Correva l’anno 1916
Agli inizi del 1916 era ancora vivo in tutti i maddalenini il ricordo drammatico, ed ancora sanguinante nei familiari, dei morti, dei feriti e dei dispersi della corazzata Benedetto Brin, affondata nel porto di Brindisi per lo scoppio della santabarbara in seguito ad un sabotaggio. Ma le notizie della guerra arrivavano anche dalle molto più vicine coste della Sardegna. Il 7 novembre 1915 c’era stato l’affondamento del piroscafo passeggeri “Ancona”, a largo del Golfo di Cagliari (che effettuava la tratta Napoli-New York), in seguito a siluramento da parte del sommergibile tedesco U-38. La nave trasportava, con i 173 uomini d’equipaggio, 496 passeggeri, la maggior parte dei quali emigranti in America; c’erano anche donne e bambini. Le vittime furono 206. La nave trasportava una tonnellata d’oro (valore: da 22 a 48 milioni di euro). Era il pagamento agli Usa per un carico di armi che il Governo Italiano aveva acquistato in segreto, per combattere l’Austria. Quel carico insieme alle vittime giacciono ancora negli abissi del Mar di Sardegna. In quello stesso giorno lo stesso sommergibile tedesco aveva fondato il piroscafo “France”, al largo di Capo Sandalo (isola di San Pietro). Non ci furono fortunatamente morti essendo stati i naufraghi salvati da un rimorchiatore e trasportati a Cagliari. In quel mese di novembre nelle acque meridionale della Sardegna erano stati affondati anche i piroscafi francesi Dahra. Algerien, Calvados, Ionio e Sidi Ferruch. E se i sommergibili tedeschi intervenivano, indisturbati, a Sud dell’Isola Madre, era possibile che da un momento all’altro potessero agire anche al Nord, dalle parti dell’Arcipelago? (C. Ronchi).
L’amministrazione militare costruisce a Caprera l’invaso per la raccolta dell’acqua proveniente dal ruscello chiamato Acqua di Stefano, che va a completare il sistema di riserva idrica del bacino Acqua di Ferrante.
Si costruisce la batteria Talmone in territorio di Palau.
Visita pastorale di monsignor Giovanni Maria Sanna.
Nei primi mesi del 1916, secondo anno di guerra, nella Base di La Maddalena venivano applicate particolari misure precauzionali come quello di un continuo stato d’allerta, di serrati controlli, e di immergerla la notte nell’oscurità. Chi era al comando era consapevole del fatto che le navi alla fonda potessero essere vulnerabili e soggette ai pericoli dei siluri dei sottomarini tedeschi. C’era infatti chi dubitava che pezzi delle batterie costiere in uso, ne avrebbero potuto avere ragione, come anche di un attacco navale. Attilio Deffenu (scrittore e uomo politico), nel 1914, sul giornale Sardegna, pur riconoscendo che a La Maddalena vi fossero fortezze poderose, e tali erano, scrisse però che queste erano dotate di “cannoni vecchi di vent’anni e gli ultimi arrivati possiedono una gittata massima di soli 14 km, mentre le navi avversarie possono sparare ad una distanza utile di ben 18 km”. Ancora più polemico Deffenu era stato scrivendo che “quelli della Maddalena sono cannoni che ornano non armano”, esprimendo nell’articolo non posizioni disfattiste bensì proponenti il potenziamento della Base. Ha scritto Enrico A. Valsecchi, che la polemica si incentrava su “batterie di concezione superata, su pezzi montati su ruote e su artiglierie vecchie di vent’anni, mentre avrebbero dovuto essere rinnovate ogni 10 anni. Tutti i cannoni avevano portata massima di otto miglia. In seguito si sarebbe rimediato con nuove bocche da fuoco”.
6 gennaio
Muore il Sottotenente di complemento Luigi Sebastiano Baffigo, era nato il 22 agosto del 1892, fresco di studi venne arruolato in fanteria ed avviato al corso Ufficiali. Divenuto sottotenente venne destinato a rimpinguare i vuoti lasciati dai numerosi ufficiali morti durante gli assalti, da loro condotti alla testa delle truppe. Così all’epoca concepivano le tattiche di guerra dei generali di ottocentesca formazione militare. In uno di questi assalti cade sul Monte San Michele il giovane Baffigo, aveva 23 anni ed era il giorno dell’Epifania, il 6 gennaio del 1916. Di lui ci resta un’immagine del suo funerale, che si svolse nel 1923, quando i familiari fecero traslare il suo corpo, dal cimitero di guerra a quello dell’isola. Alla memoria di Sebastiano Baffigo venne concessa una medaglia al valore alla memoria, con la seguente motivazione: “Costante esempio di zelo, attività e sprezzo del pericolo, mentre era intento allo studio del tracciato di un camminamento, importante da costruirsi in zona intensamente battuta, cadeva colpito a morte.” – San Martino del Carso 6 gennaio 1916. Durante gli anni della prima guerra mondiale, la “Domenica del Corriere” settimanalmente pubblicava una rubrica dal titolo: “S’immolarono per l’onore della patria”, ovvero una intera pagina nella quale erano riportate le fotografie di soldati che, a giudizio del periodico, avevano trovato una morte così eroica, da meritare la ribalta nazionale. Nella settimana che andava dal 20 al 27 febbraio un posto d’onore fu purtroppo occupato da un ufficiale maddalenino: Sebastiano Baffigo.
9 gennaio
Il Comando Militare Marittimo e della Piazza Marittima di La Maddalena emana un divieto di pesca, scrivendo un “Riservatissimo” al Sindaco: “In seguito al rinvenimento di un cadavere in avanzata putrefazione sulla costa di Abbatoggia e i altri due gettati dal mare presso Santa Teresa Gallura, che si ritengono provenienti dall’Asinara ed infetti, pregherei la S.V. di voler disporre perché sia temporaneamente vietata la pesca nella zona acquea delle isole dipendenti da codesto Comune e quindi la vendita dei pesci e molluschi”. Dai fatti sembra la spiegazione del toponimo della “Spiaggia del morto” ad Abbatoggia.
1 febbraio
Sebbene il cimitero distasse solo 4 km dal centro, il Consiglio (8 membri su 20 presenti!) decisero pure, il 12 febbraio 1916 (questa sì, resa subito esecutiva) di aumentare le tariffe di trasporto, da versare al gestore pompe funebri, da £. 3 a £. 5 per gli adulti, da £. 2 a £. 4 per il trasporto di bambini. Rimanendo alla questione trasporti funebri, il signor Virgilio De Mutti, si aggiudicò il servizio nel 1903 e, praticamente, almeno fino al 1916 non lo mollò più, le altre gare si esaurivano col solito De Mutti, proprietario nella zona dell’unica carrozza “attrezzata” Nel 1916 il Consiglio decise di autorizzare l’Amministrazione ad acquistare in proprio una carrozza a San Giorgio di Pistoia per 3.000 lire. La carrozza arrivò addirittura per sole 2700 lire, ma rimase a lungo ferma, perchè il Comune si era incredibilmente “dimenticato” di rendere esecutiva la propria delibera. Solo quando il Prefetto chiese di sapere come si intendesse poi svolgere il servizio (lettera del 13 Febbraio 1916, n.1760) la situazione si sbloccò.
23 febbraio
Muore a Cagliari Domenico Lovisato, il garibaldino di fede e di azione, il geologo insigne il cui motto è sempre stato “Patria, Scienza, Famiglia”, dopo lunghe sofferenze, si spegne nel capoluogo sardo. I funerali del rinomato professore vengono organizzati in forma solenne, con grande partecipazione di autorità e di popolo. Le sue spoglie riposano al cimitero di Bonaria, sotto una pietra proveniente da Caprera, in ricordo del suo passato garibaldino. A dargli l’ultimo saluto sono il Rettore dell’Università, il Preside della Facoltà di scienze e il Rappresentante del Comune.
5 marzo
Antonio Cassitta e Luigi Polano organizzano a Sassari il primo Congresso regionale giovanile socialista.
9 marzo
Iniziava la quinta Battaglia dell’Isonzo. Si era in inverno e faceva ancora molto freddo ma il Comando Supremo Italiano si trovò praticamente costretto ad attaccare per alleggerire la pressione tedesca sulla Francia, a Verdun. Furono impiegati 286 battaglioni e 1360 pezzi d’artiglieria. Gli austroungarici opposero 100 battaglioni e 470 pezzi d’artiglieria. Gli italiani ebbero 1882 tra morti, feriti e dispersi; gli austroungarici 1985. La battaglia ebbe luogo tra il 9 e il 15 marzo ed ebbe come sanguinoso teatro le zone dei monti Calvario, Sabotino, Mrzli, S. Maria, Podgora, la cima 4 del monte San Michele, le trincee della Cappella Diruta e San Martino del Carso. Gli italiani dovevano attaccare mentre i nemici, asserragliati nelle loro fortificazioni, si difendevano. E fu una dura sconfitta per i nostri ragazzi, non priva tuttavia di atti di eroismo. Come quello del sergente maggiore del genio, il maddalenino Leonardo Manca, il quale, in quei giorni, “guidava con rara perizia e slancio ammirevole una squadra di minatori, riusciva a rimuovere parte di una abbattuta e togliere i fili di mine. Aperta poi una larga breccia in un reticolato, giungeva per primo in pieno giorno e sotto violento fuoco, in un fortino nemico; impartire infine sagge disposizioni e si spingeva all’inseguimento dell’avversario finché, ferito, fu costretto ad abbandonare il combattimento”. I fatti si svolsero nei pressi di Padgora, oggi Piedimonte del Calvario, in provincia di Gorizia, Friuli, e per questo ebbe la medaglia d’argento. Anche in questo caso la notizia è tratta dal supplemento a Il Molo. Un’ulteriore ricerca tuttavia mostra come il nostro concittadino maddalenino, sottufficiale col grado di sergente maggiore del Genio (matr. 25981), sia stato invece decorato, sempre di medaglia d’argento, per le stesse motivazioni e per gli stessi fatti svoltisi però, a Costone Sief, il 21 ottobre 1915.
13 marzo
Nasce alla Maddalena, Mario Ferrari Aggradi più volte Ministro e membro della Democrazia Cristiana. Studioso di problemi economici, partecipò alla Resistenza e nel 1944 fu membro della Commissione economica del CLNAI. Nel 1945 ebbe alcuni importanti incarichi (vicepresidenza della R.A.I., vicepresidenza del Consiglio delle industrie dell’Alta Italia, ecc.). Segretario generale del Comitato Interministeriale per la Ricostruzione nel 1946, ha poi rappresentato l’Italia in vari organismi internazionali, come l’OECE, la NATO, la CEE. Democristiano, fu eletto deputato nella 2ª legislatura repubblicana (1953) e poi nella 3ª (1958); dopo essere stato molte volte sottosegretario di stato al Bilancio, è stato ministro dell’Agricoltura e Foreste nel 2° ministero Fanfani (luglio 1958-febbraio 1959), e delle Partecipazioni statali nel 2° ministero Segni (febbraio 1958-marzo 1960) e nel ministero Tambroni (marzo-luglio 1960; con interim dei Trasporti).
Muore a Toamu, il maddalenino Enrico Preti; Nato a La Maddalena il 30 gennaio 1896, dinanzi all’isola di Caprera: un luogo simbolico che rimarrà una costante nella sua formazione e maturazione politica, giacché, in famiglia, verrà educato nel mito di Garibaldi e del Risorgimento nazionale. Suo padre, Roberto Preti, è insegnante di scuole elementari; è anche poeta, autore di inni patriottici e di libri di testo per le scuole elementari; tra le sue opere poetiche pubblicate, figurano un Ricordo ai visitatori di Caprera e l’ode Per l’inaugurazione del monumento alla famiglia Cairoli. Il piccolo Enrico Preti, al seguito del padre, assunto alle scuole cittadine di Pavia, e della madre Alberta Mariani, giunge nella cittadina lombarda nel 1897. Viene avviato alle scuole professionali, studia ragioneria ma, allo stesso tempo, aderisce con convinzione ai movimenti e gruppi interventisti cittadini. Pochissimi giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 27 maggio 1915, a diciannove anni, si iscrive al Corpo Nazionale Volontari ciclisti e automobilisti come ciclista nel comitato di Alessandria. Esattamente un mese dopo, il 27 giugno 1915, viene inviato in zona di guerra. Fin dai primi giorni di servizio, Enrico inizia ad appuntare un diario di guerra in cui dà forma scritta ai suoi stati d’animo, alle sue impressioni, in cui rielabora i principali eventi bellici cui partecipa ma anche semplici episodi di vita quotidiana. Si tratta di un diario ben scritto, meditato, composto in un linguaggio non privo di espedienti retorici ed evidentemente allenato all’esercizio della scrittura. Nelle intenzioni del giovane, probabilmente, il manoscritto è concepito come nucleo per una futura pubblicazione giacché, come testimonia anche una sua lettera, invia a più riprese le note di guerra a una non precisata “Signorina” (potrebbe trattarsi di Luisa Castoldi, benemerita maestra cittadina, attiva nel volontariato a favore dei soldati al fronte e destinataria di molte lettere di soldati pavesi) che lo incoraggia a proseguire nel componimento. Come si intuisce dalle sue annotazioni, Enrico era partito per il fronte con un’idea tutta ottocentesca della guerra, dell’assalto al nemico, dell’organizzazione militare; il diario, del resto, si apre con una frase lapidaria: «Sono giunto in zona di guerra il 27 giugno 1915 e ho provato subito una disillusione. Quella la guerra?». Enrico condivide anche l’impressione, comune a molti altri giovani soldati animati da spirito attivistico ed esaltati dalla retorica bellicista, di ritrovarsi, immediatamente giunti al fronte, in «una pacifica villeggiatura in montagna»; come scrive anche nella già citata lettera, «I pericoli qui non sono poi grandi come generalmente si crede». Sono tuttavia i rumori, i boati dei cannoni, le macchine e i congegni bellici, le periodiche piogge «di ferro e di sassi sollevati dallo scoppio delle granate» a far piombare Enrico nella dimensione della guerra moderna: «udii il cannone. Era la voce calma del cannone italiano che molestava le posizioni nemiche con periodici getti di fuoco e di ferro. […] Ed io che credevo – quando partii – di andare subito a battermi!». Nei primi mesi di guerra il giovane appare estraniato, quasi deluso: «Quanto orribile e perfezionata è la guerra moderna! Macchine terribili di distruzione e di morte sono celate su verdeggianti collinette, in ridenti vallate, in incantevoli paesaggi». Proprio la tematica del rapporto conflittuale tra natura e modernità bellica rimane una costante nel diario, sempre simboleggiata dalla figura incombente del cannone: «La visione panoramica era magnifica. Ma vicinissimo a me il cannone fece udire la sua voce baritonale». Enrico non perde le sue convinzioni interventiste e introietta le parole d’ordine della propaganda patriottica ma allo stesso tempo è cosciente di trovarsi di fronte a un evento inedito, a un nuovo e terribile modo di fare la guerra, su cui non può fare a meno di soffermarsi e ragionare: «La guerra d’oggi è guerra d’insidia; i nemici si uccidono senza vederli. Se un uomo si mostra è morto». Le note di guerra si interrompono all’agosto 1915; oltre quella data, è ragionevole supporre, Enrico entra nel vivo dei combattimenti in prima linea. Ottiene la qualifica di Aspirante del 12° Reggimento Bersaglieri e, nel dicembre 1915, si distingue nella difesa di una postazione sul monte Javorcek: viene promosso al grado di Sottotenente di complemento il 26 dicembre. Nel marzo 1916 è sul monte Pal Piccolo. Il 27 marzo, al comando di un plotone, si ritrova improvvisamente sotto attacco; viene ripetutamente ferito dopo essersi più volto esposto fuori dai ripari per individuare gli appostamenti nemici. Muore il 29 marzo 1916 nell’ospedale militare di Timau. Gli vengono resi gli onori militari dagli ufficiali e da un battaglione di bersaglieri e alla famiglia verrà consegnata la medaglia di bronzo al valor militare. Un suo compagno d’armi, anch’egli pavese, lo ricorderà con affetto sulla “Provincia Pavese” descrivendolo come ottimo soldato ed eroe di guerra.
18 maggio
Salvatore Vico, nato a La Maddalena in Via Garibaldi, classe 1896 (12 agosto), figlio di Salvatore e di Giacomina Luccioli, seminarista a Sassari, veniva dichiarato abile al servizio di leva. Il 1° ottobre successivo, lasciato il Seminario Tridentino di Sassari, si recò ad Ozieri, dove indossò la divisa militare del Regio Esercito Italiano. Inquadrato nel 45° Reggimento di stanza a Oristano e promosso caporale, vi rimase fino al successivo mese di novembre. “Io ero un caporalino, dovevo badare ai soldati che mi erano affidati” scrisse nelle sue memorie. “Ero un soldatino che temeva di partire per il fronte di guerra …”. È vero dunque che c’erano, in quegli anni di guerra, tanti maddalenini che, infervorati dalle idee patriottiche e carichi di spirito d’avventura e di generosità, partivano volontari per il fronte, ma ce n’erano altri, probabilmente i più, che della guerra avrebbero fatto volentieri a meno, e temevano, cioè avevano paura – sentimento umanissimo – di esserne coinvolti. Salvatore Vico il 13 ottobre 1916 veniva inviato all’Ospedale Militare di Cagliari dove fu dichiarato rivedibile per le sue condizioni di salute. Richiamato il 18 ottobre 1917 ad Ozieri, dall’ospedale di Sassari ottenne una licenza di un anno per malattia. Dopo un ulteriore ricovero all’ospedale militare di Cagliari il 24 giugno 1918 veniva riformato. La guerra non fatta di padre Salvatore Vico si concluse lì. Messa così, la storia del fondatore della Congregazione Missionaria delle Figlie di Gesù Crocifisso, oggi Servo di Dio, per il quale è aperto un processo di Beatificazione, sembrerebbe quella di un quasi “prete” raccomandato, nipote del parroco di La Maddalena, che riuscì ad evitarsi la guerra. C’è invece da ricordare che il giovane Salvatore Vico ebbe sempre uno stato di salute molto “cagionevole”, spesso colpito da bronchiti (una, molto seria, nel 1910 non gli consentì di sostenere gli esami al Ginnasio), che lo costrinse poi, tra il 1913 e il 1914 a “forzati periodi di assenza dal Seminario di Sassari”, soprattutto per problemi alle vie respiratorie e “per una proliferazione di polipi” che lo obbligò, in quegli anni, ad una serie di interventi chirurgici (quattro), a Torino. Senza contare, la rottura, nel 1913, del timpano dell’orecchio sinistro, “che dovette risultare permanente”. E negli anni successivi ne ebbe conseguenze. (C. Ronchi)
5 giugno
Grande offensiva austriaca conosciuta come Strafe-Expedition. La Brigata ‘‘Sassari’’ è in linea sull’Altipiano dei Sette Comuni. Tra giugno e luglio andrà inutilmente all’assalto delle munitissime posizioni austriache, con gravissime perdite.
9 luglio
Umberto Bergonzelli nel 1915 ha 19 anni, è il minore di tre fratelli ed è militare di leva nella Brigata “Cremona”. Nell’estate del 1916, con questa unità è impegnato in sanguinosi combattimenti in trincea, costituiti da attacchi frontali e contrattacchi. Durante un furioso combattimento notturno, del diciannovenne maddalenino si perdono le tracce e non si hanno più notizie. E’ iniziato da poco il mese di luglio del 1916 e ci si avvicina alla festa patronale di S. Maria Maddalena ma il clima nel paese non è quello della festa, tante famiglie sono in ansia per le sorti dei loro cari, impegnati nei vari fronti della guerra. La notizia che arriva alla madre, Isolina, è crudele: Umberto è disperso. “Disperso” è una parola che in guerra significa, il più delle volte, che il corpo si è dissolto nelle esplosioni delle bombe. Dopo i primi giorni passati nella speranza di una buona notizia, passano anche le settimane e poi i mesi, senza che niente muti la situazione. Trascorre così quasi un anno quando, il 19 giungo del 1917, il quotidiano “Il Giornale d’Italia” pubblica sorprendentemente la notizia che la Santa Sede, ha scoperto la sorte di un giovane soldato dell’isola di La Maddalena, dato per disperso molti mesi prima, si tratta proprio di Umberto! “Dopo mesi di angoscia” scrive il quotidiano, “i famigliari hanno finalmente potuto apprendere, grazie alla Santa Sede, che il giovane soldato è morto nella notte del 6 luglio 1916, ucciso dalle pallottole austriache“. E’ la fine di ogni speranza per la madre, ma Umberto Bergonzelli, entrerà a far parte di quella schiera di figure maddalenine che hanno attraversato con onore la storia!
14 luglio
In azione di guerra nel mare Adriatico viene affondato il Regio Sommergile Balilla, morirà il maddalenino Alfredo Onorato. Capo di 2° classe C.R.E.M.,membro della Capitaneria di porto di La Maddalena, verrà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
16 luglio
Non si sa come mai, da sempre, in questo arcipelago, in estate, si lanciava l’allarme per uno squalo. Andando a ritroso nel tempo, se ne trova traccia persino nel 1898. Ma il 16 luglio 1917, mentre giungono in città le prime avvisaglie di un clima bellico di estrema preoccupazione, l’opinione pubblica locale trova il modo di distrarsi sia dalla sempre più vergognosa crisi idrica, sia dalle ripercussioni della drammatica guerra in corso sul Monte Grappa, correndo dietro al solito squalo, segnalato al Municipio, questa volta, dal Comandante Zavaglia. “E’ stato avvistato un pesce cane – è scritto nel testo dell’ennesimo telegramma – che aggirasi nelle acque dell’estuario. Prego disporre che i bagnanti non si allontanino dalla spiaggia, tenendosi in acque profonde non più di un metro e mezzo”. Puntuale lo stesso giorno viene affisso in città un manifesto apposito a firma del Sindaco facenti funzioni Domenico Bargone.
5 agosto
Il re concede motu proprio la medaglia d’oro al V.M. alla bandiera di ciascuno dei due reggimenti della ‘‘Sassari’’: altre due medaglie saranno concesse alla fine della guerra.
23 agosto
Muore Romeo Battaglia, era nato il 16 dicembre 1896 a La Maddalena. Venne chiamato alle armi ed assegnato , come soldato, al 41° reggimento fanteria della brigata Modena. il 23 agosto del 1916, in Val Chiese, solo due giorni dopo avere compiuto 20 anni, venne travolto ed ucciso da una valanga.
1 novembre
Muore il Tenente Pietro Bargone, era nato a La Maddalena il 17 marzo del 1890, all’entra in guerra dell’Italia aveva quindi 25 anni. Arrivò la chiamata alle armi e venne inquadrato nel 150° reggimento che faceva parte della Brigata Trapani. Il 17 settembre del 1916, combattendo per la conquista delle trincee di Lodvika, sotto un violento fuoco nemico, con coraggio e perizia condusse il suo plotone all’assalto delle trincee austriache. L’assalto si infranse contro i reticolati di filo spinato esposti al fuoco nemico diretto, Ii suoi uomini combatterono aspramente senza retrocedere; finché non arrivò l’ordine di ripiegare. Per questa azione Bargone venne decorato di Medaglia di Bronzo al Valore militare. Circa un mese dopo era ancora alla testa dei suoi uomini nei combattimenti del medio Isonzo, sulla Collina “Fiore”, vicino Gorizia e mentre conduceva un assalto, cadde colpito a morte il 1 novembre 1916. Aveva 26 anni. Gli fu concessa una seconda Medaglia al Valore, questa volta d’Argento ed alla memoria, con la seguente motivazione: “Splendido esempio di slancio e coraggio ai suoi soldati, raggiungeva in breve tempo ed occupava con la sua compagnia una posizione nemica. Con calma e fermezza sventava un contrattacco avversario e incitava i suoi uomini finché mortalmente colpito, non cadeva sul campo”.
11 dicembre
“…Questa bella e forte nave può chiamarsi fortunata, Maestà, perché, battezzata con l’augusto vostro nome..”
Così iniziava il discorso del comandante, rivolto all’unica regina del regno d’Italia, la Regina Margherita, moglie del Re Umberto I, che, madrina della nave, nel maggio 1904 consegnava la bandiera di combattimento alla nave che portava il suo nome.
Solo pochi anni fa, dopo oltre 90 anni è stato ritrovato nei pressi delle coste albanesi, a 70 metri di profondità, il relitto della corazzata italiana Regina Margherita. Si trattava di una nave lunga 140 metri che nel 1916 aveva un equipaggio di oltre 700 uomini, armatissima e provvista di una corazza d’acciaio era, per l’epoca, considerata un vero capolavoro dell’ingegneria navale. Aveva anche una gemella, la Benedetto Brin e le due corazzate furono gemelle anche nel destino, che le vide andare perdute in circostanze per entrambe drammatiche misteriose, nel corso della prima guerra mondiale.
Questo c’entrerebbe poco con la storia di maddalena, se non fosse che tra i 700 componenti dell’equipaggio della Regina Margherita vi erano ben 12 marinai maddalenini ed altri 7 facevano parte dell’altrettanto numeroso equipaggio della Benedetto Brin ed anche il timoniere di questa corazzata era un “isolano”. Insomma, due piccole comunità maddalenine vivevano sulle due navi più prestigiose della prima guerra mondiale!
La prima ad andare perduta fu la Brin. La mattina del 27 settembre 1915, mentre si trovava alla fonda nel porto di Brindisi, una spaventosa esplosione, la scosse violentemente sollevandola quasi dal mare. Si piegò da un lato ed affondò immediatamente trascinando con se circa 500 uomini dell’equipaggio.
Il capo cannoniere maddalenino Ignazio Pittaluga, al momento dell’esplosione si stava recando nei locali inferiori perché un marinaio del suo reparto aveva chiesto una coperta, l’eplosione lo investì in pieno con la coperta tra le mani, uccidendolo sul colpo. Il cannoniere scelto Giovanni Battista Volpe, di soli 18 anni, scomparve con la nave; morì anche il timoniere isolano dell’unità, il Capo Timoniere Pietro Serra, aveva da poco compiuto 28 anni; uguale sorte subirono altri marinai, il ventottenne Giovanni Morelli, il ventunenne cannoniere Domenico Mazzucco con Salvatore Peroni di 19 anni e Umberto Michelini, il più giovane che aveva appena 18 anni.
L’unità gemella, la Regina Margherita, nella notte dell’undici dicembre del 1916, lasciò il porto di Valona mentre infuriava una tempesta. Subito fuori dal porto due violente esplosioni squarciarono la corazza ed in pochi minuti, come un pezzo di ferro, precipitò verso il fondo buio del mare, trascinando 671 marinai . Anche in questo caso 11 marinai maddalenini scomparvero in quella notte, Antonio Bertini che aveva 20 anni ed era un fuochista, un altro fuochista era Giuseppe Caraveo ed aveva 19 anni; morirono Pietro Cappelloni che a soli 22 anni era già Capo Timoniere e Luigi Corrà, diciannovenne marinaio semplice. Aveva scelto la carriera militare ed era già arrivato al grado di Capo Furiere a 32 anni Vincenzo Caucci mentre Giovanni Orlando era secondo capo e di anni ne aveva 26. Scomparve Romeo Cordati marinaio fuochista ventenne. Si fermarono per sempre al grado di allievi fuochisti Amedeo Ferracciolo di 20 anni, Antonio Impagliazzo di 22, Adolfo Ligas di 21 ed Andrea Perino che aveva pochi giorni prima compiuto 20 anni. Dall’affondamento della Regina Margherita miracolosamente si salvò Giuseppe Conte che però rimandò il suo appuntamento con la morte al 1943, quando, comandante di un piccolo piroscafo requisito (Silvia Onorato), che trasportava materiale per la marina facendo la spola tra Maddalena e il continente, venne silurato ed affondato da un sommergibile inglese, in agguato all’uscita dell’arcipelago…
Il disastro della Benedetto Brin venne imputato ad un atto di sabotaggio di alcuni marinai italiani vendutisi agli austriaci, mentre per la Regina Margherita vennero formulate diverse ipotesi, dai siluri alle mine al sabotaggio, nessuna di queste venne però concretamente dimostrata. I marinai responsabili dell’affondamento della Brin invece vennero condannati a morte, la condanna venne tramutata poi in ergastolo e nel 1942 vennero definitivamente liberati; le 18 vittime maddalenine erano già state dimenticate! Ricordiamole almeno noi!
La regina non sopravvisse di molto alla nave, morì giovanissima, nove anni dopo l’affondamento della corazzata che portava il suo nome.. (Gaetano Nieddu)