Dario Leli: un marinaio nella Resistenza
Era dura la guerra in quel lontano 1944, e le sue sorti non erano certo favorevoli all’Italia, colpita dall’aviazione alleata in ogni punto del suo territorio. Ed era anche arrivata a nord, al confine fra
la Sardegna italiana e la Corsica francese, nell’arcipelago delle isole della Maddalena sede dell’Arsenale, importante obbiettivo strategico per chi voleva distruggere il naviglio italiano ed eliminare i suoi coraggiosi equipaggi. Sabato 10 aprile 1943 si scatena l’infernale bombardamento aereo americano che devasta la base distruggendo la Caserma Faravelli ove sono acquartierati gli equipaggi. Dei due incrociatori pesanti alla fonda, il “Trieste” è affondato ed il “Gorizia” gravemente danneggiato. I sommergibili in rada “Mocenigo”, “Aradam”, “Topazio” e “Sirena” non sono colpiti (salvo, leggermente, il primo), ma i loro equipaggi, scesi a terra ove non esistono rifugi, subiscono importanti perdite: 1 morto e due feriti del “Mocenigo”, 3 morti e 10 feriti del “Sirena”, 1 disperso e 1 ferito del “Topazio”, 2 i feriti dell’ “Aradam”. Le macerie coprono i
corpi delle vittime e da esse si levano i lamenti dei feriti.
Dario Leli, un robusto giovanotto ventenne imbarcato come radiotelegrafista sul “Sirena”, miracolosamente illeso, si prodiga per prestare soccorso ai feriti e fra questi intravvede il suo Comandante, il Tenente di Vascello Luciano Garofani che, gravemente ferito alla gamba destra, è semincosciente ed in preda ad una grave emorragia.
Nella confusione generale, lo conforta e tenta di arrestare il sangue che esce a fiotti dalla ferita, ma ben presto si accorge che non potrà far nulla per salvarlo, e che occorre trasportarlo all’ospedale militare distante mezzo chilometro. Ma come? Se lo carica sulle spalle ma si rende conto che non ce l’avrebbe fatta con quel peso addosso a raggiungere la meta ed allora, disperato, vista in mezzo alle macerie una carriola, vi carica sopra il corpo inerte ed inizia la corsa disperata. La fatica è immane, ma i lamenti del ferito che ad ogni sobbalzo del rudimentale
mezzo di trasporto escono dalla sua bocca gli dicono che deve farcela ad ogni costo, e l’ospedale è raggiunto.
Ma non è finita, anche lì la confusione è massima, e, nonostante le sue proteste per l’evidente pericolo di vita in cui versa il ferito, gli ordinano di mettersi in coda.
Allora, fuor di sé, ricorre ad un’azione che in altri momenti mai avrebbe osato fare: si apparta e approfittando del caos, toglie di dosso al suo Comandante la divisa, la indossa, e con l’autorità delle stellette da ufficiale pretende ed ottiene che l’uomo che egli afferma essere un suo marinaio, dissanguato e sfinito dal trasporto che lo ha straziato, venga immediatamente portato in sala operatoria. La sua vita sarà salva ed il dramma vissuto assieme (che meritò a Dario Leli due medaglie di bronzo) crea fra di essi un legame indissolubile che si scioglie solo quando il 12
novembre 1978 l’ex Comandante Luciano Garofani dà l’estremo saluto al suo ex marinaio Dario Leli che, colpito da grave malattia, lascia questa terra.
Giovanni Zannini