Domenico Millelire e il parroco
Avvenne più di 200 anni fa. Un vero colpo di scena dell’amministrazione della giustizia in Anglona. Un insolito caso di “dolosa negligenza” di cui fu protagonista il sacerdote Gavino Carta, allora parroco di Laerru. A dare notizia della curiosa vicenda, verificatasi tra la primavera e l’estate del 1813, è stato per la prima volta nel 1966 il periodico diocesano “Gallura e Anglona”.
Più recentemente, la notizia è stata ripresa da un’altra rivista territoriale, “La Frisaia”. L’articolo pubblicato dai due giornali informava sull’arresto del religioso Gavino Carta messo in atto dalle autorità giudiziarie del tempo per volontà del vescovo Stanislao Paradiso. L’accusa, poco lusinghiera, sarebbe stata quella di non aver mai restituito la somma di 37 scudi, due soldi e sei denari, dovuta a Domenico Millelire, figlio di Giovanni Battista Millelire, figlio primogenito di Pietro, nato dal suo primo matrimonio con Maria Caterina Zicavo, e quindi fratellastro di Agostino e di Domenico. Questo Domenico non era militare, ma era un patrone marittimo, aveva una florida attiività commerciale ed aveva lo strau di Ciavvino. Allora, come si saprà, Laerru, insieme a tutta l’Anglona, era uno dei centri cui si rivolgevano preferenzialmente i mercanti e gli uomini d’affari della Gallura per approvvigionarsi di grano. Il fatto che l’Anglona fosse considerata, sin dai tempi dell’occupazione romana, il granaio del nord Sardegna non è certo un mistero. Fu così che Domenico Millelire scelse Laerru, individuando in Gavino Carta, forse amministratore della ricca prebenda parrocchiale, oltre che vicario coadiutore di don Giuseppe Carcupino, rettore di Laerru, la persona più indicata per portare a termine la transazione. Conti alla mano, soppesando la quantità di grano realmente ottenuta e la cifra versata, Millelire si accorse che non tutto quadrava. Iniziò così a esigere i 37 scudi, frutto forse dell’involontaria “cresta” del religioso.
Questi si dimostrò però più recalcitrante del previsto, tanto che i ripetuti solleciti di Domenico Millelire rimasero tutti inascoltati. E così fu per un po’ di tempo, a quanto pare, anche per l’ammonizione del vescovo di Ampurias e Civita, che richiamò il prete di Laerru sotto l’ordine del governatore di Sassari, il conte Revel. Insomma, la faccenda rischiò allora di complicarsi ulteriormente, se il religioso non fosse sceso a più miti consigli. Quelli, in parole povere, del suo vescovo, che, visti comunque gli sviluppi della vicenda, non riuscì ad evitargli qualche giorno di detenzione nelle carceri ecclesiastiche di Castelsardo. La drastica misura della prigione risultò piuttosto efficace. Il debito venne saldato, il creditore rimborsato e Gavino Carta fece ritorno a Laerru. Delle carceri ecclesiastiche di Castelsardo, dove il religioso ebbe modo di ravvedersi, si sa ancora ben poco. Due anni dopo la vicenda di don Gavino Carta, un suddiacono tempiese, don Peppino Sardo Piccolomini, riuscirà a evadere. Segno che forse le prigioni sarde dell’epoca, ecclesiastiche e non, non offrivano garanzie per un soggiorno di tutto riposo.