Donne di Caprera
Molto si è scritto e si continuerà a scrivere sulle vicende della famiglia Garibaldi. I contrasti familiari si trascinarono per molti anni e sono nati essenzialmente perché i figli di Anita furono trattati in modo immeritevole da colei che divenne la “signora” di Caprera: Francesca Armosino, quando venne a seguito della figlia di Garibaldi Teresita come bambinaia dei suoi numerosi figli nel 1867.
Premetto che i figli furono costretti ad accettare per rispetto del padre, che Francesca, l’astigiana venuta a servizio della figlia Teresita divenisse la moglie di Garibaldi, anche per riconoscere i figli da lei avuti. Sulle vicende della famiglia Garibaldi, ho rinvenuto della corrispondenza che la figlia di Garibaldi, Clelia, scrisse alle autorità civili e militari di La Maddalena, che riporta sia il matrimonio di Garibaldi con sua madre che molti altri fatti che a tutt’oggi ci erano sconosciuti.
Un libro scritto dal Colonnello Curzio Cornacchi nel 1907, oramai raro, dava già una visione chiara di come siano andati a deteriorarsi i rapporti con i figli di Anita. Con R.D del 14 luglio 1907 n. 503, la Casa di Garibaldi in Caprera, veniva decretata Monumento Nazionale con l’annessa azienda, e permetteva alle due donne di rimanere vita naturale durante ad abitare nei locali ove dimoravano, serbando i mobili di loro personale spettanza.
Tutto questo venne loro riconosciuto solamente il 2 febbraio del 1916 in virtù del quale le predette Signore hanno ceduto alla R. Marina i loro diritti sui beni dell’Eroe per il prezzo di lire 93.000. Curzio Cornacchi, ripercorre fedelmente con le sue rivelazioni documentate, scritte per mettere in chiaro le verità alle tante vicende che dal 1867 in poi, vennero a crearsi con l’arrivo dell’Armosino a Caprera e quando cominciò a “governare” l’intera famiglia e tutti quelli che vi abitavano o venivano ospiti presso Garibaldi. .
Con questi presupposti si può immaginare come siano andati a deteriorarsi i rapporti con i figli di Anita e con i compagni che ormai abitavano presso il Generale. Dopo la scomparsa dell’Eroe e prima che si arrivasse a sapere chi doveva disporre o controllare l’andamento della Casa di Caprera, il governo dell’isola veniva impugnato dall’Armosino che dava immediatamente ad intendere che tutto sarebbe cambiato nel piccolo paradiso voluto da Garibaldi, essendo lei la legittima moglie di Garibaldi avendolo sposato il 26 gennaio del 1880, soltanto lei poteva disporre di tutto aiutata dai figli Manlio e Clelia.
Il tutto veniva confermato anche dal testamento olografo redatto il 30 luglio del 1881 dal Generale Garibaldi che disponeva: Art. 3 Mia moglie Francesca è usufruttuaria di tutti i miei beni; con l’art. 14 Lascio a Francesca l’usufrutto del palazzo da me abitato con quanto vi è annesso e connesso, sino al muro Collins, che divide l’Isola in due, a condizione però che dopo la morte di essa subentrino nel godimento e nella proprietà i miei due figli Manlio e Clelia. La parte a sud del muro Collins sarà divisa fra i miei figli Menotti, Teresita e Ricciotti.
Nel frattempo che si decidesse le varie proprietà fra gli eredi e di quanto doveva rimanere dopo l’esproprio nell’interesse della difesa dello Stato e quanto doveva restare per il nuovo museo di Garibaldi. Ricciotti, Menotti e Teresita, sempre con l’accordo di Francesca Armosino venivano divisi degli oggetti del padre quale ricordo e cimelio di famiglia. Alla morte di Manlio avvenuta il 13 gennaio 1900, Ricciotti fa comprendere a tutti il desiderio che nel piccolo cimitero di famiglia il Padre rimanesse da solo vicino ai resti mortali di Rosa avuta dall’Armosino e di Anita avuta dalla Ravello. Francesca Armosino decise per suo conto che le spoglie mortali del figlio devono riposare accanto al padre. Riciotti non accettò tale affronto ed appena ne ebbe la possibilità, dopo la partenza di Francesca e di Clelia dall’isola, spostò la tomba di Manlio di qualche metro di distanza dal genitore, ma a metà dei lavori venne bloccato e denunciato. Desiderava che il padre rimanesse isolato dal resto della famiglia in modo che se ne esaltasse il leggendario spirito immortale dell’Eroe venerato da tantissima gente, colui che nel Risorgimento Italiano aveva dato un nuovo impulso ai sentimenti di Libertà, di Uguaglianza e Fratellanza fra i Popoli. Per questo ed altro Francesca e Clelia denunciarono il Ricciotti che venne condannato al risarcimento dei danni causati nel piccolo cimitero ed alle spese processuali.
Ricorse in cassazione contro Francesca e Clelia che vinsero la causa e vennero confermate le legittime e sole proprietarie, e pertanto dovette pagare un’altra bella somma e per di più non poteva più fare altre azioni contro loro. Questo fu il primo atto che mise in luce come andavano ad allinearsi le vicende di Caprera. L’aver trovato questa documentazione , ha dato la possibilità di conoscere meglio la figura di Ricciotti ed il suo comportamento verso la matrigna che era pressoché una sua coetanea con una differenza fra i due di un’anno.
I fatti che vengono raccontati iniziano nel 1912, quando il Ricciotti con tutta la sua famiglia organizzarono per il 2 giugno dello stesso anno con la Società Superstiti Garibaldini di Roma, in ricordo della Mamma Anita, una solenne manifestazione, di posare a Caprera presso la tomba dell’Eroe, un busto di bronzo della fonderia di Adolfo Laurenti di Roma, in perenne ricordo della compagna di tante battaglie in Sud America e durante la Repubblica Romana del 1849 da parte dei figli, informando le Autorità militari e civili del programma.Di questo fatto vennero informate immediatamente sia Francesca che Clelia, che stravolte da questo avvenimento si misero immediatamente in apprensione pensando che questo episodio le avrebbe messe in secondo piano e che bisognava trovare il modo che non si parlasse solamente delle imprese di Garibaldi e del suo mito m anche e di loro; le attuali custodi delle ceneri dell’Eroe. Donna Francesca e Clelia si opposero subito al fatto di mettere il busto di Anita nel luogo delle tombe nella pineta sottosante la casa, adducendo in modo incomprensibile, di non voler il busto vicino alla tomba di Garibaldi e che loro erano le legittime custodi del compendio garibaldino e solamente loro potevano decidere quello che si doveva o non si doveva fare a Caprera ed avrebbero accettato con riserva che venisse messo nel museo, ma alla fine nemmeno questo fu fatto. Tutto questo fu possibile alle due donne perché approfittavano della cortesia dei militari che dovevano controllare e dare i permessi, per visitare il museo e le tombe. Troppo tardi lo Stato italiano comprese che questo loro comportamento aveva degenerato e ridicolizzato la casa di Garibaldi e tutta la sua storia, arrivando a mettere in piazza le cose più spregevoli e degenerando in denunce con l’intromissione di legali per porre fine la questione tra i figli legittimi o meno.
Sicuramente ciò non fece giustizia all’immagine pubblica di Garibaldi. Sia il Governo italiano e quanti si manifestavano amici ed alleati di Francesca e di Clelia, contribuirono a far in modo che il busto non arrivasse a destinazione. La Società che aveva fatto la richiesta fu informata che esistevano dei problemi per quanto riguardava il trasferimento di detto busto a Caprera e che si doveva aspettare le autorizzazioni dal Ministero. In realtà alla Maddalena e a Roma si era creata una situazione insostenibile a seguito del rifiuto da parte delle due donne e bisognava trovare la formula più idonea per trovare eventuali pretesti legali perché il busto non arrivasse in Sardegna, e quindi alla Maddalena.
Ricciotti Garibaldi l’anno successivo il 5 luglio del 1913 inviò il busto a casa dell’amico Battista Tanca informandolo che il 21 dello stesso mese sarebbe arrivato con una commissione di garibaldini, incaricati di deporre il busto accanto alla tomba dell’Eroe. Per qualche giorno il busto venne esposto nel negozio di un certo Bargone Andrea ma la cerimonia fu fatta solamente 21 anni dopo nel 1934 e la scultura rimase conservata in casa del Tanca e venne deposta in Pizza Umberto I° con una solenne cerimonia nel mese di settembre dalla moglie di Ricciotti, Donna Costanza.
Questi fatti ormai avevano superato il livello di pazienza del Ricciotti che non poteva accettare questo ennesimo atto di villania dopo aver subito per anni il loro atteggiamento, il quale prese carta e penna e scrisse a coloro che dovevano tutelare le ragioni di tutti, non dovevano essere solamente loro a dirigere le opere di controllo e mantenimento della Casa di Garibaldi a Caprera. Durante tutto il tempo in cui la R. Marina ha dovuto occuparsi della proprietà del Generale G. Garibaldi, sono risultati gravi e persistenti i dissensi fra i membri della famiglia Garibaldi specie fra Donna Francesca con i suoi figli contro il Generale Ricciotti Garibaldi, dissensi che non fu possibile attenuare nonostante l’opera pacificatrice della Marina.
Al Ricciotti era stato impedito in seguito di recarsi nella casa paterna senza che venisse autorizzato dalle autorità locali dopo i fatti che avevano portato al danneggiamento delle tombe nel spostare il sarcofago di Manlio, desiderava che il padre fosse posto più in alto dei restanti membri della famiglia. Le due donne andavano a raccontare che voleva trafugare la salma per portarla a Roma, mettendolo in cattiva luce e facendolo passare per folle.
Dai documenti ritrovati, Ricciotti scriveva alle autorità responsabili della Marina ed al Ministero, perché in qualche modo si trovasse una soluzione allo strapotere delle due nobildonne (tali si credevano). Esse erano probabilmente appoggiate dal governo, anche se in realtà in qualche modo volevano starne fuori. Questi fatti vennero lentamente alla luce ed il nome di Giuseppe Garibaldi ancora pronunciato con rispetto e con riguardo e preso come riferimento dalle classi politiche e militari per quanto aveva fatto durante la sua non comune vita, venne man mano a creare un certo disagio intorno alla famiglia dell’Eroe Per questo ed altro il Governo cercò in vari modi delle soluzioni dopo l’esecuzione della legge del 14 luglio 1907 n. 503.
Una di queste fu di nominare Ricciotti “Conservatore Onorario del Compendio garibaldino” con R.D. n. 2110 del 21 novembre 1920. Allegato al decreto una lettera diretta al Generale Ricciotti che sottolineava “naturalmente tale diritto non è per nulla infirmato dalla carica ora conferita alla S.V. Ill.ma, e questo Ministero pienamente confida, che da tale conferimento nessun disturbo risulterà alle Signore Francesca e Clelia Garibaldi.”
Questo fatto preoccupò assai le due donne, che scrissero a tutti coloro che avrebbero potuto bloccare tale decreto. Infatti questo decreto avrebbe creato notevoli disagi e ulteriori malumori all’interno del museo e della casa di Garibaldi, ma le loro rimostranze furono vane in quanto il Ricciotti mantenne l’incarico per tutta la vita.
Nel giugno del 1923, Italia Anita Garibaldi, figlia del Ricciotti, per conto del padre che nel frattempo era sofferente, prese carta e penna e scrisse alle autorità maddalenine perché gli concedessero di costruire sull’isola di Giardinelli, di proprietà del padre “concessa in enfiteusi dalla chiesa di La Maddalena”,di fronte alla casa del nonno, due modeste baracche dove trascorrere quei pochi mesi quando venivano alla Maddalena con i genitori, e di avere un punto di appoggio anche per non gravare dell’ospitalità gratuita del Bottini nell’albergo ristorante Belvedere alla Maddalena. Il Bottini per quasi un ventennio fu il castaldo di Garibaldi e conosceva molto bene quello che stava succedendo a Caprera, e per questo motivo cercò di aiutare il Ricciotti in tutto quello che poteva fare per dargli ospitalità e a quanto servisse a lui e alla sua famiglia La distanza era notevole per raggiungere Caprera dalla Maddalena, sette chilometri che non si potevano certo fare tutti i giorni se non si aveva un mezzo di locomozione sicuro e proprio.Alla Marina fu chiesto di realizzare le due baracche ed essendo la cifra non indifferente non fu in grado di sostenere la spesa in quanto la quota a parte non avrebbe potuto essere giustificata sul proprio bilancio. Inoltre sul posto sorgeva già un poligono di tiro e questa richiesta creò giustificate preoccupazioni per chi doveva controllare e vietare il passaggio. Si doveva creare per di più anche una specie di ponticello per collegare l’isola di Giardinelli con il restante dell’isola di La Maddalena quando c’era l’alta marea e di conseguenza non si fece nulla.
Dopo la morte della madre, Clelia Garibaldi continuò lei stessa a mantenere per diritto di eredità il governo di quanto rimaneva della casa e della proprietà e perciò quando venne a conoscenza di quello che si stava chiedendo su Giardinelli, in modo sottile ed in malafede riuscì a mettere nuovamente in cattiva luce il Ricciotti presso le autorità locali, pretendendo che venisse informata di quanto eventualmente il Generale stesse chiedendo di fare nei pressi di Caprera e che questo costituiva sempre un pericolo di eventuali colpi di mano sul cimitero ed altro. Tutto questo è riportato in una lettera che Clelia scrisse alle Autorità locali che termina chiedendo “Pertanto mi permetto pregare V. S. ill.ma di compiacersi informarmi con tutta sollecitudine qualora venisse a cognizione di V.S. che Ricciotti preparasse altri progetti circa Caprera, in modo che io abbia la possibilità di sventarli presso il Ministero. Livorno 26 luglio 1923.
Nella cronologia degli atti si scopre che Ricciotti aveva chiesto nel 1914, nell’ ipotesi che tutta l’Isola di Caprera dovesse passare in proprietà allo Stato, uno spazio di sei metri quadrati di terreno ai piedi della Tomba del padre per farne la tomba propria e della consorte, alle stesse condizioni di vicinanza di quello concesso ad altre persone di famiglia. Altra domanda simile il Generale Ricciotti l’ aveva fatta nel 1907, allora lo spazio veniva richiesto anche per i 10 figli viventi e per i due premorti. A questa domanda fu risposto dal Ministro Mirabello che non appena approvata la legge del 1907 “il Governo avrebbe provveduto ai sensi della legge medesima”. La vedova del Generale Garibaldi Francesca e la Figlia Clelia a loro volta avevano anch’esse ripetutamente richiesto, in aggiunta alla facoltà di abitazione nei beni sotto esproprio in Caprera, di essere sepolte presso la tomba del generale. Francesca a sostegno delle sue richieste asseriva di aver presso di sé un codicillo di pugno dell’Eroe in data 17 settembre 1881 che modificava il testamento olografo del Generale in data 30 luglio 1881 del seguente tenore: Caprera, lì 17 settembre 1881, avendo per testamento determinato la cremazione del mio cadavere, incarico mia moglie dell’eseguimento della mia volontà col legno di Caprera e prima di dare avviso a chicchessia della mia morte. Ove morisse essa prima di me io farò lo stesso per essa. Verrà costruita una piccola urna di granito che racchiuderà le ceneri di lei e le mie. L’urna sarà collocata sul muro dietro il sarcofago delle nostre bambine e sotto l’agacia (acacia) che lo domina”.
Il cimitero di famiglia fu veramente l’ostacolo maggiore nelle controversie familiari, anche perché, come scrisse il Ricciotti in una lettera del 20 agosto del 1923 alle autorità responsabili, che se non veniva concessa l’autorizzazione alla sistemazione del busto, prendeva questo rifiuto come un’ insulto alla memoria di sua madre, ricordando quando scopri negli appunti di suo padre dove lesse “Io perdonerò agli Italiani la tua morte, o Anita, il giorno in cui lo straniero.”. Quelle parole lette e rilette riguardavano sua madre e suscitarono in lui una violenta commozione vedendo l’ignoranza e la superbia di queste donne che non volevano il busto vicino al Padre.
Un altro fatto eclatante fu che Francesca nel piccolo cimitero “battezzava” sulla tomba di Garibaldi molti bambini con una sorta di rito cerimonia massonica. Non fu immediatamente ostacolata per la difficoltà delle autorità locali di come avrebbero potuto impedirlo, ma successivamente fu bloccata la funzione che avrebbe messo in ridicolo sia la Marina che aveva il compito di vigilare e soprattutto la serietà ed il rispetto dovuto a questo sacro suolo, dichiarato monumento nazionale. Furono prese immediatamente delle misure per impedire che sia Francesca che Clelia potessero entrare nel cimitero senza essere accompagnate dal personale militare che aveva il dovere di prestare servizio alla tomba.
Il fatto del trasferimento delle tombe fu più volte preso in considerazione dalle autorità nazionali e locali anche perché una parte dell’opinione pubblica aveva capito che la richiesta di Ricciotti aveva un suo fondamento. Garibaldi doveva essere posto da solo, il resto della famiglia, come la tomba di Teresita che nel 1903 si spense a Caprera e venne collocata a una distanza sufficientemente valida a tale scopo in modo che risaltasse soltanto l’ Eroe. Era valsa l’idea però che ormai non si poteva fare più nulla in quanto la cosa era andata in un certo modo e forse anche perché abbandonata la direzione del museo fu affidata a funzionari incapaci di decidere sul da farsi. Anche per questo la cosa venne considerata con lentezza, sperando sempre che col tempo rientrasse tale idea e si accettasse il fatto che doveva rimanere com’era. Si dava notizia dai testimoni che avevano lavorato alla realizzazione del sarcofago che nei successivi movimenti dell’arca, il monolito che chiude la tomba si sarebbe spaccato per lo sfaldamento e quello che ora lo copre è il settimo di quelli che erano stati preparati essendosi gli altri 6 rotti nel trasporto o nello scalpellamento.
Per dare prestigio al Museo di Caprera vennero realizzati dei programmi ambiziosi che furono abbandonati successivamente per mancanza di fondi o per la non volontà di pochi, o perché nel periodo tra il 1890 e il 1910 nessuno fu più in grado di trovarne le risorse economiche per poterlo realizzare. Si sarebbe voluto realizzare un faro monumentale nella zona più alta di Caprera sul Tejalone, capace di illuminare la notte per molte miglia ed un edificio dove collocare l’Università di Agraria che avrebbe portato popolarità e dignità al nome di Giuseppe Garibaldi, il quale fu capace di mettere in pratica tutte quelle nozioni di botanica e di agronomia e le varie tecniche nell’agricoltura e nel mantenere i pascoli sempre ottimi ed in salute Guardando oggi questo progetto avremmo dato veramente giusta gloria ad un Eroe che nulla chiese per se stesso, ma che diede se stesso per gli altri.
Ma ritorniamo a noi e alle tante giustificazioni che la famiglia di Francesca andava a raccontare per convincere le autorità ad accettare i suoi consigli o meglio le prese di posizione nei confronti di qualsivoglia. Le lettere che vengono riportate integralmente, danno la prova che esse non avevano capito veramente l’importanza della figura di Garibaldi e del suo pensiero, esse miravano soltanto di fregiarsi del titolo onorifico come moglie e figlia del Generale.
In questa nuova famiglia che Garibaldi volle, e che ritenne indispensabile per dare un nome ai figli avuti con Francesca, ricompensarla dandole anche la possibilità di fregiarsi del suo nome. I figli Menotti, Teresita e Ricciotti avevano compreso il legame del padre con questa donna che lo sosteneva durante la sua vecchiaia. Francesca e Clelia non compresero mai nella loro superbia le sofferenze ed il sacrificio dei figli di Anita durante la loro gioventù, con un padre che non c’era mai e una madre che li lasciò ancora adolescenti. Francesca e Clelia erano riuscite a far intendere a Garibaldi che Menotti e Ricciotti stavano spendendo e spandendo giorno per giorno i risparmi della famiglia per pagare i debiti o le necessità di questi.
Presumibilmente i fatti erano questi; ma i figli di Anita non furono in grado di far fronte alle loro necessità con le loro sole risorse in quanto non avevano nulla. Chi riferiva questi fatti diversamente, non si rese conto, che i figli per tutto il periodo che combatterono col padre, non avevano certo quattrini e risparmi da parte. Dove potevano trovare le risorse per far fronte alle necessità della propria famiglia e dei loro progetti? Garibaldi giustamente si fece carico di questi e anche di Canzio marito di Teresita, certo che era suo dovere aiutarli, e lo fece fino quando poté. La realtà è che si voleva far intendere alle persone che frequentavano la casa, che questi erano soltanto degli sfaccendati, e si coprivano le scelte e le spese di Francesca, come la costruzione di una villa in Ardenza per il figlio Manlio ed una casa ad Asti per la sua famiglia di origine, della quale una parte veniva a vivere a Caprera.
Pensavano forse che solo loro dovevano godere del patrimonio rimasto con i terreni e quant’altro. E certo che tra il 1870 e il 1882, Francesca con il suo modo di fare allontanò gli amici fraterni che sin dall’inizio vivevano a Caprera con Garibaldi, mettendo a disagio i molti uomini illustri che venivano presso il Generale per conoscere il suo pensiero le sue idee sugli avvenimenti nazionali ed internazionali e quanti lavoravano alla fattoria, lasciando quasi incolti tutti i terreni dell’orto, lasciando i pascoli abbandonati ed il bestiame quasi allo stato brado e mal nutrito.
Nella lettura delle lettere che sono intercorse tra Garibaldi e i figli Menotti, Ricciotti e Teresita, si coglie veramente con quale finezza questa donna terribile, per non dire altro, sapesse spingere anche un Garibaldi sulla via del ragionamento capzioso con loro. Quale colpa avevano commesso i figli di Anita per essere trattati in quel modo? Forse perché erano solamente loro i legittimi eredi? L’ invecchiamento precoce di Garibaldi, tormentato dalle sofferenze fisiche e dall’artrite reumatoide che lo rendevano il più delle volte iroso, mancandogli la possibilità di essere autosufficiente e questo fu veramente la cosa tragica nei suoi ultimi anni e Francesca di questo ne approfittava a suo beneficio. E fu così dopo una campagna di adulazioni, di seduzioni e d’intrighi, che la domestica e balia, Francesca Armosino, divenne la moglie di Garibaldi che ebbe per prima sposa l’eroina Anita. Quale diritto aveva di dichiararsi la padrona di Caprera, cioè il suo matrimonio col Generale era solamente per dare un nome ai figli non per farla padrona dell’Isola. Le due lettere vengono riportate integralmente come furono scritte da Clelia Garibaldi:
Milano 30 ottobre 1924 …… …. Lei, tanto buono, perdonerà se non le ho mai scritto. Appena giunta a Livorno, da Caprera, sono stata costretta a partire subito per Roma onde chiedere udienza a S.E. Mussolini, e presentargli il promemoria del quale ne mando copia a Lei, per impedire la manomissione delle mie sacre tombe (che vuole Peppino in odio alla seconda e legittima famiglia di Garibaldi), e per impedire anche la nomina a custode (Ricciotti) che porterebbe tante seccature e preoccupazioni anche al Comando. S.E. era molto impressionata della minaccia di Peppino di far nascere la rivoluzione e credeva – accontentandolo- di tenerlo amico…. Peppino aveva anche sorpreso la buon a fede di S.E. Facendogli credere che Garibaldi, quando ha sposato Francesca, quando ha fatto i testamenti, era un vecchio rimbambito……. ed in base a questo che sua Eccellenza non ha tenuto conto che vi era una figlia legittima di Garibaldi, che in essa un testamento con sacre ed inviolabili volontà………Su che basi quindi a tutte queste falsità è stato fatto quell’infame decreto (Ricciotti, Conservatore onorario del compendio garibaldino). Ho domandato a S.E. se voleva mettere Garibaldi fra due donne e mi ha risposto decisamente di No. Si vuole togliere mia madre, quella che Garibaldi ha voluto presso di se per mettere Anita che Egli volle a Nizza, trasportandone i resti; in compagnia dei figli, e portandoli nel cimitero di Nizza presso la madre sua. Garibaldi possedeva Caprera già dal 1854(!) e se voleva Anita a Caprera, nel 1859, non l’avrebbe trasportata a Nizza. Io ho fatto poi osservare a S.E. che non di può togliere la moglie legittima per mettere vicino a Lui una donna che non era mai stata sua moglie, perché fuggì con lui abbandonando marito e figli. Questa cosa urterebbe anche il sentimento religioso della Nazione, oltre che la legge. Mi feci accompagnare, quando andai da S. E., dall’On. Liscia Pietro che essendo avvocato gli spiegò bene la questione giuridica in cui si trovava Garibaldi ed i lunghi anni che ci sono voluti per annullare il disgraziato matrimonio che egli aveva contratto con la Marchesina Raimondi, ciò che impedì di sposare prima dell’anno 1880, la sua Francesca. Se dunque Egli ha sposato Francesca quando era vecchio ma con mente vivida, lo si deve alle lunghe procedure giudiziarie. Ricciotti, dopo aver mangiato il mangiabile, in base precisamente al testamento di Garibaldi, fece causa dicendo che non lo riteneva valido, ma ha perso la causa. Ora il Governo vorrebbe a dare ragione a Ricciotti, contro la legge!……. Siamo in un mondo civile, che ha leggi per far rispettare il diritto delle genti, o siamo in uno stato selvaggio?…… Io mi domando questo. Il dare facoltà a questo nemico non solo mio, dello Stato in un’isola fortificata, può creare gravi noie a me, al Comando, ed allo Stato. Quale necessità di questa ingerenza pericolosa per tutti, quando Caprera è così ben custodita dalla R. Marina. Ritiene; il Governo incapace la propria R. Marina, di custodire Caprera?…… O vuole forse far asportare ancora,come fece Ricciotti i Sacri cimeli di Garibaldi?….. Se mettono questo custode devono pure mettere in Caprera, i Carabinieri – come li avevano messi in altri tempi (quando Ricciotti aveva manomesso le Tombe) per custodire …….il custode?…….. Ora non si parla neppure più di rendere più bella la tomba di Garibaldi, si dice di togliergli da mano la famiglia che gli rese legittima perché era un vecchio rimbambito e questo me lo sono sentita dire dal Capo dello Stato !!!!…… Scrivo a Lei, come ad un amico, come a quegli che ha fatto rispettare la volontà di Garibaldi, di avere presso di se la sua fedele e devota Francesca, come a quegli che ha impedito che io venissi molestata nella casa dove io sola, per decreto legge, ho il diritto di vivere e morire. A Lei parlo con franchezza perché anche S.E. ha detto che sperava sarebbe stato revocato questo decreto perché altrimenti, anche a costo della vita, io avrei fatto, in qualsiasi modo per far rispettare le volontà di mio padre ed i diritti che mi da la legge, come unica discendente legittima di Giuseppe Garibaldi. Desiderano che Ella possa informare di tutto, e credono poterlo fare in questi giorni che pensavo essere a Caprera, ma invece dopo aver letto il decreto pubblicato sulla gazzetta ufficiale sono partita per Milano dove si trova persona che può molto sull’animo di S.E., per fare opera persuasiva prima di fare passi estremi. Ho portato come me numerosi documenti – che non avevo portato a Roma e spero che quando questa persona avrà preso visione di tutto informerà S. E. Dopo uscito il decreto, Peppino, quasi come ringraziamento, ha concesso un’intervista minacciosa per il Governo. Ritaglio il brano del giornale che unisco a questa lettera. S. E. comincerà a vedere i risultati di ciò che ha seminato e speriamo che l’atteggiamento ostile di Peppino lo convinca del mio buon scritto. Vegli dunque, come sempre ha fatto, onde non succedano in Caprera, cose che avranno ripercussioni in tutto il mondo……. La prego volermi rammentare alla sua Gentile Signore e Signorina. Sono dolente di non poter essere presso i miei adorati morti, in questi giorni, ma fra non molto spero essere li da Lei alla Maddalena. Il mio devoto riconoscente saluto. – Clelia Garibaldi.
In questo primo scritto si comprende quale sia stato il comportamento e l’insegnamento della madre verso Clelia perché non venisse ad essere assoggettata dai figli di Anita, riportando date e motivazioni sbagliate ed inesatte e piene di preclusioni nei confronti degli altri della famiglia. In particolare di non riconosce il matrimonio di Garibaldi con Anita che avvenne il 26 marzo 1842 nella chiesa di S.Francesco a Montevideo. Questa era la situazione che si viveva a Caprera.