva sulle prime la presunzione di essere un ottimò architetto ed ingegnere, ma ben presto i suoi aiutanti gli fecero capire che questa non era davvero la sua vocazione, anzi era l’unico mestiere che non gli fosse congeniale. C’è il gustoso aneddoto del capomastro che gli disse: “Generale, usare la cazzuola non è affar vostro”, e lui con la modestia cristallina che gli era propria, rispose: “Hai ragione: trasporterò le pietre”. E si mise a fare tranquillamente il manovale, lavoro che svolse tranquillamente fino al termine della costruzione. Il complesso degli edifici sorse nel luogo che fin dall’inizio Garibaldi aveva prescelto, cioè al centro del versante occidentale di Caprera, rivolto a La Maddalena; si tratta di una conca granitica raccolta e passabilmente protetta dai venti.” La Poli precisa che la Casa Bianca “Presenta tutte le caratteristiche di una dimora ottocentesca planimetricamente articolata in una successione di vani intercomunicanti disposti intorno ad un piccolo ambiente privo di finestre che accoglie la scala di ingresso alla terrazza”. E fa giustamente notare che non è fatta secondo le nostre attuali coerenze razionali, ma è nata avendo come perno la famiglia senza porsi problemi privacy. “…Le stanze della casa possono assumere elasticamente funzioni diverse in relazione alla variabilità dei componenti della famiglia, nucleo tanto dilatato da accogliere nel suo interno amici e collaboratori”. E infatti, secondo questa visione garibaldina che sta tra la semplicità tribale e la gens romana, la Casa Bianca subì nel tempo le trasformazioni e gli ampliamenti che servirono allo sviluppo che servirono agli sviluppi e ai bisogni dei suoi abitanti. Tale evidenza era uno dei fattori per cui, oggi, visitandola, si ricava l’impressione di un’edificio vivo, dal quale da un momento all’altro potrebbe uscire Donna Clelia o il Generale in persona o un garibaldino o un bimbo. E soprattutto, al visitatore non superficiale, sorge la riflessone del confronto tra questa dimora al servizio dell’uomo, identica nel suo spirito alle dimore di tutte le isole, di tutti i semplici della terra, e le nostre case – scatola, anche le più lussuose, nelle quali l’uomo non può che essere l’oggetto contenuto ad adattarsi, a seconda dei casi, agli spazi dell’angusta o del benessere, pianificati astrattamente da centrali di livellamento esterne. La Casa Bianca, crebbe come un organismo vivente e dopo appena un anno era ultimata ed abitata con tutte le sue appendici ed adiacenze, da una comunità tra le più singolari. Quando Garibaldi ebbe creato condizioni di abitabilità nella sua isola, vi trasferì come si è detto, i figli accompagnati dalla servetta Battistina Ravello, nizzarda, analfabeta, assai modesta anche quanto ad intelligenza. Si era ne ’56, la vita a Caprera era più che disagiata, addirittura primitiva, rude, il lavoro spossante. Avvenne che la Battistina, tra tutti quei guerrieri contadini pieni di energie, scelse il suo posto quasi istintivamente vicino al padrone e lo seguì senza porsi problemi anche nel letto.
Nel 1856 e nel 1868 James Webber acquista svariati terreni nelle località di Guardiavecchia, Puntiglione, Nido d’Aquila, Padule, Spinicciu e Punta Nera, fino ad essere proprietario di una enorme tenuta di 128 ettari. Oltre ai terreni erano presenti numerose pertinenze: in un inventario datato 1882 si descrive l’intera tenuta: “un palazzo, avente la rendita catastale di Lire cento ottantasette e centesimi cinquanta (…). Un piazzale a parte di levante (…). Un casotto a parte di mezzogiorno (…). Un quadrato di giardino (…) a parte di mezzodì (…). Una camera piccola (…) a parte di levante (…). Due camere a pian terreno (…) con un forno e due pollai (…). Una casa a pian terreno (…) un quadrato di muraglie (…) con entro una piccola casetta posta a tramontana (…). Un gran muro a parte di ponente (…). Una cisterna (…).” Vi si descrivono tutti gli orti e i giardini, ciascuno dedicato a una specifica coltura, che erano recintati da alti muri per proteggere la vegetazione dal vento. Un muro di recinzione proteggeva poi la tenuta da ovest, da cui proveniva il vento dominante. In sintesi la proprietà era munita di un sistema di tre recinzioni concentriche, per cui il primo accesso alla tenuta è posto a sud da un cancello che immette nel parco, un secondo portale dà accesso a un’area recintata e un terzo monumentale immette nel recinto della corte padronale. Il sistema degli orti e giardini costituisce parte integrante del compendio. Risultano ancora molto ben conservati i muri posti a protezione della vegetazione dal vento; un sistema di spesse recinzioni in pietra alte fino a sei metri, munite di imponenti contrafforti e ingressi monumentali che offre una visione quasi fortificata dell’intera proprietà (amplificata da altre due imponenti mura aggiunte in epoca fascista). Per rendere fertile il terreno vengono trasportati da Palau grandi quantitativi di terra e sabbia, per cui si tratta di un progetto agronomico complessivo di tutto rilievo.
Nell’inventario del 1882 sono così descritti: “due giardini di agrumi (…) quattro quadrati per orto d’inverno (…) numero 45 maschette di terreno coltivate a vigna, un giardino coltivato a piante di frutta, un piccolo oliveto (…) piante di pini selvatici (…) un pezzo di terra coltivato a frutta”.
Il parco circostante, come chiaramente indicato nella bibliografia esistente, e noto nella storia come un parco botanico di grande interesse dove il proprietario James Weber pianta essenze vegetazionali provenienti da tutto il mondo e che gli vengono regalate via via dai suoi ospiti illustri. Attualmente nel parco sono presenti alberi secolari, ginepri, lecci, olivastri, pini, cipressi, tamerici oltre a corbezzoli, lentischi e tutte le essenze tipiche della macchia mediterranea. Si è detto che nel 1851 Webber stipula il contratto per l’acquisto di “una vigna, caseggiato e due terreni attigui chiusi” nella zona “della Padula”. Il caseggiato era una cascina detta anche la Casa del Barone poiché era appartenuta, come già detto, al barone Giorgio Andrea Desgeneys che a sua volta l’aveva venduta a Ser Hyde Parker da cui aveva acquistato Webber. Nel luogo del caseggiato iniziò la costruzione del primo nucleo della Villa che era già in stato avanzato nel 1857 quando una visitatrice, Speranza Von Schwartz riferisce fossero in corso le opere di finitura. Probabilmente, quindi, la costruzione del primo nucleo della Villa va datato post 1852 e ante 1858. Quanto alla consistenza effettiva di questa fase costruttiva non c’è certezza. Nel citalo inventario del 1882 riporta la seguente descrizione “… al primo piano: due camere e una sala, due sale e due camere, una scala, un terrazzo con tetto. Al pian terreno: una sala, un gabinetto, una cucina, una sala per dispensa. Sotterraneo: una grande cantina…”. L’acqua era conservata in una grandissima cisterna con capienza di migliaia di ettolitri che, con un sistema di canalizzazione ancora oggi esistente, era distribuita nell’edificio.
1 gennaio
Esce a Cagliari ‘‘Ichnusa’’, giornale dei cattolici sardi.
13 gennaio
Garibaldi scrive a Giuseppe Cuneo – Nizza 13 gennaio 1856 – …. Io non posso dirti nulla di quanto avverrà. L’Italia marcia all’unificazione nazionale; questo è un fatto incontrastabile. L’opinione dei più è capitanata dal Piemonte; io, e credo, altri, preferiamo non far nulla piuttosto che far male. I più terribili avversari nostri, i preti, sono potentissimi, e lo sono perché fanno capo a Parigi, ove, comunque sia, fatalmente regge il dominatore della situazione europea. Io, poi, ti son sempre fratello, e benché comincino ad essere le vele sdrucite, non mancherò alla chiamata se non quando sepolto o legato. Io lo ripeto. L’Italia sarà Italia una! e se retta da chi sia degno di calzarla, ancor quella dei tempi andati. Io spero di vederla grande e l’Idolo, che bambino io posi sul mio cuore, non uscirà giammai. Ho fatto acquisto di un pò di terra nell’isola di Caprera, e di un cutter; quando vieni in Europa dimanda del mio ritiro, e se vieni divideremo il pane.
Giuseppe Garibaldi
4 marzo
L’esercito costaricense, in cui prendevano parte 4.000 soldati tra cui il maddalenino Giovanni Battista Cogliolo “Leggero”, partì da “la plaza de la catedral” (nella capitale San Jose’). Tra di loro spiccò il luogotenente e braccio destro di Garibaldi, maggiore Leggero, che partecipò con valore e onore alle battaglie. Vedi anche: La prima campagna militare di Cogliolo del 1856
7 marzo
L’intendente provinciale di Tempio restituisce il calcolo approvato, per i lavori di ristrutturazione ed ampliamento della fonte pubblica di Cala di Chiesa, rilevando tuttavia che nel bilancio comunale relativo al 1855 vi sono stanziate soltanto £. 100 e che tuttavia, al fine di non ritardare ulteriormente l’attuazione di un progetto tanto importante, si accetta eccezionalmente di prevedere l’uso di altre 86,50 lire, da prelevare, una volta approntato il bilancio del 1856, dalla “categoria casuali”. Per il Corpo Reale del Genio Civile – Ufficio permanente in quest’isola, l’ing. Giuseppe Soro, a dimostrazione di come il problema dell’approvvigionamento idrico stia assumendo nuovamente i caratteri della gravità e dell’urgenza, scrive al sindaco il 7 giugno 1856, per comunicargli che concede in via del tutto provvisoria “la chiave della fontana di proprietà governativa (di cui la Comunità Civile – come abbiamo visto -non può neppure verificare la portata) perché la popolazione da Lei amministrata in questi tempi di siccità se ne serva e non manchi l’acqua; però, in pari tempo, mi giova metterla in avvertenza che tal concessione non è che provvisoria, per cui Ella sarà compiacente restituire detta chiave al primo richiamo che se ne faccia da rappresentante di esso governo”.
20 marzo
Leggero prende parte alla cruenta battaglia di San Rosas e successivamente a quella di Rivas. durante quest’ultima, dopo aver dato prova di grande coraggio, viene colpito da un colpo di artiglieria ed il chirurgo gli deve asportare il braccio destro. Vedi anche: La battaglia di Santa Rosa
aprile
Continua l’opposizione dei pastori-proprietari a concedere le loro terre per il seminerio comunitario e il Consiglio comunale di Palau decide di richiedere un prestito di 20.000 lire per comprare terreni da dedicare a questo scopo. È ancora una volta la prova delle difficoltà emerse dopo le norme del 1839 sulla creazione della proprietà perfetta.
2 aprile
Pietro Susini acquista, per conto di Garibaldi, due lotti di terreno provenienti dalla “distribuzione delle terre”, e precisamente il lotto 208 di Tommaso Ortoli e il lotto 205 di Filino Alibertini, entrambi sull’isola di Razzoli, aventi ciascuno un’estensione di 4.8 “starelli cagliaritani” (ogni starello corrispondeva ad are 39,37) ad un prezzo di 100 lire nuove. Sono le prime proprietà ufficialmente acquistate da Garibaldi nell’arcipelago.
12 aprile
Nella battaglia di Rivas viene gravemente ferito Giovanni Battista Culiolo. Vedi anche: La battaglia di Rivas e la perdita del braccio
29 aprile
Pietro Susini, sempre per conto di Garibaldi, stipula il primo contratto ufficiale di acquisto di un terreno di Caprera e precisamente del lotto 137 di Pasqua Ornano, per il prezzo di 70 lire. Poi gli acquisti si susseguiranno ininterrottamente e a ferragosto saranno state spese altre 8.850 lire nuove. A settembre Collins cede a Garibaldi 18 lotti di sua proprietà, sui quali insistono i ruderi di una casetta con stalla.
29 giugno
Deliberazione capitolare della Curia di Tempio che riconosce lo status di parrocchie alle cappellanie (parrocchie rurali) galluresi, tra cui la chiesa di San Pasquale a Porto Pozzo. Sino a questa data i sacerdoti risiedevano solo otto mesi all’anno presso le comunità delle quali dovevano curarsi, dalla prima quindicina di novembre fino alla festa di San Pietro e Paolo: il motivo addotto per tale assenza erano le intemperie che mieteva vittime nelle zone costiere presso stagni e paludi. Si costruiscono le canoniche per farvi abitare i sacerdoti.
13 luglio
Una “strana” convenzione stipulata tra il Consiglio Delegato di La Maddalena (composto dal sindaco Leonardo Bargone ed i consiglieri Nicolò Susini e Giulio Ferracciolo) e l’organista Nunzio Rocca conferma, il ruolo attivo del Comune, specialmente dal punto di vista economico, nella vita parrocchiale. La “capitolazione” redatta e sottoscritta dalle parti in data 13 luglio 1856 stabiliva infatti che “l’attuale organista, Rocca Nunzio, si obbliga a suonare l’organo nella Chiesa Parrocchiale in tutti i giorni festivi, compresa la festa titolare (S. Maria Maddalena), purché gli venga assegnata l’annua somma di Lire nuove sessanta, pagabili a semestre maturato; e che la relativa capitolazione sia duratura per un triennio, meno che per parte dei contraenti sorgano motivi plausibili in contrario, decidibili dal Signor Intendente di Provincia” L’atto fu approvato dall’Intendente provinciale di Tempio R. Orrù, in data 26 agosto 1856.
5 agosto
Allarme colera; La notizia che il tremendo male era arrivato a Livorno – uno dei principali porti di provenienza e destinazione delle merci che transitavano a Porto Torres – allarmò le autorità cittadine sassaresi, tanto più che anche Cagliari denunciava parecchi casi negli antichi quartieri di Stampace, VIllanova e S. Avendrace. I primi colpiti erano barcaioli e operai addetti alla pulizia delle merci del lazzaretto; il che fece subito pensare che il contagio fosse arrivato con navigli provenienti da Genova e dalla riviera ligure. Nell’agosto, il sindaco di Sassari, il professor Giommaria Pisano Marras, riunì più volte il Consiglio comunale per affrontare le questioni più urgenti, tra cui quella della pulizia di strade e piazze solitamente invase da rifiuti e immondizie. Negli stessi giorni si costituirono delle commissioni parrocchiali, incaricate di vigilare con il più grande scrupolo sulla pulizia della città, divisa in quattro rioni. Lo scopo era quello di “raggiungere quel grado di nettezza che (conveniva) al ben essere della Salute pubblica”. Di qui la decisione di aumentare il numero delle “carrette addette al trasporto della scopatura delle contrade e la richiesta di adibire a lazzaretto il “Bagno” di Porto Torres, e di procedere alla “profumazione della valigia sarda e francese”. Fu inoltre formato un Comitato di sorveglianza per la salute pubblica. Il giorno 5 agosto “le dubbiezze affliggenti ingenerate negli animi dei Cittadini dal non improbabile pericolo d’invasione del Cholera asiatico” spinsero il consigliere Gutierrez (che l’anno dopo cadrà vittima dell’epidemia) ad interpellare il sindaco circa una morte sospetta a Luras. Secondo voci non controllate si trattava di un individuo proveniente da Genova, e sbarcato a La Maddalena. Ne era seguita una lunga discussione nella quale erano emersi da parte di alcuni consiglieri allarmanti notizie circa la violazione delle norme sanitarie nei porti’ di Alghero, di La Maddalena, di Porto Torres. In questi porti sarebbe stato concesso lo sbarco a persone provenienti da luoghi infetti, mentre nessuna precauzione sarebbe stata osservata nella comunicazione con persone che scontavano la contumacia nel lazzaretto della città catalana. Era il caso – si chiedevano alcuni – di denunciare ,. al Superiore Governo le infrazioni suddette o doveva invece provvedervi il Consiglio provinciale di Sanità, nelle cui competenze rientrava la materia? La riunione si era conclusa con undici voti a favore e quattro contrari. Alla fine di agosto si assunse la decisione di sottoporre a fumigazione “la valigia” proveniente da La Maddalena per la via di Tempio e a quarantena i passeggeri in arrivo da Cagliari nel lazzaretto provvisorio a San Pietro di Silki. Le regole cui dovevano sottostare i ricoverati erano rigidissime: nessun contatto fisico era consentito con i visitatori esterni, oggetti, vivande, effetti personali potevano essere introdotti previo controllo del direttore. Si trattava di misure che ovunque suscitavano malcontento tra mercanti e viaggiatori, costretti a subire una sosta forzata di una settimana e ad affrontare le spese per “cibarie, fuoco e lume”: in Consiglio arrivarono, tra l’altro, le proteste delle “Regie Messaggerie” che si lamentavano dei danni subiti dalla quarantena.
1 settembre
Muore a Tavolara, all’età di 72 anni, Maria Caterina Ornano, compagna di Giuseppe Bertoleoni “Re di Tavolara”. Era nata a La Maddalena nel 1784 ed era figlia di Salvatore Ornano (di Francesco) detto Lu spassu. Maria Caterina era anche la cognata di Giuseppe Bertoleoni, infatti era la sorella di Maria Laura. Vedi anche: Menage à trois
7 settembre
L’Amministrazione Comunale cede al Parroco “Vicario Perpetuo Michele Mamia Addis“, la casa attigua alla Chiesa, per uso alloggio.
7 dicembre
A Francesco Susini da Portovecchio 7 dicembre 1856 – “Sono diretto per la Sardegna, qui trattenuto a bordo del San Giorgio pel cattivo tempo. Da Porto Torres penso di percorrere la Gallura, ove penso che sarà facile che scelga un punto di stabilimento, per passarvi alcuni mesi d’inverno, o forse abitarvi definitivamente, se trovo un luogo adatto. Un consiglio vostro o di Pietro circa al punto da prescegliersi per lo stabilimento, mi sarebbe caro, quanto lo esser vicino a voi, sarebbe una delle consolazioni mie predilette“.
Da Porto Torres andrò a Salso, Monte Ciabaldino, San Francesco d’Aliento, Coghinas, Vignola, ove avrò care le notizie vostre e della famiglia.
Intanto sono con affetto vostro Giuseppe Garibaldi.