Descrizione dei fabbricati ed adiacenze
Appena stabilitosi in Caprera come s’è detto, nella casa di legno fabbricata a Nizza, Garibaldi pensò a diè mano alla costruzione di diversi fabbricati ultimati in tempi diversi. Uno è il fabbricato dove abita il Generale colla propria famiglia e che serve ad alloggiare gli amici, ed anche i curiosi che recansi a visitarlo. Esso è a un solo piano, ed ha nel mezzo una scala a chiocciola per la quale si ascende alla terrazza superiore. Il Generale dorme nella stanza in angolo Sud-Est: l’altra, in angolo Nord-Est è camera da pranzo: fra queste due vi è una loggetta che da accesso alla scala suddetta, alla cucina, al rimanente del fabbricato abitato dalla famiglia e dai visitatori. Vi è una casa in ferro venuta dall’Inghilterra, che serve per abitazione. La stalla per le bestie vaccine e per i cavalli, lunga oltre 24 metri, e larga presso a sette con soprastante fienile. Si noti però che il Generale ora ha solamente la cavalla che montò dopo lo sbarco a Marsala, e che gli servì per tutta quella campagna. E’ una cavalla di razza siciliana, che ha partorito a Caprera due puledri, figli del cavallo arabo, che non è guarì ha venduto. Siccome in Caprera, come si è notato, non sarebbe possibile una stabile coltivazione senza abbondante e buon concime, così il Generale Garibaldi mettendo in atto una pratica (da molti agronomi pur troppo trascurata) tendente a impedire il più che è possibile la dispersione de’ principi nitritivi del letame, ha fatto una concimaia attigua al lato di settentrione della stalla, cingendola di muro, e coprendola con tetto di tegole. Vi è un magazzino ove si conservano gli istrumenti rurali; la colombaia, il pollaio, un portichetto per mettervi a coperto la macchina a vapore destinata a muovere il mulino quando il vento non agisce. E’ questa una locomobile della forza di quattro cavalli, fabbricata a Treviso, e un forno per gli usi domestici. Questi tre piccoli edifizi sono basati in un uno scogliuzzo superiormente appianato. Vi è inoltre, un boschetto di acacie, a levante di esso un orto, difeso per tre lati da muri a secco ed a settentrione da quattro file di giovani cipressi in prossimità della vigna. In mezzo a quest’orto fu escavato un pozzo sopra il quale venne collocata una tromba che serve all’irrigazione delle varie piante ortive. Sparse irregolarmente nell’orto vi sono piante di fichi, mandorli, peschi, fichi d’india ecc. Altri tre piccoli spazi di terreno sono coltivati a piante ortive. Per irrigarli si fa uso di un innaffiatoio sopra un carretto. Vi è un albero, formato da due antenne collegate insieme, fu questo un delicato pensiero del Duca di Schutterland, il quale riflettè che egli non era il solo ammiratore di Garibaldi, e che mole navi avrebbero in passando salutato il Solitario di Caprera. L’albero serve per issarci la bandiera a risposta del saluto delle navi; e il bravo inglese volle assistere, aiutare e incoraggiare coll’opera propria i lavoranti nella collocazione dell’albero medesimo. Vi è anche un mulino a vento che per la sua forma particolare merita di essere descritto. L’asse della ruota è collocato nella direzione Nord-Sud, nella quale il Generale ha osservato che a Caprera non spirano quasi mai venti; di9 modo che qualunque direzione abbiano gli altri venti. battono più o meno verticalmente le pale della ruota, che sono di legno, e la costringono per ciò a muoversi. Con questo motore, or ora ultimato, e dal quale il Generale spera buon effetto, dev’essere messa in moto una macina del diametro di cent. 36, colla quale si possono macinare dai 15 ai 20 chilogrammi di grano l’ora. In questo modo si può avere il grano macinato pei bisogni degli abitanti di Caprera, ossia per la famiglia del Generale, del colono e di due pastori, senza l’incomodo e la spesa di mandarli altrove. All’angolo Sud-Ovest del terrazzino comincia una strada rotabile che discende fino al porto detto Scapecchio. Per costruirla e renderla e renderla atta al comodo trasporto dei prodotti rurali, e senza pendenze troppo risentite, convenne minare i sassi granitici, trasportarli altrove, e rialzare dove occorreva, i luoghi depressi. Percorrendo questa strada, a mezzo pendio circa, riscontransi in prossimità della stessa e dal lato sinistro due casette in muramento coperte di tegole: al Sud di queste vedesi una capanna pastorizia che sta per essere ridotta ad abitazione e coperta come le altre. I suddetti tre fabbricati sono ai vertici di un triangolo pressoché equilatero, e del lato di circa 35 40 metri, e servono per l’abitazione della famiglia colonica, composta di dieci persone che lavora a mezzeria tutte le terre coltivate dal Generale, meno alcune porzioni. Intorno e fra queste tre casette, vi sono quattro orticelli cinti da macerie, (costrutte in gran parte dal Generale coi pezzi di macigno che ne ingombravano la superficie) per uso della famiglia colonica. Una di queste casucce fu fabbricata da Madama Collins che vi ha abitato prima di vendere al Generale la porzione dell’isola che essa possedeva: le altre erano due capanne. Dall’altra parte della strada, in faccia all’inferiore delle tre casette avvi un parco cinto dal solito muro a secco, e nel lato settentrionale di questo è costruito un ovile in mattoni: quest’ovile colla circostante corte, vien detto colà Compolo. Discendendo per la descritta strada, a non molta distanza dalle tre casucce s’incontra un campo denominato Tola. Partendo dal mulino a vento e salendo verso levante, a 500 metri circa trovasi una casetta con annesso un piccolo orto e una vigna con frutti. Il tutto di un mezzo ettaro circa. Nell’orto è una fonte perenne di acqua eccellente. A poca distanza evvi pure un’altra vigna di 50 are circa. Tanto l’una quanto l’altra di queste vigne son formate e mantenute come le più grandi che descriverò or ora. Distante circa tre chilometri dai Fabbricati, e presso al porto detto Stagnale, avvi un’orto di circa 20 are con case e caprile: il tutto pure denominato Stagnale. Finalmente presso il lato settentrionale dell’abitazione del Generale ha origine un’altra strada rotabile tracciata da lui, la quale lambe a ponente l’appezzamento detto Fontanaccia, e conduce al porto chiamato Stagnarello, presso al quale è il fabbricato che superiormente si disse servire ad uso arsenale.
Giuseppe Garibaldi amava le api, anzi, l’apicoltura era la sua “occupazione prediletta”. E’ una versione inedita della figura dell’ eroe dei due mondi, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita, che un discendente della famiglia propone, parlando del suo illustre avo, come di un’apicoltore provetto. Secondo alcuni scritti di Garibaldi e, in particolare in una lettera indirizzata al Presidente della Società Italiana di Apicoltura, il generale, in ritiro a Caprera al termine della spedizione dei Mille, definisce l’apicoltura come la sua “occupazione prediletta”. Secondo alcune testimonianze Garibaldi si definiva non un uomo d’armi ma un agricoltore a tutti gli effetti, come dichiara al sindaco di Caprera nel 1880. E lo era davvero se si considera che possedeva circa ottanta alveari, una quantità piuttosto rilevante per l’epoca. La passione per le api pare abbia attraversato nei secoli tutta la famiglia Garibaldi, contagiando avi e discendenti del generale dalla camicia rossa. Nei primi anni del Settecento un omonimo antenato del patriota, di professione medico, allevava api sull’ Appennino Ligure. Nel 1790 un trattato di apicoltura, ‘I prodigi della natura manifestati nella api’, porta la firma del nipote di quest’ultimo, anch’esso di nome Giuseppe. Oggi è un discendente del ramo cadetto di Giuseppe Garibaldi, Renato, che sulle vette della Carnia, a Cercivento, nel cuore delle Alpi friulane, ha trasformato la passione di famiglia in vera e propria professione. Dagli iniziali 2 alveari acquistati nel 1977, Renato Garibaldi oggi ne possiede più di 1.400 e produce 500 quintali di miele di acacia, millefiori di montagna, tiglio, castagno e melata di abete e soprattutto il raro miele di rododendro. La passione per le api della famiglia Garibaldi, dunque, diventa storia. Tanto da aver dato idea anche per una esposizione di documenti e cimeli. Questo lato inedito del generale e della sua famiglia, infatti, sarà raccontata, attraverso una mostra-testionianza dal titolo ‘Il gene apistico della famiglia Garibaldi’, nel corso della Settimana del Miele, meglio conosciuta ormai come ‘Stati generali’ del settore, in programma a Montalcino (Siena), dal 7 al 9 settembre prossimi.
Le due selle in cuoio, imbottite di crine, con la loro linea anatomica e i rinforzi nella parte anteriore e posteriore, consentivano una seduta ferma e sicura. Venivano fissate alla schiena del cavallo attraverso il “sottopancia” e sono di provenienza sudamericana, infatti furono portate a Caprera da Giuseppe Garibaldi