Domenico Millelire
Secondo l’atto di morte, che registrava l’età di 66 anni, la nascita di Domenico va fatta risalire genericamente al 1761, e nessun altro documento offre indicazioni più precise e diverse. Nacque, quindi, quale secondogenito di seconde nozze di Pietro con Maria Ornano.
Tutti i documenti concordano nel riferire che iniziò la sua carriera militare con l’arruolamento nell’armamento marittimo nel 1779, all’età di 18 anni e con l’imbarco sul felucone S. Gavino in qualità di marinaio di rinforzo di 3° classe. Ma poi le date degli avanzamenti ed i gradi ottenuti non sempre coincidono rispetto a fonti diverse, per cui di seguito si riportano quelle informazioni direttamente raccolte dai documenti contemporanei, piuttosto che da racconti successivi. Un esempio per tutti possiamo prenderlo da una certificazione elaborata dalla Sovrintendenza agli archivi piemontesi, che in data 17 giugno 1896 attestava i servizi resi da Domenico. Da essa risulta che sarebbe divenuto nocchiero con promozione del 7 gennaio 1794 per cui, contrariamente a tutta la documentazione conosciuta, il nostro eroe nel febbraio del 1793 avrebbe avuto il grado inferiore di comito invece di quello di nocchiere. Vedremo in seguito cosa determinò, invece, il documento del 7 gennaio 1794. La stessa certificazione risulta tanto povera che elenca i suoi imbarchi sino al 1802, e nel riquadro dello stato civile non è stato in grado di riempire gli spazi relativi alla sua maternità e alla data di nascita almeno come anno.
Ma a fronte di queste lacune, in questa certificazione si ritrova un elemento che è stato acriticamente ripreso da quasi tutti gli autori di biografie ricopiate le une dalle altre. La stessa scrittura della intestazione appare ambigua in sé, recitando testualmente: “Millelire Domenico di Pietro (detto (sic) Debonnefoi nato il …. ………nell’isola della Maddalena”: Così come scritto, quel nome di guerra potrebbe riferirsi addirittura a Pietro, e l’avverbio sia posto tra parentesi autorizza dubbi di credibilità della informazione. Nessun documento dei moltissimi che illustrano la sua attività di servizio riportano mai quel nome di guerra attribuito a lui, che non risulta ne avesse alcuno, come d’altronde i fratelli Agostino e Antonio. Tant’è che nella prima fase degli arruolamenti nel filucone e poi nelle mezze galere l’uso del nome di guerra non era particolarmente diffuso come lo sarà a partire dal 1800, e dei Millelire l’unico nome di guerra che si conosce è quello di Altano riferito a Giò Millelire che si ritrova marinaio nella gondola La Sardina’: Il nome di guerra Debonnefoí, inoltre, non lo si ritrova mai segnalato neppure senza l’indicazione anagrafica di riferimento, come accade per alcuni, anche se non molti, nomi di guerra di cui non si conosce il “titolare”. Non fu la mancanza di un nome di guerra tanto significativo che diminuì in Domenico la fedeltà al suo sovrano e al servizio, che onorò in sommo grado per assiduità e valore.
Nel frattempo Domenico s’era sposato con la tempiese-liscese Maria Ventura Cudacholu. La cerimonia si svolse il 15 aprile 1785 nella parrocchia di S. Pasquale di Baylonne a Porto Pozzo, una delle chiese da poco costruite nell’operazione di ripopolamento della Gallura costiera. Dal matrimonio nacquero due femmine e due maschi, ma a sopravvivere furono Annamaria, la primogenita, e Maria Angela, l’ultima. I due maschi soffrirono la damnatio dei Pietro. Il primo nato nel marzo 1788 morì a soli 4 mesi di vita, il secondo, nato nel settembre 1789, sopravvisse per 24 anni e premorì al padre.
Nel febbraio del 1791 firmò con il segno di croce una relazione circa lo stato di usura di una ruota di cordame bianco in qualità di perito. Il testo da atto che Domenico era in quel momento comito nella S. Barbara. Sempre col suo segno di croce sottoscrisse in qualità di testimone, nel novembre dello stesso anno, l’inventario dei miseri effetti di un forzato morto annegato. Ma, finalmente, nei primissimi giorni del 1792 abbiamo una” Relazione del comito Millelire”, relativa ad un suo intervento per un brick inglese proveniente da “Terra Nova dell’America settentrionale ove aveva caricato di baccalari con destino per Livorno, con 41 giorni di navigazione’: Il bastimento aveva impattato negli scogli tra la Marmorata e la punta del Padolaccio, ed era necessaria una operazione di controllo sanitario innanzitutto, e di salvataggio della merce perché non venisse predata. La corposa relazione fu firmata di proprio pugno da Domenico, per cui abbiamo a pochi mesi di distanza l’ultimo documento da lui siglato con la croce ed il primo suo autografo, pur con segno marcato ma con grafia chiara. Naturalmente il testo della relazione era stato scritto da mano diversa, ed anche altri testi successivi che si conoscono, come alcune lettere scritte al fratello Agostino, sono chiaramente scritte da scrivanie da lui sottoscritte con grafia sempre più certa. Di fatto, allo stato della ricerca, non conosciamo testi scritti e firmati integralmente da lui, nonostante le continue note inviate da capitano del porto alla segreteria di stato del viceré a Cagliari negli anni di questa sua funzione. Probabilmente il limite della sua alfabetizzazione ritardata e insufficiente non ha favorito la sua carriera.
Nel corso dello stesso 1792 divenne nocchiere e con questo grado partecipò alle operazioni contro i gallo-corsi del febbraio 1793. La vicenda è sufficientemente nota, anche se non sempre correttamente. Oggi la storiografia, senza la pressione nazionalistica e patriottica, ed in clima di integrazione europea, la può analizzare tenendo conto anche della produzione francese sulla questione corsa in quel momento, dei rapporti con la Francia rivoluzionaria, e in particolare dell’evoluzione della relazione tra Pasquale Paoli, il giovane Napoleone e i Buonaparte. Nonostante tutto, il ruolo e l’azione di Domenico in questa circostanza rimangono intatti in tutto il loro valore. La sua biografia è stata sempre marcata da questo avvenimento, quasi si esaurisce in esso, ed è, però, inquinata da informazioni e racconti non solo di fantasia ma anche equivoci sul dopo. Piuttosto, quindi, che ri-raccontare i fatti del 22-26 febbraio, occorre riportare a correttezza l’informazione documentata di cosa successe dopo, a proposito dei rapporti tra Domenico e Agostino, delle onorificenze, dei benefici economici e delle promozioni. Su tutto ciò, quindi, che è stato oggetto di confuse e non sempre innocenti ricostruzioni, e che è una storia nella storia.
La rievocazione più diffusa e ripetuta nel tempo si rifà a un testo del contrammiraglio Carlo Marchese su Nelson alla Maddalena, apparso nella “Rivista Marittima” del 1902, in cui tratta a lungo di Agostino Millelire. Questo autore ha affermato che: “forse per equivoco o per imperfetta designazione della persona, la medaglia d’oro fu assegnata sulle prime allo Agostino Millelire, il quale pochi mesi dopo ebbe la sgradita sorpresa di sentirsela richiedere, perché s’era inteso di premiare il fratello suo, Domenico”: Corretto l’errore e dato a Domenico quanto gli spettava, sempre secondo Marchese seguirono le rimostranze di Agostino, che portarono le superiori autorità a far pervenire a nocchiere una nuova medaglia e a lasciare al piloto quella che aveva avuto. Di fatto non si conosce nessun documento che attesti la veridicità di quel racconto.
Gli atti raccontano un’altra storia. Il segretario di stato di guerra e marina, Di Cravanzana, con un dispaccio del 3 aprile 1793 indirizzato al viceré, annunciò in un lungo testo le decisioni reali sulle ricompense per i fatti di Cagliari e La Maddalena. A proposito di Domenico e dei maddalenini si legge: “al suddetto nocchiere una medaglia d’oro con avergli pure la M.S. aggiunto un trattenimento di lire trecento annue. Furono anche compresi in questa grazia il timoniere Zonza ed il marinaio Alibertini. Ed ha la M.S. accordate a ciascuno una medaglia d’argento accompagnata da un trattenimento di annue lire cento cinquanta.” Il testo continuava dicendo: “Le compiego qui unite quelle tre d’argento unitamente a quella d’oro suddivísate col nastro uniforme per le medesime stabilito, affinché si compiaccia ella di fame seguire la distribuzione con quelle pubbliche testimonianze che crederà più atte ad eccitare negli isolani e negli equipaggi l’idea di emulare il zelo dei soggetti che se ne meritarono la decorazione“.
Le medaglie furono consegnate con la cerimonia prevista, durante una solenne Messa al campo, con le truppe schierate, il canto del Te Deum e la popolazione festante. Dopo poco tempo si manifestarono due malumori. ll primo di Agostino Millelire, che pur avendo ricevuto 200 lire di Piemonte senza motivazione alcuna, lamentava però che il collega piloto, Rossetti, gli era sopravanzato, per cui chiedeva anche per sé – come già detto – il grado di piloto di fregata. Il secondo di Domenico, che vide pervenire al fratello un premio economico non previsto, mentre il “trattenimento“di 300 lire di Piemonte, ufficialmente annunciatogli davanti a tutto lo schieramento, non gli era stato ancora consegnato. Appositamente attivato, il viceré pose la questione alla corte, provocando un subbuglio per un equivoco di persone. Balbiano, da Cagliari, sollecitò la trasmissione delle” regie provvisioni a favore del nocchiere della S. Barbara, Domenico Millelire, cui S.M. ha accordato il trattenimento di lire trecento, oltre la medaglia in oro Il commissario di guerra – continuava il dispaccio cagliaritano – ha soltanto ricevuto quello che riguarda il piloto Millelire di lui fratello, cui sento che S.M. ha pure accordato lire duecento annue. Nessun problema per le medaglie, quindi, che Domenico aveva regolarmente ricevuto, ma per il beneficio economico molto ambito.
La reazione della corte fu determinata: “ignorandosi qui che esistessero due fratelli, si è tanto più facilmente preso sbaglio nel spedire al piloto il biglietto per la pensione di lire duecento, che deve essere accordata al nocchiere Millelire, inquantoché interpellatosi il cavaliere di Foncenex [allora comandante della marina sarda) a dar notizie di tutti i soggetti de’ regi legni fattisi presenti dal cav. De Constantin per essere ricompensati, assicurò egli che il Millelire era appunto il piloto già molto cognito a questa segreteria’: Chiarito l’equivoco, la corte pretese la restituzione del biglietto economico inviato ad Agostino, per modificarlo a nome di Domenico. A questo punto i due Millelire furono entrambi ancora una volta scontenti. Agostino per aver perduto le 200 lire e non aver ancora ottenuto l’avanzamento richiesto. Domenico per aver visto decurtata la sua pensione da 300 a 200 lire annue, giacche la corte torinese non mollò di una lira rispetto alla cifra di Agostino, modificando le precedenti determinazioni regie.
La formalizzazione della soluzione per Domenico venne con il già citato regio biglietto all’ufficio generale del soldo datato 7 gennaio 1794. Con esso Vittorio Amedeo si riferì propriamente al “nocchiere sulle nostre mezze galere in Sardegna Domenico Millelire“, riconobbe “la valorosa sua fermezza in occasione della difesa dell’isola Maddalena sua patria contro la flotta francese da cui vene attaccata nel febbraio scorso’; ricordò di “averlo in attestato del gradimento che ne rilevammo fatto decorare per mezzo del nostro viceré di una delle medaglie d’oro fattesi da noi coniare per distinto premio del comprovato valore’; e quindi “volendo fargli sperimentare più estesi tratti della nostra beneficenza ci siamo degnati di accordargli un trattenimento di annue lire duecento di Piemonte’; a partire dal primo aprile del 1793. Il documento racconta molte altre cose, innanzi tutto che si tratta “solo” di un provvedimento economico, poiché la decorazione gli fu direttamente conferita dal viceré a suo tempo e non in questa occasione come riparazione di un errore, e, infine, che quella di Domenico non era l’unica medaglia d’oro conferita in quell’occasione tra Cagliari e La Maddalena.
Quattro giorni prima Agostino e Domenico parteciparono al violento scontro navale tra l’armamento marittimo sardo e due bastimenti barbareschi. Si tratta della circostanza in cui Cesare Zonza si guadagnò la medaglia d’oro e Tomaso “La Fedeltà” Zonza quella d’argento. Mentre i fratelli Millelire, al contrario di quanto molti hanno raccontato parlando addirittura di medaglie d’argento, rimediarono niente più di un piccolo compenso economico come quasi tutti i partecipanti.
Dopo i fatti del 1793 Domenico non ha molta evidenza nei documenti della vita e delle azioni della marina sarda; e anche i molti autori che ne hanno esaltato la eroicità non hanno trovato molto di più da raccontare della sua vita professionale, pur con tutto l’interesse a celebrarla per dare maggior spessore al personaggio. Nei nostri documenti c’è solo poco di più, a partire dall’operazione di polizia che svolse nell’agosto del 1796. All’isola si trovava esiliato certo Giovanni Mora, che era stato direttore dell’ufficio delle poste di Sassari ed aveva subìto l’allontanamento da quella città occupata dagli angioiani alla fine del 1795 e l’imprigionamento per un vecchio procedimento penale per brogli postali. Il 6 agosto 1796 riconobbe imbarcati in un leuto capraiese un gruppo di fuoriusciti sardi seguaci di Angioy, protagonisti dei fatti sassaresi e ricercati penalmente per insurrezione armata e li denunciò al comandante Porcile. Risulta che accusò i suoi nemici di trasportare 1500 coccarde francesi e 5000 scudi e fu proprio Domenico, al comando di due gondole “armate in guerra” che abbordò il leuto, arrestò i congiurati e li condusse ad Alghero.
La notorietà che il personaggio assunse quando la ricerca storiografica studiò il giovane Bonaparte alla sua prima sconfitta da parte di un nocchiere sardo, gli valse l’attribuzione di fatti e situazioni cui non aveva preso parte. Ricordiamo due circostanze in cui la inesatta attribuzione è riferita all‘omonimia con il giovane nipote detto Ciavvino, figlio di Giovanni Battista suo fratello maggiore.
Nell’agosto del 1810 una lettera inviata da Bonifacio al barone Des Geneys era firmata da “Domenico Millelire con tutto il suo equipaggi: Si chiedeva l’intervento del comandante della marina sarda presso il generale Morand, comandante militare della Corsica, per il rilascio dell’equipaggio di un imbarcazione maddalenina catturata in una circostanza che non conosciamo. La grafia della firma di questa nota, però, non corrisponde a quella del nostro Domenico, controllata in decine di documenti in cui il nocchiere ha apposto la propria firma. La situazione, quindi, è riferibile a Domenico-Ciavvino, che in quegli anni aveva un’avviatissima attività mercantile con il cabotaggio. Anche tra i documenti di Domenico conservati nel Museo Navale di La Spezia si possono vedere testi firmati Domenico Millelire ma con grafia chiaramente diversa da quella lettera dalla prigionia.
In particolare, uno scritto indirizzato al fratello Agostino steso da uno scrivano e firmata certamente da Domenico, e di contro un appunto datato maggio 1811, interamente autografo, pure firmato Domenico Millelire ma con grafia chiaramente diversa attribuibile a Ciavvino.
La stessa attività di patrone che tre anni dopo fa protagonista sempre Ciavvino di una situazione, stavolta ben conosciuta, che per errore fu attribuita a Domenico di Pietro. Ciavvino aveva acquistato una partita di grano dalla parrocchia di Laerru, attraverso don Gavino Carta, vicario coadiutore del rettore del paese anglonese. I conti non tornarono, e Ciavvino pretese al sacerdote la restituzione di 37 scudi, 2 soldi e 6 denari, che non arrivavano. Dovette intervenire il governatore di Sassari, Revel, sul vescovo di Ampurias e Civita, mons. Paradiso, che fu costretto a far arrestare nelle carceri ecclesiastiche di Castelsardo il sacerdote ritroso. Dopo pochi giorni di galera don Carta riconobbe il suo debito e lo pagò. Lo studioso che ritrovò la documentazione e la pubblicò, non conoscendo l’omonimia tra zio e nipote, e non conoscendo di quest’ultimo l’attività mercantile, attribuì la posizione di creditore al Domenico eroe-protagonista delle giornate del febbraio 1793.
Non risulta che Domenico abbia mai svolto altra attività oltre quella strettamente militare. ll servizio per mare fu tutta la sua vita, e da esso ebbe tutte le soddisfazioni possibili avendo ad esso dato tutte le sue energie. Lo abbiamo lasciato nocchiere nel 1794 e nel 1799 fu nominato primo nocchiere nella mezza galera S. Barbara. Per un altro documento nella stessa occasione avrebbe avuto anche il “titolo” di piloto. L’anno prima quella mezza galera era stata giudicata inadeguata alla navigazione invernale e in poco tempo sarà “riformata” e poi disarmata, e subito dopo altrettanto avvenne per l’altra mezza galera. Prima che arrivasse la nuova fregata Santa Teresa anche Domenico si trovò senza imbarco” per non esservi bastimenti’; relazionava Porcile nel gennaio del 1800.
I documenti ritornano uguali nell’attestare che il 10 febbraio 1804, in piena epoca nelsoniana, fu nominato sottotenente di fanteria nelle regie truppe con commissioni regie. Ma nel febbraio 1807, in un stato degli ufficiali, il comandante Des Geneys attestava il grado di piloto di Domenico, prima di ottenere quello di sottotenente di fanteria. Mentre lo stesso, in un “Tableau des promotions” per il corpo della marina datato 4 giugno 1808, affermava invece che era primo nocchiere. La proposta chiedeva per Domenico il grado di sottotenente di bordo, che però gli venne concesso in condizione di soprannumerario. Questo documento è importante anche perché dà notizia che in quel momento (1808) era imbarcato sulla nuova mezza galera L’Aquila. Lo era anche nell’autunno dell’anno successivo, quando fu chiamato previsionalmente a comandarla in sostituzione di Vittorio Porcile ammalato. Nel 1810 si alternò col fratello Antonio al comando della galeotta La Bella Genovese, e ad agosto gli pervenne la concessione della effettività del grado di sottotenente di bordo.
Ancora due anni e il 28 agosto 1811 furono firmate le commissioni per il conferimento del grado di capitano tenente di fanteria, nella solita alternanza tra gradi di terra e di marina. Il successivo livello fu quello definitivo e gli fu conferito con un provvedimento indirizzato all’ufficio di marina, datato 18 novembre 1815 e firmato da Vittorio Emanuele I nel proprio castello di Stupinigi, ad un anno dal suo rientro nei suoi possedimenti continentali. “Le infermità rimaste a Domenico Millelire, sotto tenente di vascello, – si legge in premessa dell’atto – dopo un non interrotto servizio che a nostra soddisfazione ci prestò pe/ corso di trentacinque anni e le prove non equivoche che costantemente ci diede d’un zelo indefesso, d’una somma prudenza e d’un segnalato valore avendoci benignamente disposti a prenderlo in considerazione per un servizio sedentario, siccome non più atto a sostenere quello di bordo: Segue la disposizione di “assento”, per cui: “Abbiamo perciò conferito al prefato Domenico Millelire la carica di capitano del porto dell’isola Maddalena in Sardegna, col grado si luogotenente di vascello, vi ordiniamo pertanto di assentarlo in detta qualità e di farlo godere dell’annua paga di lire settecento di Piemonte, con gli utili e dritti annessi ad esso posto”. Il documento nella premessa riporta, inoltre, un’affermazione sbagliata che ha ingenerato molti equivoci in autori compilatori di biografie senza verifica documentale, ricostruite da altre precedenti. L’ufficio istruttore della pratica, che redasse il testo del provvedimento in questione, attribuì a Domenico di essersi meritato” il distintivo d’onore della medaglia d’argento, quindi quella d’oro’: Come già detto, gli autori che hanno ripreso questa affermazione hanno indebitamente assegnato la decorazione d’argento ai fatti del3 gennaio 1794, mentre il documento relativo alle ricompense accordate per quella circostanza certifica che Domenico ebbe niente di più che” due mesi di paga gratis”, cioè a dire che oltre il suo mensile ordinario ricevette in aggiunta l’equivalente di una paga doppia.
Seguì il riconoscimento per tutti i medagliati, sia d’oro che d’argento, delle croci dell’Ordine Militare di Savoia appena istituito da Vittorio Emanuele. Alla Maddalena la cerimonia di consegna avvenne tra fine ottobre e primi di novembre del 1815 e fu celebrata, su delega del viceré, dal maggiore Agostino Millelire comandante delle isole intermedie. in questa occasione ricevettero la croce di cavaliere il tenente di vascello Domenico Millelire, il nocchiere col grado di piloto Cesare Zonza, il capo cannoniere Francesco Zucchitta e il nocchiere Tomaso Zonza, il marinaio Antonio Aiibertini ebbe invece la croce di merito, il titolo fu sempre utilizzato da Domenico che usava firmare con la dicitura estesa di cavaliere o con la sigla cav.
Nei lunghi anni di comando del porto inviò alla corte vicereale, e al comando del 3° dipartimento di marina stabilito a Cagliari, centinaia di note a sua firma coi resoconti della sua attività e con gli adempimenti della sua funzione. in questo quindicennale ufficio si trovò a disbrigare anche l’incarico di comandante del bagno penale e quindi gestore dei galeotti impegnati nei lavori. Fu anche comandante provvisionale di Marina, probabilmente una sorta di coordinatore dei vari comandi afferenti all’attività di marina, ormai molto ridotta, che facevano capo all’isola. I suoi testi, tutti redatti da scrivani, e sempre firmati da lui con grafia molto marcata e sempre più insicura, erano relativi al disbrigo burocratico delle informazioni dovute, da cui non si ricava alcuna indicazione problematica od orientamento personale su questioni politiche o sociali.
Morì praticamente in servizio ii14 agosto 1827, all’età di 66 anni, e il comandante della piazza Gaspare Andreis ne relazionò qualche giorno dopo al viceré in questi termini: “La sera delli 14 corrente, alle ore 3 pomeridiane, cessò di vivere il capitano di questo porto, cavaliere di Savoia sig. Domenico Millelire, dopo il suo lungo incomodo di tanti anni che aveva, ed all’indomani fu portato in chiesa e li furono fatti gli onori funebri dovuti al suo grado a termini del regio regolamento delli 21 giugno 1823”.
Salvatore Sanna – Co.Ri.S.Ma
Vedi anche: I Millelire colonizzatori delle Isole Intermedie nella prima metà del sec. XVIII